Ugo Zovetti. Bianco e Nero
Dal 25 Ottobre 2012 al 10 Dicembre 2012
Milano
Luogo: Civica raccolta delle stampe A. Bertarelli - Castello Sforzesco
Indirizzo: piazza Castello 2
Orari: da lunedì a venerdì 9-15
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 88463837/ 02 88463660
E-Mail info: matilde.ambrosioni@comune.milano.it
Sito ufficiale: http://www.inbertarelli.com
“Il colore è superficiale, epidermico, retinico. Il bianco e nero è mentale”
Ugo Zovetti (1916 – 2010) così dichiarava pochi anni prima della sua scomparsa. Fotografo fortemente impegnato nellaricerca, spesso solitaria, delle ragioni del proprio fare, con una passione che lo porta al cuore stesso della specificità fotografica e del suo rapporto col reale, nonostante quarant’anni di attività rimase, in vita, ai margini dell’intero sistema dell’arte.
Questa mostra, tutta di stampe in bianco e nero eseguite personalmente da Zovetti nei suoi ultimi anni, vuole essere un primo omaggio che il Civico Archivio Fotografico di Milano dedica a un fotografo di grande interesse la cui attività è ancora in gran parte inesplorata. Il suo intero archivio (negativi, positivi, documenti), che generosamente la famiglia ha donato al Comune di Milano nel 2011, oggi in corso di inventariazione e di studio, consentirà di fare piena luce sul suo percorso, rivelandone la statura e il pieno inserimento nel clima culturale contemporaneo.
Ugo Zovetti nasce nel 1916 a Curzola, nella Dalmazia meridionale. Il padre Ugo (Curzola 1879 – Milano 1974), di origine veneta, si forma alla Kunstgewerbeschule di Vienna con Josef Hoffmann e Koloman Moser, due tra i massimi esponenti della Secessione viennese. Insegna poi all’ISIA, Istituto Superiore per le Industrie Artistiche, a Monza, scuola fortemente ispirata al modello sociale delle Arts and Crafts di William Morris e della Società Umanitaria. Qui, insieme al resto della famiglia, cresce anche il figlio Ugo, che poi si laurea in Scienze Politiche all’Università Cattolica di Milano nel 1940. Dopo la guerra inizia a lavorare come funzionario alla Montedison e agli inizi degli anni Cinquanta scatta le sue prime fotografie con una Rolleiflex, peregrinando per una città, Milano, che porta ancora ben impressi i segni della guerra e della miseria. I suoi primi riconoscimenti iniziano alla fine del decennio: Franco Russoli lo inserisce tra i protagonisti della mostra “Fotografi milanesi d’oggi”, curata a Palazzo Olivetti a Ivrea nel 1958, anno in cui ottiene un riconoscimento dalla Fédération Internationale de l’Art Photographique che ha sede a Berna; nel 1959 espone alla mostra “Giovane fotografia italiana” a Parigi. Nel 1961 è invitato al “Festival de la photographie italienne” di Montpellier e l’anno seguente la storica libreria milanese “Salto” gli dedica una personale dal titolo “Rottami e forme casuali” dove Zovetti presenta una serie di fotografie scattate al Monte Stella, luogo di concentrazione delle macerie della guerra, poi parco cittadino. Gli scatti, di straordinaria forza e vitalità, suscitano reazioni molto positive, tra cui quella entusiasta di Giuseppe Turroni che dichiara Zovetti autore italiano di quell’anno, in virtù della forza del suo stile. Analogo entusiasmo manifesta la rivista francese “Aujourd’hui”, diretta da André Bloc, che pubblica alcune fotografie in mostra. Per tutti gli anni Sessanta Zovetti partecipa a diversi concorsi e mostre e tra il 1960 e il 1965 è membro della giuria della F.I.A.F. (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche), intervenendo spesso in modo critico, talvolta polemico, nel dibattito dell’epoca. Gli anni Settanta lo vedono dedicarsi in particolar modo alla pittura, sulle tracce del padre, di cui la Civica Raccolta Stampe “A. Bertarelli” conserva parte dell’archivio personale, donato dalla famiglia nel 1992. Molti sono ormai, a queste date, i temi della sua ricerca, sempre condotta negli spazi urbani centrali e periferici di una città come Milano, in continuo mutamento, una ricerca che spazia dai ritratti, presi per strada, anche in modo furtivo, alle istantanee di vetrine, manifesti, graffiti. Soggetti e temi che ricorreranno continuamente nel suo percorso, dove inevitabili sono i rimandi a fotografi di carattere internazionale come Éugène Atget (1857 – 1927), che nel suo vagabondare straniato per la Parigi non monumentale a cavallo dei due secoli viene poi riconosciuto a livello internazionale grazie a Man Ray e ai surrealisti, o ad Hans Bellmer (1902 – 1975) che, tra i protagonisti del Bauhaus, dedicherà molti scatti a bambole e manichini scomposti, incontrando anche lui il favore dei surrealisti e in particolare di André Breton.
L’interesse per la morfogenesi, come la chiama lo stesso Zovetti, è presente nel corso di tutta la sua carriera fotografica, dalle immagini potenti e originali di Monte Stella, ai Rottami di San Menaio, alle accumulazioni e stratificazioni di scarti usate dai ragazzi del centro sociale Bulk per creare sculture antropomorfe. Ancora richiami all’arte del Novecento nella poetica dell’object trouvé, nel suo appassionarsi a bambole, fotografie, lettere, scarti di lavorazioni industriali come plastiche fuse, lamiere e rottami. Metafora della stessa operazione della fotografia sul reale, il prelievo del frammento, di ciò che non è concluso, definito, certo.
Cambiano le abitudini, gli stili di vita e le stratificazioni sociali e Ugo Zovetti non può fare a meno di seguire con interesse la sua città in metamorfosi. Piazza Duomo diventa un grande palcoscenico per la vita della metropoli: con la sua Rolleiflex punta indistintamente persone e cose, manifesti, vie, cartelloni, riflessi, giochi di luce. “Le immagini saltano addosso”, dice il fotografo, non resta che guardare. Vagare senza progetti particolari per la città, osservando senza preconcetti.
Altra grande seduzione per Zovetti è il confine sfocato della città riflessa nello specchio delle sue vetrine. Le immagini della moda si intrecciano con i passanti, esposizioni di prodotti si sovrappongono a palazzi ottocenteschi, la stessa immagine del fotografo si mescola con le luci e le ombre di realtà e artificio. “La città è donna”, dice Zovetti, e le scenografie dei negozi ammiccano provocanti, contaminate dalle deformazioni, dalle aberrazioni e dalle stratificazioni.
Ma la realtà non è solo buccia vellutata, anzi sulle “superfici pulite e intatte la memoria scivola via”. Lo sguardo critico e netto che contraddistingue la produzione legata alle periferie di Milano negli anni ’60 si trasforma poi nel 2000 in interesse per la contestazione dei giovani del centro sociale Bulk. L’appiattimento e il conformismo non trovano spazio fra le installazioni e i murales del deposito di via Niccolini e Zovetti si confronta con un mondo che è cambiato e che genera nuova forme e nuove passioni.
La mostra si concentra, quindi, sugli ultimi vent’anni di attività di Ugo Zovetti (che muore a Milano il 1° gennaio 2010) e sulle serie dedicate a Milano, alle vetrine, ai manifesti e al centro sociale Bulk, serie finora mai esposte. Sono gli anni che portano a Zovetti altri riconoscimenti, con le mostre del 1997, dedicata al “Monte Stella” (Bergamo, Galleria Fumagalli), curata da Marco Meneguzzo, del 2001 (collettiva a New York “View from abroad: world capitals by postwar italian photographers), del 2005 (collettiva “Annicinquanta. La nascita della creatività in Italia”, Palazzo Reale, Milano), fino all’antologica del 2006 a Monza a cura di Alberto Crespi.
Rimane costante la scelta rigorosa del bianco e nero, a conferma di una dedizione intellettuale, cifra di un’intera vita.
Si ringraziano: la famiglia, per la generosa donazione e la disponibilità; Federica Guasti, autrice di una tesi di laurea su Ugo Zovetti (relatore il Prof. Giorgio Zanchetti, Università degli Studi di Milano, a.a, 2005 – 2006), per il supporto alla ricerca.
Ugo Zovetti (1916 – 2010) così dichiarava pochi anni prima della sua scomparsa. Fotografo fortemente impegnato nellaricerca, spesso solitaria, delle ragioni del proprio fare, con una passione che lo porta al cuore stesso della specificità fotografica e del suo rapporto col reale, nonostante quarant’anni di attività rimase, in vita, ai margini dell’intero sistema dell’arte.
Questa mostra, tutta di stampe in bianco e nero eseguite personalmente da Zovetti nei suoi ultimi anni, vuole essere un primo omaggio che il Civico Archivio Fotografico di Milano dedica a un fotografo di grande interesse la cui attività è ancora in gran parte inesplorata. Il suo intero archivio (negativi, positivi, documenti), che generosamente la famiglia ha donato al Comune di Milano nel 2011, oggi in corso di inventariazione e di studio, consentirà di fare piena luce sul suo percorso, rivelandone la statura e il pieno inserimento nel clima culturale contemporaneo.
Ugo Zovetti nasce nel 1916 a Curzola, nella Dalmazia meridionale. Il padre Ugo (Curzola 1879 – Milano 1974), di origine veneta, si forma alla Kunstgewerbeschule di Vienna con Josef Hoffmann e Koloman Moser, due tra i massimi esponenti della Secessione viennese. Insegna poi all’ISIA, Istituto Superiore per le Industrie Artistiche, a Monza, scuola fortemente ispirata al modello sociale delle Arts and Crafts di William Morris e della Società Umanitaria. Qui, insieme al resto della famiglia, cresce anche il figlio Ugo, che poi si laurea in Scienze Politiche all’Università Cattolica di Milano nel 1940. Dopo la guerra inizia a lavorare come funzionario alla Montedison e agli inizi degli anni Cinquanta scatta le sue prime fotografie con una Rolleiflex, peregrinando per una città, Milano, che porta ancora ben impressi i segni della guerra e della miseria. I suoi primi riconoscimenti iniziano alla fine del decennio: Franco Russoli lo inserisce tra i protagonisti della mostra “Fotografi milanesi d’oggi”, curata a Palazzo Olivetti a Ivrea nel 1958, anno in cui ottiene un riconoscimento dalla Fédération Internationale de l’Art Photographique che ha sede a Berna; nel 1959 espone alla mostra “Giovane fotografia italiana” a Parigi. Nel 1961 è invitato al “Festival de la photographie italienne” di Montpellier e l’anno seguente la storica libreria milanese “Salto” gli dedica una personale dal titolo “Rottami e forme casuali” dove Zovetti presenta una serie di fotografie scattate al Monte Stella, luogo di concentrazione delle macerie della guerra, poi parco cittadino. Gli scatti, di straordinaria forza e vitalità, suscitano reazioni molto positive, tra cui quella entusiasta di Giuseppe Turroni che dichiara Zovetti autore italiano di quell’anno, in virtù della forza del suo stile. Analogo entusiasmo manifesta la rivista francese “Aujourd’hui”, diretta da André Bloc, che pubblica alcune fotografie in mostra. Per tutti gli anni Sessanta Zovetti partecipa a diversi concorsi e mostre e tra il 1960 e il 1965 è membro della giuria della F.I.A.F. (Federazione Italiana Associazioni Fotografiche), intervenendo spesso in modo critico, talvolta polemico, nel dibattito dell’epoca. Gli anni Settanta lo vedono dedicarsi in particolar modo alla pittura, sulle tracce del padre, di cui la Civica Raccolta Stampe “A. Bertarelli” conserva parte dell’archivio personale, donato dalla famiglia nel 1992. Molti sono ormai, a queste date, i temi della sua ricerca, sempre condotta negli spazi urbani centrali e periferici di una città come Milano, in continuo mutamento, una ricerca che spazia dai ritratti, presi per strada, anche in modo furtivo, alle istantanee di vetrine, manifesti, graffiti. Soggetti e temi che ricorreranno continuamente nel suo percorso, dove inevitabili sono i rimandi a fotografi di carattere internazionale come Éugène Atget (1857 – 1927), che nel suo vagabondare straniato per la Parigi non monumentale a cavallo dei due secoli viene poi riconosciuto a livello internazionale grazie a Man Ray e ai surrealisti, o ad Hans Bellmer (1902 – 1975) che, tra i protagonisti del Bauhaus, dedicherà molti scatti a bambole e manichini scomposti, incontrando anche lui il favore dei surrealisti e in particolare di André Breton.
L’interesse per la morfogenesi, come la chiama lo stesso Zovetti, è presente nel corso di tutta la sua carriera fotografica, dalle immagini potenti e originali di Monte Stella, ai Rottami di San Menaio, alle accumulazioni e stratificazioni di scarti usate dai ragazzi del centro sociale Bulk per creare sculture antropomorfe. Ancora richiami all’arte del Novecento nella poetica dell’object trouvé, nel suo appassionarsi a bambole, fotografie, lettere, scarti di lavorazioni industriali come plastiche fuse, lamiere e rottami. Metafora della stessa operazione della fotografia sul reale, il prelievo del frammento, di ciò che non è concluso, definito, certo.
Cambiano le abitudini, gli stili di vita e le stratificazioni sociali e Ugo Zovetti non può fare a meno di seguire con interesse la sua città in metamorfosi. Piazza Duomo diventa un grande palcoscenico per la vita della metropoli: con la sua Rolleiflex punta indistintamente persone e cose, manifesti, vie, cartelloni, riflessi, giochi di luce. “Le immagini saltano addosso”, dice il fotografo, non resta che guardare. Vagare senza progetti particolari per la città, osservando senza preconcetti.
Altra grande seduzione per Zovetti è il confine sfocato della città riflessa nello specchio delle sue vetrine. Le immagini della moda si intrecciano con i passanti, esposizioni di prodotti si sovrappongono a palazzi ottocenteschi, la stessa immagine del fotografo si mescola con le luci e le ombre di realtà e artificio. “La città è donna”, dice Zovetti, e le scenografie dei negozi ammiccano provocanti, contaminate dalle deformazioni, dalle aberrazioni e dalle stratificazioni.
Ma la realtà non è solo buccia vellutata, anzi sulle “superfici pulite e intatte la memoria scivola via”. Lo sguardo critico e netto che contraddistingue la produzione legata alle periferie di Milano negli anni ’60 si trasforma poi nel 2000 in interesse per la contestazione dei giovani del centro sociale Bulk. L’appiattimento e il conformismo non trovano spazio fra le installazioni e i murales del deposito di via Niccolini e Zovetti si confronta con un mondo che è cambiato e che genera nuova forme e nuove passioni.
La mostra si concentra, quindi, sugli ultimi vent’anni di attività di Ugo Zovetti (che muore a Milano il 1° gennaio 2010) e sulle serie dedicate a Milano, alle vetrine, ai manifesti e al centro sociale Bulk, serie finora mai esposte. Sono gli anni che portano a Zovetti altri riconoscimenti, con le mostre del 1997, dedicata al “Monte Stella” (Bergamo, Galleria Fumagalli), curata da Marco Meneguzzo, del 2001 (collettiva a New York “View from abroad: world capitals by postwar italian photographers), del 2005 (collettiva “Annicinquanta. La nascita della creatività in Italia”, Palazzo Reale, Milano), fino all’antologica del 2006 a Monza a cura di Alberto Crespi.
Rimane costante la scelta rigorosa del bianco e nero, a conferma di una dedizione intellettuale, cifra di un’intera vita.
Si ringraziano: la famiglia, per la generosa donazione e la disponibilità; Federica Guasti, autrice di una tesi di laurea su Ugo Zovetti (relatore il Prof. Giorgio Zanchetti, Università degli Studi di Milano, a.a, 2005 – 2006), per il supporto alla ricerca.
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