Simone Fugazzotto. Yesterday ended last night
Dal 20 Marzo 2018 al 25 Marzo 2018
Milano
Luogo: Spazio M.A.C.
Indirizzo: Piazza Tito Lucrezio Caro 1
Orari: 21 - 24 Mar 10 - 19 | 25 Mar 14 - 19
Curatori: Luca Beatrice
Enti promotori:
- Fondazione Maimeri
- ARTE.it (media partner)
- Con il cotributo di:
- BIG - Broker Insurance Group
- exportiamo.it
- Candiani Denim
- Charlie max Milano
Costo del biglietto: Ingresso libero
Telefono per informazioni: +39 348 2253405
E-Mail info: info@fondazionemaimeri.it
Sito ufficiale: http://https://www.fugazzottosimone.com/
La Fondazione MAIMERI ospita al M.A.C. di Milano, in Piazza Tito Lucrezio Caro 1, dal 21 al 25 marzo 2018, la nuova mostra dell’artista milanese Simone Fugazzotto a cura di Luca Beatrice.
In occasione dell’apertura - il 20 marzo, 2018 alle 19.00 - sarà presente l’attrice Sabrina Impacciatore.
Artista poliedrico, nato a Milano nel 1983, che vive e lavora nel Queens, New York, Fugazzotto attraverso la pittura ha dato avvio ad uno studio antropologico sul suo unico e solo soggetto, la scimmia. Dalla tela al cemento, l’artista sceglie di osservare da vicino vizi e virtù dell’uomo, sostituendolo con il suo più vicino predecessore tra i Primati.
Con le più svariate tecniche propone da una prospettiva diversa atteggiamenti della società contemporanea che vengono affrontati al contempo con umorismo e serietà.
L’artista milanese con ironia graffiante, che gli deriva dalla sua esperienza nella Street Art, impasta temi scomodi d’inizio millennio in chiave pop, materializzando un universo fatto di muri, tele, plexiglass, sculture, video e ready-made. Nude o vestite, con uno smarthphone in mano, o un fucile, simboli e status, enfatizzati da colori sgargianti, per rappresentare le debolezze, le paure, gli azzardi dell’intera umanità. Le scimmie di Fugazzotto vogliono essere un avvertimento per la nostra società e un invito a ripensare ai valori autentici e alle vere necessità degli esseri umani.
“Queste scimmie sono distopia del futuro, un monito, gridato ad alta voce, da primate a primate, dall’orango noto come enunciato da Il Legislatore: ‘Guardati dalla bestia-uomo, poiché egli è l’artiglio del demonio’.”
(Luca Beatrice)
Simone Fugazzotto nasce nel 1983 a Milano, dove vive e lavora. Nella pittura di Simone Fugazzotto il mondo animale diviene il pretesto per raccontare l’universo umano. La scimmia è il suo marchio di fabbrica, archetipo della nostra era. Dopo il liceo artistico a Milano e un breve periodo all’Accademia di Brera, Fugazzotto si trasferisce a New York dove soggiorna per cinque anni venendo a contatto con uno scenario molto stimolante per la sua formazione. Approfondisce la pittura, sperimenta la scultura e l’animazione e frequenta il mondo della Street Art. Predilige la pittura su tela ma esplora anche diversi materiali - juta grezza, legno, plexiglass e lastre di cemento montate su tela - che considera parti fondamentali dell’opera in quanto complementari al gesto pittorico e determinanti ai fini di una riflessione sull’uomo contemporaneo perso in se stesso, tra passioni e vizi.
Yesterday Ended Last Night
Testo critico di Luca Beatrice
Guardati dalla bestia-uomo, poiché egli è l’artiglio del demonio.
Cornelius, Il pianeta delle scimmie, 1963
Shock the monkey, hey yeah
(Monkey) Wheels keep turning
(Monkey) Something's burning
(Monkey) Don't like it but I guess I'm learning
Shock, shock, shock
Peter Gabriel, Shock the Monkey, 1982
In principio era l’uomo. Anzi, per essere precisi, in principio era la scimmia, il primate da cui deriviamo e lo stesso verso il quale - secondo alcune teorie - torneremo ad assomigliare. Il meccanismo d’inversione evolutiva è alla base di un racconto che rilegge la nostra epoca, rovesciando gli equilibri di forza tra uomo e animale. Chi è la vera bestia tra i due? Il primo che ha ingabbiato il secondo, oppure l’altro, presunto intelligente, che assume abitudini sempre più ferine e irrazionali, nella vita quotidiana come nella politica? Una civiltà abitata da scimmie umanoidi, i cui caratteri rispecchiano con angosciante precisione le dinamiche comportamentali della società contemporanea, è stata immaginata dallo scrittore francese Pierre Boulle e diventata oggetto di culto con la pellicola diretta dallo statunitense Franklin James Schaffner nel 1968, Il pianeta delle scimmie e nelle serie successive, per il cinema e la tv, dagli anni Settanta al presente (le ultime sono del 2014 e 2017). L’anno, 1968, mezzo secolo fa, coincide peraltro all’uscita della pietra miliare del cinema sci-fi, 2001. Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, liberamente ispirato al breve racconto Sentinella di Arthur C. Clarke, quando il fronte occidentale, in tempo di Guerra Fredda, si interrogava sul significato della conquista di altri mondi e sulla portata ambientale di un incombente conflitto nucleare.
Senza troppi orpelli scenografici o particolari effetti speciali, Il pianeta delle scimmie ha parlato per la prima volta al pubblico del cinema del rapporto biunivoco tra potere e schiavitù, usando una innovativa forma di denuncia contro la società del progresso e i suoi interessi politico-economici. Non ci sono King Kong o gorilla innamorati di eroine da b-movie, nemmeno il sottofondo fiabesco dell’intellettuale Orwell quando adopera una fattoria e i suoi animali per scagliare un duro attacco al potere staliniano. Secondo lo schema di una ben nota subordinazione sociale - la massa contro l’élite - scimmie evolute assumono il controllo di un nuovo ordine politico, freddo e cinico, dove i primati di Darwin governano una popolazione di uomini inetti e sottomessi.
Nel 2017, con l’uscita nelle sale di The War – Il pianeta delle scimmie, l’ultimo capitolo della saga reboot con protagonisti bestie-uomini, in un futuro non troppo remoto si prospetta l’ineluttabile passaggio di consegne tra l’umanità e le macchine che, paradossalmente, si riconosceranno più compassionevoli e solidali verso la loro ‘specie’ di quanto siamo stati in grado di esserlo noi con i nostri simili in oltre duemila anni di storia.
Fine dell’uomo o, per dirla con la lucida follia di Marco Ferreri, “ti saluto genere umano!”. Anche al regista italiano piaceva la metafora incarnata da scimmie e scimmioni, tramutati in anti-eroi o fenomeni da baraccone, simulacri grotteschi della pochezza umana. In tempi non sospetti - era il 1964 - La donna scimmia di Ferreri ergeva un monumento al cinismo, con un insuperabile Ugo Tognazzi patron dell’egoismo meschino di cui solo l’uomo sa essere capace (a differenza della bontà della donna-animale). E poi con Ciao maschio (1978) il cadavere del mito hollywodiano, dell’America e della sua etica democratica e liberale, si riassumeva in una sola inquadratura: il gorilla morto di King Kong, abbandonato sulle rive del Fiume Hudson a New York, cadeva come citazione neanche troppo velata di quel braccio della Statua della Libertà affondata tra i flutti, nell’epilogo memorabile del film di Schaffner.
Eccoli dunque gli ingredienti di Simone Fugazzotto: la cultura distopica Sci-Fi che profetizza un futuro drammatico alle porte, conseguenza dell’egoismo feroce del genere umano, inebetito e passivo su scala globale. Ben lungi dal voler fare filosofia spiccia, l’artista milanese impasta temi scottanti, da inizio millennio, per amalgamare in chiave pop un universo di muri, tele, plexiglas, sculture, video o ready-made.
Utilizza l’ironia graffiante, che gli deriva dall’esperienza della Street Art, gioca sui non-sense per sferrare critiche alla società contemporanea, adottando quel simbolo da anni il suo marchio di fabbrica. Utilizza sia la storia del cinema sia l’antropologia: la scimmia, il primate, l’essere vivente più simile all’uomo, l’animale dal quale deriviamo e quello capace di far riflettere - per somiglianza - alla pochezza evolutiva cui siamo giunti. Un binomio imprescindibile, lui e la scimmia, e quando gli si chiede se prima o poi cambierà tema, soggetto, non ha una risposta decisa: probabilmente no.
Dalla Graffiti Art al beton brut, le scimmie di Fugazzotto sono riportate su tavola ricoperta da uno strato di calcestruzzo, per preservare la natura underground dei suoi lavori, con una tecnica pittorica che unisce il sapere del disegno al gesto immediato della bomboletta spray.
Simone affonda i suoi soggetti scimmieschi nella storia dell'arte e nella cultura pop, li veste da colletti bianchi o li mostra nella loro nudità, mette loro in mano uno smartphone, un fucile, un hamburger, li lascia soli dentro gabbie di filo spinato, li fa volare con fake ballons che altro non sono che emoj di derisione. Il passato e il presente si mischiano, alto e basso si alternano. Ci sono la pittura cinquecentesca (Curiosity is my only Vanity) e Van Gogh (The Fake Starry Night), la Pop Art di Roy Lichtenstein (Pop-Up!) e la critica di Nam June Paik ai mezzi di comunicazione (Mechanical Lubbaby, Notturno). E ancora, Bjork e l'arte dei videoclip, nella citazione allo splendido esperimento di due androidi innamorati - nel video post-umano del regista Chris Cunnigham, All is Full of Love (1997) - sostituiti da Fugazzotto con una scimmia e un robot in procinto di baciarsi (The Now is the Eternal Space Between Their Lips). L’amore è ancora al centro di un rompicapo, con la metafora del cubo di Rubik (Love), ovvero il gioco sadico delle emozioni e delle relazioni; ed è ancora amore quello citato nei guantoni di Muhammad Alì (Sting Like a Bee), amore per il più grande di tutti, l’icona sportiva per eccellenza che è stata portavoce di valori etici e morali.
Se è vero che tra l’uomo e la scimmia più sofisticata esiste comunque una differenza, che sta tutta in un gene coinvolto nel processo cognitivo e percettivo, gli animali antropomorfi di Fugazzotto non si limitano a fare da anello di congiunzione tra noi e la storia evoluzionistica: nei suoi quadri, le scimmie si sostituiscono all'uomo e assolvono forme di comportamento umanizzate. Il pianeta delle scimmie di Simone Fugazzotto è ambientato nel presente, è utopia di un ritorno all’ordine del buon selvaggio, di un sentimento collettivo troppo spesso dimenticato in favore di obiettivi personali. I suoi dipinti sono astratti ma reali, onirici ma possibili.
A fare da sottofondo è la città che mangia, divora e rigurgita la società dei consumi e tutti i suoi simboli. Un paradiso coloratissimo di stimoli che sa tramutarsi in fumo grigio e asfittico. Fino addirittura al nero di Yesterday Ended Last Night, che di questa mostra è davvero il capolavoro, un dipinto quadrato che misura 200x200, enigmatico, cupo, riflessivo e apocalittico.
Come “l’alieno giallo” dei pittogrammi di Keith Haring, la “scimmia” di Fugazzotto altro non è che un’icona identificativa, una metafora inequivocabile, simile nel significato al “radiant baby” dell’artista newyorkese. La scimmia è rappresentazione di un’intera umanità, è il soggetto usato per una critica dolce-amara, un invito a ripensare il nostro essere al grado zero, quando era più simile ai cugini di Neanderthal, quando cioè la priorità della sua vita era la sopravvivenza della specie e non l’autodistruzione. Queste scimmie sono distopia del futuro, un monito, gridato ad alta voce, da primate a primate, dall’orango noto come enunciato da Il Legislatore: “Guardati dalla bestia-uomo, poiché egli è l’artiglio del demonio.”
YESTERDAY ENDED LAST NIGHT. SIMONE FUGAZZOTTO
M.A.C., Piazza Tito Lucrezio Caro 1, Milano
Mostra a cura di Luca Beatrice
Opening 20 marzo 2018, ore 19.00
Reading di Sabrina Impacciatore
ORARIO: 21 - 24 Mar 10 - 19 | 25 Mar 14 - 19
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