Pino Pascali
Dal 28 Marzo 2024 al 23 Settembre 2024
Milano
Luogo: Fondazione Prada
Indirizzo: Largo Isarco 2
Curatori: Mark Godfrey
Sito ufficiale: http://fondazioneprada.org
Fondazione Prada presenta un’ampia retrospettiva dedicata all’artista italiano Pino Pascali che si terrà a Milano dal 28 marzo al 23 settembre 2024.
A cura di Mark Godfrey, la mostra si divide in quattro sezioni, ciascuna delle quali propone una precisa prospettiva sulla produzione di Pascali, e si sviluppa in tre edifici della sede di Milano: il Podium, la galleria Nord e la galleria Sud. Concepito da 2x4, il percorso allestitivo include quarantanove opere di Pino Pascali provenienti da musei italiani e internazionali e da prestigiose collezioni private; nove lavori di artisti del secondo dopoguerra; una selezione di fotografie e un video che ritraggono l’artista con le sue opere.
Nato a Bari nel 1935, Pino Pascali si trasferisce a Roma nel 1955 per studiare scenografia presso l’Accademia di Belle Arti. Lavora come aiuto scenografo in diverse produzioni televisive Rai e collabora come designer e scenografo per il cinema e per alcune agenzie pubblicitarie. Nel 1965 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma. Nel 1968 muore tragicamente in un incidente in moto all’età di trentadue anni, nello stesso anno della sua presentazione monografica alla Biennale d’Arte di Venezia.
Nonostante la breve carriera, Pino Pascali ha contribuito in modo significativo agli sviluppi della scena artistica italiana e internazionale del secondo dopoguerra. L’intento di questa mostra è approfondire il carattere innovativo della sua opera, specialmente in relazione alla produzione scultorea, che negli ultimi cinquant’anni ha avuto un impatto fondamentale su diverse generazioni di artisti e critici e continua ad attirare l’attenzione del pubblico internazionale.
Come scrive Mark Godfrey nel testo pubblicato in catalogo, “Pascali ha esplorato il rapporto tra scultura ed elementi di scena e ha contrapposto scultura e oggetti d’uso. Ha creato opere che da lontano sembrano dei ready-made, ma che a uno sguardo ravvicinato si rivelano essere realizzate con materiali di recupero. Si interrogava sulle potenzialità di una scultura ‘finta’ o ‘simulata’. Intitolava le opere come fossero corpi solidi, strizzando l’occhio al suo pubblico, a sua volta consapevole che si trattava di volumi vuoti. Usava elementi naturali come la terra e l’acqua insieme a materiali da costruzione come l’eternit, e divideva i suoi mari e campi in unità modulari. Portava in studio nuovi prodotti di consumo e tessuti sintetici per creare animali, trappole e ponti. E se la complessità del suo approccio alla scultura è indiscutibile, il fattore che rende la sua pratica artistica così geniale e originale è un altro. Pascali è un artista sempre attuale perché era un ‘esibizionista’. [...] Pascali comprendeva che gli artisti del dopoguerra dovevano dedicare altrettante energie all’attività espositiva quante quelle dedicate a rifinire le opere in studio”.
Essere un esibizionista significava “innanzitutto creare con le proprie opere ambienti coinvolgenti seppur temporanei, ambienti che fossero più della somma delle loro parti”. In secondo luogo, “l’esibizionista doveva procurarsi quante più occasioni espositive possibili e poi assumerne il controllo”. Terzo, “l’esibizionista riconosceva l’importanza di avere immagini della mostra prima e dopo l’allestimento”. Quarto, “l’esibizionista doveva infondere nuova linfa alla sua opera per ogni mostra, e soprattutto doveva cambiare radicalmente l’approccio alla realizzazione di ogni progetto espositivo”. Tutti questi elementi sono rintracciabili nella folgorante carriera di Pascali.
Il piano terra e il primo piano del Podium ospitano la prima sezione del progetto espositivo, che approfondisce il modo in cui l’artista, nel corso di cinque mostre personali, ha creato ambienti immaginari senza limitarsi a selezionare opere dal suo studio. Le stanze che simulano le dimensioni spaziali originali delle gallerie in cui Pascali ha esposto permettono ai visitatori di sperimentare le modalità allestitive non convenzionali utilizzate dall’artista. Questi volumi ricostruiscono gli ambienti creati per la sua prima personale alla Galleria La Tartaruga (Roma, 1965) con due serie che includono, da un lato, Primo piano labbra e La gravida o Maternità, e dall’altro Colosseo, Ruderi sul prato e Muro di pietra. La mostra alla Galleria Sperone di Torino del 1966 è presentata con la serie delle “Armi” e quelle per la Galleria L’Attico del 1966 e 1968 con la serie degli “Animali”, Botole ovvero Lavori in corso e sculture di lana, tra cui Trappola. Le opere per la presentazione monografica alla Biennale d’Arte (Venezia, 1968) includono Cesto, Contropelo, Pelo, Ponte levatoio e Solitario.
La seconda sezione è dedicata ai materiali naturali e industriali impiegati da Pascali, approfondendone la provenienza, l’impiego in ambito commerciale, l’uso fatto dagli altri artisti e la loro trasformazione nel tempo. I visitatori attraversano diverse aree, ciascuna delle quali si concentra su uno specifico materiale come tela, tintura, terra, eternit, pelliccia sintetica, lana d’acciaio, gommapiuma, parti di automobili, fieno e scovoli. Le opere chiave Barca che affonda (1966), Campi arati e canali di irrigazione (1967), Pelle conciata (1968) e L’Arco di Ulisse (1968) sono affiancate da riviste e cataloghi degli anni Sessanta e da video, realizzati appositamente per la mostra, in cui alcuni restauratori spiegano le caratteristiche, il contesto e le problematiche di conservazione dei materiali con i quali l’artista ha sperimentato nel corso della sua carriera.
La terza sezione si snoda nella galleria Nord e testimonia il contributo fondamentale di Pascali in occasione di tre mostre collettive fondamentali: “Fuoco Immagine Acqua Terra”, a cura di Alberto Boatto e Maurizio Calvesi presso L’Attico (Roma, 1967); Cinquième Biennale de Paris: Manifestation Biennale et Internationale des Jeunes Artistes, a cura di Jacques Lassaigne presso il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (Parigi, 1967); e “Arte Povera” a cura di Germano Celant presso la Galleria de Foscherari (Bologna, 1968). Questa parte include quattro tra le più note opere di Pascali: Ricostruzione del dinosauro (1966), 1 metro cubo di terra (1967), 9 mq di pozzanghere (1967) e Fiume con foce tripla (1967), poste in dialogo con lavori cruciali di altri artisti che hanno esposto insieme a lui, come Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Eliseo Mattiacci, Gianni Piacentino e Michelangelo Pistoletto.
Nella galleria Sud, la quarta sezione investiga le modalità con cui Pascali appariva insieme alle sue sculture in fotografie storiche scattate da Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna e nel video in 16mm SKMP2 (1968), girato da Luca Maria Patella. Quattro opere – 32 mq di mare circa (1967), Vedova blu (1968), Cinque bachi da setola e un bozzolo (1968) e Cavalletto (1968) – sono affiancate a quattro gigantografie delle dimensioni di un cartellone pubblicitario. Come scrive Godfrey: “Quelle immagini non erano documentazioni di performance né istruzioni su come interagire con le opere. Assolvevano principalmente a due funzioni. In primo luogo, erano materiali promozionali, dato che i redattori iconografici, nel decidere come illustrare le pubblicazioni, trovavano quelle immagini più intriganti degli scatti formali e composti che documentavano le mostre di altri artisti. In secondo luogo, suggerivano spunti al pubblico di Pascali che, vedendo quelle fotografie, avrebbe avuto un’idea di come rapportarsi a una mostra in modo insolitamente inventivo e ludico”.
Un catalogo illustrato accompagna la mostra “Pino Pascali”. Con il progetto grafico di Joseph Logan, la pubblicazione edita da Fondazione Prada include un’introduzione di Miuccia Prada, Presidente e Direttrice di Fondazione Prada, un saggio del curatore Mark Godfrey, testi degli autori, storici dell’arte e curatori internazionali Valérie Da Costa, Michele D’Aurizio, Eva Fabbris, Pia Gottschaller, Teresa Kittler e dell’artista Peter Fischli, oltre a ristampe di interviste e saggi di critici d’arte come Achille Bonito Oliva, Germano Celant, Maurizio Fagiolo, Carla Lonzi, Filiberto Menna, Sandra Pinto, Vittorio Brandi Rubiu, Lorenza Trucchi, Cesare Vivaldi e Marisa Volpi Orlandini.
A cura di Mark Godfrey, la mostra si divide in quattro sezioni, ciascuna delle quali propone una precisa prospettiva sulla produzione di Pascali, e si sviluppa in tre edifici della sede di Milano: il Podium, la galleria Nord e la galleria Sud. Concepito da 2x4, il percorso allestitivo include quarantanove opere di Pino Pascali provenienti da musei italiani e internazionali e da prestigiose collezioni private; nove lavori di artisti del secondo dopoguerra; una selezione di fotografie e un video che ritraggono l’artista con le sue opere.
Nato a Bari nel 1935, Pino Pascali si trasferisce a Roma nel 1955 per studiare scenografia presso l’Accademia di Belle Arti. Lavora come aiuto scenografo in diverse produzioni televisive Rai e collabora come designer e scenografo per il cinema e per alcune agenzie pubblicitarie. Nel 1965 tiene la sua prima mostra personale alla Galleria La Tartaruga di Roma. Nel 1968 muore tragicamente in un incidente in moto all’età di trentadue anni, nello stesso anno della sua presentazione monografica alla Biennale d’Arte di Venezia.
Nonostante la breve carriera, Pino Pascali ha contribuito in modo significativo agli sviluppi della scena artistica italiana e internazionale del secondo dopoguerra. L’intento di questa mostra è approfondire il carattere innovativo della sua opera, specialmente in relazione alla produzione scultorea, che negli ultimi cinquant’anni ha avuto un impatto fondamentale su diverse generazioni di artisti e critici e continua ad attirare l’attenzione del pubblico internazionale.
Come scrive Mark Godfrey nel testo pubblicato in catalogo, “Pascali ha esplorato il rapporto tra scultura ed elementi di scena e ha contrapposto scultura e oggetti d’uso. Ha creato opere che da lontano sembrano dei ready-made, ma che a uno sguardo ravvicinato si rivelano essere realizzate con materiali di recupero. Si interrogava sulle potenzialità di una scultura ‘finta’ o ‘simulata’. Intitolava le opere come fossero corpi solidi, strizzando l’occhio al suo pubblico, a sua volta consapevole che si trattava di volumi vuoti. Usava elementi naturali come la terra e l’acqua insieme a materiali da costruzione come l’eternit, e divideva i suoi mari e campi in unità modulari. Portava in studio nuovi prodotti di consumo e tessuti sintetici per creare animali, trappole e ponti. E se la complessità del suo approccio alla scultura è indiscutibile, il fattore che rende la sua pratica artistica così geniale e originale è un altro. Pascali è un artista sempre attuale perché era un ‘esibizionista’. [...] Pascali comprendeva che gli artisti del dopoguerra dovevano dedicare altrettante energie all’attività espositiva quante quelle dedicate a rifinire le opere in studio”.
Essere un esibizionista significava “innanzitutto creare con le proprie opere ambienti coinvolgenti seppur temporanei, ambienti che fossero più della somma delle loro parti”. In secondo luogo, “l’esibizionista doveva procurarsi quante più occasioni espositive possibili e poi assumerne il controllo”. Terzo, “l’esibizionista riconosceva l’importanza di avere immagini della mostra prima e dopo l’allestimento”. Quarto, “l’esibizionista doveva infondere nuova linfa alla sua opera per ogni mostra, e soprattutto doveva cambiare radicalmente l’approccio alla realizzazione di ogni progetto espositivo”. Tutti questi elementi sono rintracciabili nella folgorante carriera di Pascali.
Il piano terra e il primo piano del Podium ospitano la prima sezione del progetto espositivo, che approfondisce il modo in cui l’artista, nel corso di cinque mostre personali, ha creato ambienti immaginari senza limitarsi a selezionare opere dal suo studio. Le stanze che simulano le dimensioni spaziali originali delle gallerie in cui Pascali ha esposto permettono ai visitatori di sperimentare le modalità allestitive non convenzionali utilizzate dall’artista. Questi volumi ricostruiscono gli ambienti creati per la sua prima personale alla Galleria La Tartaruga (Roma, 1965) con due serie che includono, da un lato, Primo piano labbra e La gravida o Maternità, e dall’altro Colosseo, Ruderi sul prato e Muro di pietra. La mostra alla Galleria Sperone di Torino del 1966 è presentata con la serie delle “Armi” e quelle per la Galleria L’Attico del 1966 e 1968 con la serie degli “Animali”, Botole ovvero Lavori in corso e sculture di lana, tra cui Trappola. Le opere per la presentazione monografica alla Biennale d’Arte (Venezia, 1968) includono Cesto, Contropelo, Pelo, Ponte levatoio e Solitario.
La seconda sezione è dedicata ai materiali naturali e industriali impiegati da Pascali, approfondendone la provenienza, l’impiego in ambito commerciale, l’uso fatto dagli altri artisti e la loro trasformazione nel tempo. I visitatori attraversano diverse aree, ciascuna delle quali si concentra su uno specifico materiale come tela, tintura, terra, eternit, pelliccia sintetica, lana d’acciaio, gommapiuma, parti di automobili, fieno e scovoli. Le opere chiave Barca che affonda (1966), Campi arati e canali di irrigazione (1967), Pelle conciata (1968) e L’Arco di Ulisse (1968) sono affiancate da riviste e cataloghi degli anni Sessanta e da video, realizzati appositamente per la mostra, in cui alcuni restauratori spiegano le caratteristiche, il contesto e le problematiche di conservazione dei materiali con i quali l’artista ha sperimentato nel corso della sua carriera.
La terza sezione si snoda nella galleria Nord e testimonia il contributo fondamentale di Pascali in occasione di tre mostre collettive fondamentali: “Fuoco Immagine Acqua Terra”, a cura di Alberto Boatto e Maurizio Calvesi presso L’Attico (Roma, 1967); Cinquième Biennale de Paris: Manifestation Biennale et Internationale des Jeunes Artistes, a cura di Jacques Lassaigne presso il Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris (Parigi, 1967); e “Arte Povera” a cura di Germano Celant presso la Galleria de Foscherari (Bologna, 1968). Questa parte include quattro tra le più note opere di Pascali: Ricostruzione del dinosauro (1966), 1 metro cubo di terra (1967), 9 mq di pozzanghere (1967) e Fiume con foce tripla (1967), poste in dialogo con lavori cruciali di altri artisti che hanno esposto insieme a lui, come Alighiero Boetti, Agostino Bonalumi, Mario Ceroli, Luciano Fabro, Piero Gilardi, Jannis Kounellis, Eliseo Mattiacci, Gianni Piacentino e Michelangelo Pistoletto.
Nella galleria Sud, la quarta sezione investiga le modalità con cui Pascali appariva insieme alle sue sculture in fotografie storiche scattate da Claudio Abate, Ugo Mulas e Andrea Taverna e nel video in 16mm SKMP2 (1968), girato da Luca Maria Patella. Quattro opere – 32 mq di mare circa (1967), Vedova blu (1968), Cinque bachi da setola e un bozzolo (1968) e Cavalletto (1968) – sono affiancate a quattro gigantografie delle dimensioni di un cartellone pubblicitario. Come scrive Godfrey: “Quelle immagini non erano documentazioni di performance né istruzioni su come interagire con le opere. Assolvevano principalmente a due funzioni. In primo luogo, erano materiali promozionali, dato che i redattori iconografici, nel decidere come illustrare le pubblicazioni, trovavano quelle immagini più intriganti degli scatti formali e composti che documentavano le mostre di altri artisti. In secondo luogo, suggerivano spunti al pubblico di Pascali che, vedendo quelle fotografie, avrebbe avuto un’idea di come rapportarsi a una mostra in modo insolitamente inventivo e ludico”.
Un catalogo illustrato accompagna la mostra “Pino Pascali”. Con il progetto grafico di Joseph Logan, la pubblicazione edita da Fondazione Prada include un’introduzione di Miuccia Prada, Presidente e Direttrice di Fondazione Prada, un saggio del curatore Mark Godfrey, testi degli autori, storici dell’arte e curatori internazionali Valérie Da Costa, Michele D’Aurizio, Eva Fabbris, Pia Gottschaller, Teresa Kittler e dell’artista Peter Fischli, oltre a ristampe di interviste e saggi di critici d’arte come Achille Bonito Oliva, Germano Celant, Maurizio Fagiolo, Carla Lonzi, Filiberto Menna, Sandra Pinto, Vittorio Brandi Rubiu, Lorenza Trucchi, Cesare Vivaldi e Marisa Volpi Orlandini.
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