Mitografie
Gianluigi Colin, Venere / It's show time, 2009 - 2011, Stampa con pigmenti naturali su carta da quotidiano, 175 x 245 cm
Dal 14 Aprile 2012 al 17 Maggio 2012
Milano
Luogo: Fondazione Marconi Arte Moderna e Contemporanea
Indirizzo: via Tadino 15
Orari: da martedì a sabato 10-13; 15-19
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 02 29419232
E-Mail info: info@fondazionemarconi.org
Sito ufficiale: http://www.fondazionemarconi.org
“Volevo riflettere su una tirannia sottile ma
fortemente persuasiva sulle nostre coscienze.
Sentivo che dovevo lavorare sui tiranni dell’anima.
Sono ripartito da lì.”
Gianluigi Colin
La Fondazione Marconi ha il piacere di annunciare la mostra “Mitografie” di Gianluigi Colin.
Gianluigi Colin, voce originale e autonoma nel panorama dell’arte italiana, mette al centro della sua riflessione i simboli della nostra contemporaneità utilizzando il “materiale che il mondo gli offre”: soggetti delle sue opere sono le icone e gli eventi del presente, selezionate in quell’oceano di informazioni che i mezzi di comunicazione di massa ci presentano incessantemente. Nel lavoro di Colin c’è un dialogo costante tra immagini e parole, che trova le sue radici nelle teorie del più grande semiologo del XX secolo, Roland Barthes.
Mitografie vuole proporre al pubblico parte della mostra, da cui il titolo, realizzata qualche mese fa al museo IVAM (Instituto Valenciano de Arte Moderno) di Valencia. Dodici opere di grande formato suddivise in quattro gruppi: Venere, Marte, Saturno e Mercurio.
Nelle sue Mitografie, Gianluigi Colin muove da una interrogazione: cosa sono diventati – per noi - Mercurio, Marte, Saturno e Venere? La sua scommessa non consiste nell'avviare un percorso nostalgico. Prova a rintracciare sopravvivenze lontane. Scruta i tanti e spesso distratti affioramenti della classicità disseminati negli interstizi del nostro presente. Si serve del mito come di uno strumento privilegiato non per uscire da "questo" mondo, ma per attraversarlo e comprenderlo.
L’artista riflette sul modo in cui la società contemporanea reinterpreta e rielabora la mitologia classica, partendo da dettagli in cui si imbatte per caso e che colpiscono la sua immaginazione. Si tratta di opere di grande formato che indagano il rapporto tra miti classici e contemporanei. Sono messaggi chiari, di forte impatto visivo, che ci aiutano a leggere un presente sempre più confuso.
E’ lo stesso Colin a dichiararlo: “Se nel passato la tradizione orale o le grandi narrazioni classiche rappresentavano un racconto corale che diventava forma delle nostre paure, gioie e dolori, oggi i miti si sedimentano nella nostra mente attraverso le copertine dei settimanali, li facciamo nostri guardando la televisione, andando al cinema. E il mondo dei media rappresenta una specie di nuovo Olimpo dove tutte queste divinità, molto terrene eppure così irraggiungibili, mandano messaggi ai “poveri mortali”, condizionandoli, modificando le loro azioni, in qualche modo plasmando le loro coscienze.”
L’artista lavora “dentro un mondo di carta” operando con una tecnica complessa: attinge immagini dai quotidiani, accartoccia quei fogli, li fotografa e li stampa su carta di giornale. Il materiale viene poi incollato su un’ulteriore stratificazione fatta di sedimentazioni di carta sempre di giornale e da ultimo l’artista interviene sulla sua opera con nuove stropicciature. Quasi un tentativo di preservare quelle immagini e quelle parole dall’inevitabile destino dei quotidiani a cui appartengono: la breve durata di ventiquattrore.
Scrive Gillo Dorfles: “ Colin - rivendicatore e "decontesatatore" di un'arte elaborata e sublimata "con le sue mani" - finisce per ottenere un'immagine mitica del nostro tempo e insieme ammonitrice di vicende future. Ma restituisce anche - e va sottolineato - un'immagine plastica e figurativa (senza bisogno di pennelli di sgorbi che spesso ne tradiscono l'autentica valenza). Un' immagine, in definitiva, che testimonia molto bene l'aspetto della più recente creatività italiana. E che non ha bisogno di ostentare le etichette di "arte" o di cronaca. C'è solo un modo davvero appropriato per commentare
queste opere: "mitografia estetica".
Scrive Barbara Rose, che ha curato la recente mostra al Museo Madre di Napoli: “Colin pensa che oggi la realtà sia percepita come uno stravagante mosaico formato da frammenti adiacenti e sovrapposti di immagini riprodotte fotograficamente. Appartiene al novero di quegli artisti che vogliono essere testimoni della storia come Goya, Rauschenberg e Warhol. Invece di limitarsi a riprodurre un’immagine fotografica, però, Colin la trasforma, stropicciando e deformando la pagina stampata su cui è impressa per poi fotografarne gli effetti di rilievo scultoreo”.
Scrive Vincenzo Trione che ha curato la sua mostra all’IVAM: “Colin compone affreschi postmoderni, nei quali si rompe ogni centralità. Impegnato a portarsi al di là delle regole consuete del racconto, estrae frammenti senza origine, che fonde in almanacchi eccentrici, che rivelano un audace post-realismo. È’ come assistere a un seduttivo naufragio. L'opera si dona come tessuto increspato, arsenale di memorie sfrangiate, mare agitato da onde, esercizio dotato di un'inattesa consistenza plastica e poetica”.
Per l’occasione sarà pubblicato il Quaderno della Fondazione n. 7 una pubblicazione che raccoglie immagini delle opere esposte, fotografie, con testi di Gillo Dorfles, Umberto Galimberti, Giorgio Marconi, Arturo Pèrez-Reverte, Arturo Carlo Quintavalle, Barbara Rose, Emilio Tadini e Vincenzo Trione.
Allo Studio Marconi ’65 sarà presentata una retrospettiva con opere di piccolo formato dal 1995 ad oggi.
Gianluigi Colin nato a Pordenone nel 1956, conduce da molti anni una ricerca artistica intorno al dialogo tra le immagini e le parole. Il suo lavoro nasce come investigazione sul passato, sul senso della rappresentazione, sulla stratificazione dello sguardo.
Si tratta di una poetica densa di richiami alla storia dell’arte e alla cronaca, che tende a porre sul medesimo piano memoria e attualità, facendo sfumare i confini tra le epoche. Una poetica dal forte impegno civile ed etico, che vuole restituire all’esperienza artistica forti valenze militanti. Personalità eclettica, Colin è art director del “Corriere della Sera”, ha tenuto conferenze, seminari e corsi universitari. E ha scritto anche saggi e articoli sulla fotografia e sulla comunicazione visiva. Sue personali si sono tenute in numerose città italiane e straniere (tra le sue mostre, da segnalare quelle all’Arengario di Milano (nel 1998), al centro Cultural Recoleta di Buenos Aires (nel 2002), al Museo Manege di San Pietroburgo (nel 2003), al Museo MADRE di Napoli, alla Bienal del Fin del Mundo a Ushuaia e al Museo IVAM di Valencia (nel 2011).
Protagonista di performance (organizzate in varie parti del mondo), è stato invitato a “Valencia09” (presso l’IVAM di Valencia, nel 2009) e selezionato per il Padiglione Italia della 54 esposizione d’Arte Internazionale della Biennale d’arte di Venezia.
Sue opere sono presenti in collezioni private, musei e istituzioni pubbliche in Italia e all’estero.
Vive e lavora tra Milano e Roma
fortemente persuasiva sulle nostre coscienze.
Sentivo che dovevo lavorare sui tiranni dell’anima.
Sono ripartito da lì.”
Gianluigi Colin
La Fondazione Marconi ha il piacere di annunciare la mostra “Mitografie” di Gianluigi Colin.
Gianluigi Colin, voce originale e autonoma nel panorama dell’arte italiana, mette al centro della sua riflessione i simboli della nostra contemporaneità utilizzando il “materiale che il mondo gli offre”: soggetti delle sue opere sono le icone e gli eventi del presente, selezionate in quell’oceano di informazioni che i mezzi di comunicazione di massa ci presentano incessantemente. Nel lavoro di Colin c’è un dialogo costante tra immagini e parole, che trova le sue radici nelle teorie del più grande semiologo del XX secolo, Roland Barthes.
Mitografie vuole proporre al pubblico parte della mostra, da cui il titolo, realizzata qualche mese fa al museo IVAM (Instituto Valenciano de Arte Moderno) di Valencia. Dodici opere di grande formato suddivise in quattro gruppi: Venere, Marte, Saturno e Mercurio.
Nelle sue Mitografie, Gianluigi Colin muove da una interrogazione: cosa sono diventati – per noi - Mercurio, Marte, Saturno e Venere? La sua scommessa non consiste nell'avviare un percorso nostalgico. Prova a rintracciare sopravvivenze lontane. Scruta i tanti e spesso distratti affioramenti della classicità disseminati negli interstizi del nostro presente. Si serve del mito come di uno strumento privilegiato non per uscire da "questo" mondo, ma per attraversarlo e comprenderlo.
L’artista riflette sul modo in cui la società contemporanea reinterpreta e rielabora la mitologia classica, partendo da dettagli in cui si imbatte per caso e che colpiscono la sua immaginazione. Si tratta di opere di grande formato che indagano il rapporto tra miti classici e contemporanei. Sono messaggi chiari, di forte impatto visivo, che ci aiutano a leggere un presente sempre più confuso.
E’ lo stesso Colin a dichiararlo: “Se nel passato la tradizione orale o le grandi narrazioni classiche rappresentavano un racconto corale che diventava forma delle nostre paure, gioie e dolori, oggi i miti si sedimentano nella nostra mente attraverso le copertine dei settimanali, li facciamo nostri guardando la televisione, andando al cinema. E il mondo dei media rappresenta una specie di nuovo Olimpo dove tutte queste divinità, molto terrene eppure così irraggiungibili, mandano messaggi ai “poveri mortali”, condizionandoli, modificando le loro azioni, in qualche modo plasmando le loro coscienze.”
L’artista lavora “dentro un mondo di carta” operando con una tecnica complessa: attinge immagini dai quotidiani, accartoccia quei fogli, li fotografa e li stampa su carta di giornale. Il materiale viene poi incollato su un’ulteriore stratificazione fatta di sedimentazioni di carta sempre di giornale e da ultimo l’artista interviene sulla sua opera con nuove stropicciature. Quasi un tentativo di preservare quelle immagini e quelle parole dall’inevitabile destino dei quotidiani a cui appartengono: la breve durata di ventiquattrore.
Scrive Gillo Dorfles: “ Colin - rivendicatore e "decontesatatore" di un'arte elaborata e sublimata "con le sue mani" - finisce per ottenere un'immagine mitica del nostro tempo e insieme ammonitrice di vicende future. Ma restituisce anche - e va sottolineato - un'immagine plastica e figurativa (senza bisogno di pennelli di sgorbi che spesso ne tradiscono l'autentica valenza). Un' immagine, in definitiva, che testimonia molto bene l'aspetto della più recente creatività italiana. E che non ha bisogno di ostentare le etichette di "arte" o di cronaca. C'è solo un modo davvero appropriato per commentare
queste opere: "mitografia estetica".
Scrive Barbara Rose, che ha curato la recente mostra al Museo Madre di Napoli: “Colin pensa che oggi la realtà sia percepita come uno stravagante mosaico formato da frammenti adiacenti e sovrapposti di immagini riprodotte fotograficamente. Appartiene al novero di quegli artisti che vogliono essere testimoni della storia come Goya, Rauschenberg e Warhol. Invece di limitarsi a riprodurre un’immagine fotografica, però, Colin la trasforma, stropicciando e deformando la pagina stampata su cui è impressa per poi fotografarne gli effetti di rilievo scultoreo”.
Scrive Vincenzo Trione che ha curato la sua mostra all’IVAM: “Colin compone affreschi postmoderni, nei quali si rompe ogni centralità. Impegnato a portarsi al di là delle regole consuete del racconto, estrae frammenti senza origine, che fonde in almanacchi eccentrici, che rivelano un audace post-realismo. È’ come assistere a un seduttivo naufragio. L'opera si dona come tessuto increspato, arsenale di memorie sfrangiate, mare agitato da onde, esercizio dotato di un'inattesa consistenza plastica e poetica”.
Per l’occasione sarà pubblicato il Quaderno della Fondazione n. 7 una pubblicazione che raccoglie immagini delle opere esposte, fotografie, con testi di Gillo Dorfles, Umberto Galimberti, Giorgio Marconi, Arturo Pèrez-Reverte, Arturo Carlo Quintavalle, Barbara Rose, Emilio Tadini e Vincenzo Trione.
Allo Studio Marconi ’65 sarà presentata una retrospettiva con opere di piccolo formato dal 1995 ad oggi.
Gianluigi Colin nato a Pordenone nel 1956, conduce da molti anni una ricerca artistica intorno al dialogo tra le immagini e le parole. Il suo lavoro nasce come investigazione sul passato, sul senso della rappresentazione, sulla stratificazione dello sguardo.
Si tratta di una poetica densa di richiami alla storia dell’arte e alla cronaca, che tende a porre sul medesimo piano memoria e attualità, facendo sfumare i confini tra le epoche. Una poetica dal forte impegno civile ed etico, che vuole restituire all’esperienza artistica forti valenze militanti. Personalità eclettica, Colin è art director del “Corriere della Sera”, ha tenuto conferenze, seminari e corsi universitari. E ha scritto anche saggi e articoli sulla fotografia e sulla comunicazione visiva. Sue personali si sono tenute in numerose città italiane e straniere (tra le sue mostre, da segnalare quelle all’Arengario di Milano (nel 1998), al centro Cultural Recoleta di Buenos Aires (nel 2002), al Museo Manege di San Pietroburgo (nel 2003), al Museo MADRE di Napoli, alla Bienal del Fin del Mundo a Ushuaia e al Museo IVAM di Valencia (nel 2011).
Protagonista di performance (organizzate in varie parti del mondo), è stato invitato a “Valencia09” (presso l’IVAM di Valencia, nel 2009) e selezionato per il Padiglione Italia della 54 esposizione d’Arte Internazionale della Biennale d’arte di Venezia.
Sue opere sono presenti in collezioni private, musei e istituzioni pubbliche in Italia e all’estero.
Vive e lavora tra Milano e Roma
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