LEONARD FREED - IO AMO L’ITALIA!
Io amo l'Italia!
Dal 19 Ottobre 2011 al 08 Gennaio 2012
Milano
Luogo: Fondazione Stelline
Indirizzo: corso Magenta 61
Costo del biglietto: intero € 6; ridotto € 4,50; scuole € 3
Telefono per informazioni: 02 45462411
L’esposizione presenterà cento immagini scattate in diverse località della Penisola, dalla metà del Novecento agli inizi del nuovo secolo, che testimoniano la lunga storia d’amore del fotografo americano con il nostro Paese.
Dal 20 ottobre 2011 al 8 gennaio 2012, la Fondazione Stelline di Milano ospiterà la mostra di Leonard Freed (New York, 1929 – 2006) dal titolo Io amo l’Italia. L’esposizione, curata da Enrica Viganò, con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano e con il sostegno dall’Ambasciata Americana in Italia, presenterà cento immagini, tra modern e vintage print, che ricostruiscono una sorta di diario degli oltre quarantacinque soggiorni compiuti dal fotografo in Italia, terra con la quale intrattenne un rapporto che lui stesso definì “una storia d’amore”.
La selezione di scatti di Leonard Freed – dal 1972 membro della Magnum, la celebre agenzia fotografica - spazierà dagli esordi fino alla maturità, abbracciando le numerose tappe della sua prestigiosa carriera.
Il percorso espositivo milanese, attraverso immagini analogiche rigorosamente in bianco e nero, consentirà di cogliere il lato più dolce e commovente di Freed, capace di ritrarre la nostra società senza usare stereotipi, con scenari che descrivono uno spaccato umano nel quale sono evidenti le influenze maturate grazie agli incontri che il fotoreportage ha reso possibili.
Quando fra il 1952 e il 1958, mosso dall’interesse per l’arte, compie i suoi primi viaggi in Europa, Freed scopre la passione per la fotografia - che inizialmente costituisce solo un espediente per procurarsi da vivere - e viene conquistato dall’Italia, un Paese con il quale l’artista entra in contatto dapprima nella Little Italy di New York e che diventa presto un luogo di ricerca interiore e, contemporaneamente, un campo di osservazione in cui “il passato è sempre presente non solo nei luoghi ma nella vita quotidiana delle gente”.
Molto più che per l’arte, l’architettura o il paesaggio, l’amore di Freed è per gli italiani. È affascinato dalla vita della gente comune, dal calore e dalla spontaneità di una componente umana - sia essa rappresentata da lavoratori siciliani, soldati seduti su un ponte a Firenze o aristocratici veneziani e romani - che nelle sue fotografie non manca mai. Sebbene il punto di vista non sia mai politico, ma riveli l’acutezza nel cogliere diverse condizioni socio-economiche, i soggetti delle sue opere sono spesso ritratti in prossimità di elementi, in perfetto equilibrio fra loro, che sostengono il movimento e ne svelano la storia - come negli scatti di nobili in posa accanto alle immagini dei loro antenati.
La ricerca di Leonard Freed, sensibile all’antropologia culturale e all’indagine etnografica, scaturisce dalla necessità di ritrovare il senso delle proprie origini attraverso lo studio di comunità tradizionali, pur percependo una profonda distanza con la cultura ebraica della sua famiglia.
Come sostenne lo stesso artista: “Sono come uno studente curioso, che vuole imparare. Per poter fotografare devi prima avere un’opinione, devi prendere una decisione. Poi quando stai fotografando, sei immerso nell’esperienza, diventi parte di ciò che stai fotografando. Devi immedesimarti nella psicologia di chi stai per fotografare, pensare ciò che lui pensa, essere sempre molto amichevole e neutrale.”
E ancora: “Voglio una fotografia che si possa estrapolare dal contesto e appendere in parete per essere letta come un poema.”
Accompagnerà la mostra un catalogo Admira Edizioni.
Note biografiche
Leonard Freed nasce a Brooklyn (New York) nel 1929 da una famiglia operai di origine ebree, proveniente da Minsk, Russia. Nel 1952 viaggia per la prima volta in Europa (Inghilterra, Scozia, Spagna, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi), dove la sua passione per l’arte – adora la pittura – lo porta a scoprire la fotografia. Inizia a lavorare come fotoreporter per numerose testate internazionali, pur mantenendo la sua sensibilità artistica. Dopo essere tornato a New York nel 1954, decide di lasciare la famiglia e trasferirsi a Little Italy. Qui ha l’occasione di vivere da vicino i costumi e la quotidianità della comunità di immigrati italiana. L’attenzione per l’affetto e il calore della gente spingono la sua ricerca verso soggetti sociali. Nonostante il carattere quasi antropologico degli scatti, Freed non dimostra nessun interesse per i risvolti politici del suo lavoro. Al contrario, le fotografie diventano il mezzo attraverso cui esplorare la propria storia e le origini culturali della sua famiglia. Durante questo primo periodo newyorkese la vita degli ebrei hassidici (in particolare i loro riti civili) è uno dei temi più sentiti dall’autore. Nel 1958 è di nuovo in Europa, ad Amsterdam, dove sposa Brigitte Glück, – una ragazza tedesca conosciuta a Roma da cui l’anno successivo avrà una figlia, Elke Susannah – che collabora alla realizzazione del suo primo libro importante, Joden van Amsterdam, sulla vita di una delle comunità ebree più antiche del continente residente in città. Durante gli anni ’60 compie il suo primo viaggio in Israele e di ritorno a New York comincia a fotografare il quartiere nero di Brooklyn, la situazione degli afroamericani e il movimento dei diritti civili. Sempre negli anni ’60 pubblica un libro sugli ebrei della Germania del dopoguerra Deutsche Juden heute, realizza il layout del libro Black in White America, stampato in Olanda e pubblicato in quattro edizioni (inglese, olandese, tedesca e italiana) e presenta le sue opere alla mostra collettiva The Concerned Photographer con Werner Bischof, Robert Capa, André Kertész, David Seymour e Dan Weiner. Nel trentennio successivo, Freed compie numerosi viaggi ed espone in diverse mostre presso importanti spazi pubblici e privati in tutta Europa. Nel 1980 termina il libro Police Work, frutto del tempo passato con la polizia newyorkese dal 1972 al 1979, mentre nel 1991 viene pubblicato in quattro edizioni Leonard Freed: Photographs 1954-1990. I numerosi soggiorni in Europa segnano per il fotografo americano l’inizio di “una lunga storia d’amore”, come ammette più volte nel corso della carriera, con l’Italia. Milano, Roma, Napoli, Firenze e Siena lo incantano: la spontaneità delle persone e il desiderio di sfuggire alla miseria lasciata dalla Seconda Guerra Mondiale vengono immortalati con una sensibilità rara. Dall’incontro con il nostro Paese seguono altri quarantacinque viaggi, molti dei quali in Sicilia e nella capitale, che diventano il pretesto per analizzare la penisola in tutti i suoi aspetti: una stratigrafia dettagliata che racconta mezzo secolo di cambiamenti attraverso i volti di contadini siciliani, di nobili romani o di gente comune che ha reso l’Italia una terra unica al mondo. Leonard Freed si spegne nel 2006 a New York, lasciando incompiuto un grande progetto fotografico dedicato alla città di Roma. Mostre e libri postumi sono numerosi: nel 2006 viene pubblicato il libro Venezia/ Venice, fotografie di L. Freed e C. Corrivetti, Ed. Postcart, Italia; tra il 2007 e il 2011 la mostra Worldview si sposta in diverse sedi in Europa, così come il Getty Museum di Los Angeles e la Silverstein Gallery di New York ospitano sue retrospettive.
Dal 20 ottobre 2011 al 8 gennaio 2012, la Fondazione Stelline di Milano ospiterà la mostra di Leonard Freed (New York, 1929 – 2006) dal titolo Io amo l’Italia. L’esposizione, curata da Enrica Viganò, con il patrocinio della Regione Lombardia e del Comune di Milano e con il sostegno dall’Ambasciata Americana in Italia, presenterà cento immagini, tra modern e vintage print, che ricostruiscono una sorta di diario degli oltre quarantacinque soggiorni compiuti dal fotografo in Italia, terra con la quale intrattenne un rapporto che lui stesso definì “una storia d’amore”.
La selezione di scatti di Leonard Freed – dal 1972 membro della Magnum, la celebre agenzia fotografica - spazierà dagli esordi fino alla maturità, abbracciando le numerose tappe della sua prestigiosa carriera.
Il percorso espositivo milanese, attraverso immagini analogiche rigorosamente in bianco e nero, consentirà di cogliere il lato più dolce e commovente di Freed, capace di ritrarre la nostra società senza usare stereotipi, con scenari che descrivono uno spaccato umano nel quale sono evidenti le influenze maturate grazie agli incontri che il fotoreportage ha reso possibili.
Quando fra il 1952 e il 1958, mosso dall’interesse per l’arte, compie i suoi primi viaggi in Europa, Freed scopre la passione per la fotografia - che inizialmente costituisce solo un espediente per procurarsi da vivere - e viene conquistato dall’Italia, un Paese con il quale l’artista entra in contatto dapprima nella Little Italy di New York e che diventa presto un luogo di ricerca interiore e, contemporaneamente, un campo di osservazione in cui “il passato è sempre presente non solo nei luoghi ma nella vita quotidiana delle gente”.
Molto più che per l’arte, l’architettura o il paesaggio, l’amore di Freed è per gli italiani. È affascinato dalla vita della gente comune, dal calore e dalla spontaneità di una componente umana - sia essa rappresentata da lavoratori siciliani, soldati seduti su un ponte a Firenze o aristocratici veneziani e romani - che nelle sue fotografie non manca mai. Sebbene il punto di vista non sia mai politico, ma riveli l’acutezza nel cogliere diverse condizioni socio-economiche, i soggetti delle sue opere sono spesso ritratti in prossimità di elementi, in perfetto equilibrio fra loro, che sostengono il movimento e ne svelano la storia - come negli scatti di nobili in posa accanto alle immagini dei loro antenati.
La ricerca di Leonard Freed, sensibile all’antropologia culturale e all’indagine etnografica, scaturisce dalla necessità di ritrovare il senso delle proprie origini attraverso lo studio di comunità tradizionali, pur percependo una profonda distanza con la cultura ebraica della sua famiglia.
Come sostenne lo stesso artista: “Sono come uno studente curioso, che vuole imparare. Per poter fotografare devi prima avere un’opinione, devi prendere una decisione. Poi quando stai fotografando, sei immerso nell’esperienza, diventi parte di ciò che stai fotografando. Devi immedesimarti nella psicologia di chi stai per fotografare, pensare ciò che lui pensa, essere sempre molto amichevole e neutrale.”
E ancora: “Voglio una fotografia che si possa estrapolare dal contesto e appendere in parete per essere letta come un poema.”
Accompagnerà la mostra un catalogo Admira Edizioni.
Note biografiche
Leonard Freed nasce a Brooklyn (New York) nel 1929 da una famiglia operai di origine ebree, proveniente da Minsk, Russia. Nel 1952 viaggia per la prima volta in Europa (Inghilterra, Scozia, Spagna, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi), dove la sua passione per l’arte – adora la pittura – lo porta a scoprire la fotografia. Inizia a lavorare come fotoreporter per numerose testate internazionali, pur mantenendo la sua sensibilità artistica. Dopo essere tornato a New York nel 1954, decide di lasciare la famiglia e trasferirsi a Little Italy. Qui ha l’occasione di vivere da vicino i costumi e la quotidianità della comunità di immigrati italiana. L’attenzione per l’affetto e il calore della gente spingono la sua ricerca verso soggetti sociali. Nonostante il carattere quasi antropologico degli scatti, Freed non dimostra nessun interesse per i risvolti politici del suo lavoro. Al contrario, le fotografie diventano il mezzo attraverso cui esplorare la propria storia e le origini culturali della sua famiglia. Durante questo primo periodo newyorkese la vita degli ebrei hassidici (in particolare i loro riti civili) è uno dei temi più sentiti dall’autore. Nel 1958 è di nuovo in Europa, ad Amsterdam, dove sposa Brigitte Glück, – una ragazza tedesca conosciuta a Roma da cui l’anno successivo avrà una figlia, Elke Susannah – che collabora alla realizzazione del suo primo libro importante, Joden van Amsterdam, sulla vita di una delle comunità ebree più antiche del continente residente in città. Durante gli anni ’60 compie il suo primo viaggio in Israele e di ritorno a New York comincia a fotografare il quartiere nero di Brooklyn, la situazione degli afroamericani e il movimento dei diritti civili. Sempre negli anni ’60 pubblica un libro sugli ebrei della Germania del dopoguerra Deutsche Juden heute, realizza il layout del libro Black in White America, stampato in Olanda e pubblicato in quattro edizioni (inglese, olandese, tedesca e italiana) e presenta le sue opere alla mostra collettiva The Concerned Photographer con Werner Bischof, Robert Capa, André Kertész, David Seymour e Dan Weiner. Nel trentennio successivo, Freed compie numerosi viaggi ed espone in diverse mostre presso importanti spazi pubblici e privati in tutta Europa. Nel 1980 termina il libro Police Work, frutto del tempo passato con la polizia newyorkese dal 1972 al 1979, mentre nel 1991 viene pubblicato in quattro edizioni Leonard Freed: Photographs 1954-1990. I numerosi soggiorni in Europa segnano per il fotografo americano l’inizio di “una lunga storia d’amore”, come ammette più volte nel corso della carriera, con l’Italia. Milano, Roma, Napoli, Firenze e Siena lo incantano: la spontaneità delle persone e il desiderio di sfuggire alla miseria lasciata dalla Seconda Guerra Mondiale vengono immortalati con una sensibilità rara. Dall’incontro con il nostro Paese seguono altri quarantacinque viaggi, molti dei quali in Sicilia e nella capitale, che diventano il pretesto per analizzare la penisola in tutti i suoi aspetti: una stratigrafia dettagliata che racconta mezzo secolo di cambiamenti attraverso i volti di contadini siciliani, di nobili romani o di gente comune che ha reso l’Italia una terra unica al mondo. Leonard Freed si spegne nel 2006 a New York, lasciando incompiuto un grande progetto fotografico dedicato alla città di Roma. Mostre e libri postumi sono numerosi: nel 2006 viene pubblicato il libro Venezia/ Venice, fotografie di L. Freed e C. Corrivetti, Ed. Postcart, Italia; tra il 2007 e il 2011 la mostra Worldview si sposta in diverse sedi in Europa, così come il Getty Museum di Los Angeles e la Silverstein Gallery di New York ospitano sue retrospettive.
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