Le leggi dell'attrazione. Design&Affini: 1985-2015
Dal 23 Maggio 2015 al 20 Settembre 2015
Lissone | Milano
Luogo: Museo d’Arte Contemporanea
Indirizzo: viale Padania 6
Curatori: Alberto Zanchetta
Sito ufficiale: http://www.comune.lissone.mb.it
Nell'ambito della XVII Triennale di Milano, l'Ente Comunale del Mobile di Lissone aveva organizzato una mostra destinata a lasciare un segno, non soltanto per l’importanza degli autori coinvolti ma anche per il ruolo svolto nella cultura del design.
Carlo Guenzi, curatore de Le affinità elettive, definiva l’esposizione «come un lungo viaggio alla scoperta delle idee e dei sentimenti nel territorio delle finezze operative, delle tradizioni tecniche, delle invenzioni». Di fatto, Le affinità elettive intendevano stabilire una consanguineità tra la ricerca intellettuale e la plurisecolare sapienza esecutiva della manifattura lissonese che si pregiava della denominazione di “Primo Centro Italiano del Mobile”. Impegnata in progetti provenienti da mezzo mondo e sensibile ai temi della collaborazione tra cultura e produzione, la comunità mobiliera di Lissone si era mobilitata per promuovere e finanziare l’evento (concepito nell’estate del 1983 e protrattosi per venti lunghi mesi) con l’auspicio di perseguire le “affinità tra i progettisti e i produttori”. Presentate al Palazzo dell’arte il 24 febbraio 1985, le 21 proposte per l’arredo del Duemila, elaborate da architetti provenienti da 9 diversi Paesi e realizzate nei laboratori brianzoli, riscossero sin da subito un successo che non si è mai esaurito.
L’esposizione al Museo d’Arte Contemporanea riporta alla luce i progetti che avevano sancito il connubio tra la “capitale” lissonese e il design internazionale. Con il passare del tempo, quei progetti sono diventati degli importanti documenti storici, grazie ai quali è possibile riflettere sui riferimenti culturali e le “affinità” di un’epoca che si inseriva a pieno titolo nel clima del Postmoderno. Concepiti all’insegna della ricerca e della sperimentazione, i disegni conservati presso gli archivi della Biblioteca di Lissone vengono riproposti al grande pubblico, che da allora non ha più avuto l’occasione di ammirarli in tutta la loro carica dirompente e visionaria. Come in una capsula del tempo, i fruitori del MAC ritroveranno le idee e gli schizzi che presiedono alla realizzazione dei ventun prototipi attualmente dispersi in collezioni private, oggetti “transfert” che comprendono la rigogliosa Library in the Garden di Emilio Ambasz, La scatola armonica di Gae Aulenti ispirata alle piramidi di Menfi, le Trasparenze dello studiolo di Mario Botta, l’armadio-scatola-torre Okuspokus di Pierluigi Cerri, lo spazio condiviso in His and Hers di Peter Cook, l’esperienza contro-razionale di Cite Un Seen II progettata da Peter Eisenman, la Dining Chair e il Dining Table con cui Michael Graves riaffermava il rituale del lavoro preindustriale, il Palus Feni Articus di Simo Heikkilä che attingeva alla tradizione contadina finlandese, la Devil's Chair concepita da John Hejduk come una torretta di guardia per il paesaggio litorale, il divano Berggasse 19 che Hans Hollein aveva ripreso dallo studio di Sigmund Freud. Alla cultura del tatami e del futon si ricollegava il Floor=Furniture di Arata Isozaki, Nodi e cerniere di Luigi Massoni sviluppava invece un sistema di contenitori e cardini mentre il Mobile bar di Alessandro Mendini rispecchiava i precetti del Gruppo Alchimia. Seguono quindi la dimora de El viaje paralelo del libro y de la vida di Rafael Moneo, il guscio-grembo che Adolfo Natalini aveva battezzato con il nome di Torri d'avorio su terre-moti, l’oggetto totemico de Il centro senza centro di Tobia Scarpa e la sedia-finestra Apocalypse/Utopia del collettivo Site. Alla struttura architettonica del Cabinet Tower ideato da Oswald Mathias Ungers si contrap-pone la Città del sogno che Paolo Portoghesi aveva elaborato a guisa di “macchina per dormire”, infine, all’Esercizio formale Nr.3 di-segnato da Ettore Sottsass nel periodo trascorso a Palm Spring fa da contraltare la scrivania A Bureau in William and Mary Style con cui Robert Venturi riproponeva l’estetica dell’arredamento in voga nell’Inghilterra del Settecento. A distanza di trent’anni, Le affi-nità elettive sono ricordate per il loro impegno nel ripensare le forme dell’abitare, fulgido esempio di una attractio electiva duplex da cui prendere esempio ancor oggi.
Carlo Guenzi, curatore de Le affinità elettive, definiva l’esposizione «come un lungo viaggio alla scoperta delle idee e dei sentimenti nel territorio delle finezze operative, delle tradizioni tecniche, delle invenzioni». Di fatto, Le affinità elettive intendevano stabilire una consanguineità tra la ricerca intellettuale e la plurisecolare sapienza esecutiva della manifattura lissonese che si pregiava della denominazione di “Primo Centro Italiano del Mobile”. Impegnata in progetti provenienti da mezzo mondo e sensibile ai temi della collaborazione tra cultura e produzione, la comunità mobiliera di Lissone si era mobilitata per promuovere e finanziare l’evento (concepito nell’estate del 1983 e protrattosi per venti lunghi mesi) con l’auspicio di perseguire le “affinità tra i progettisti e i produttori”. Presentate al Palazzo dell’arte il 24 febbraio 1985, le 21 proposte per l’arredo del Duemila, elaborate da architetti provenienti da 9 diversi Paesi e realizzate nei laboratori brianzoli, riscossero sin da subito un successo che non si è mai esaurito.
L’esposizione al Museo d’Arte Contemporanea riporta alla luce i progetti che avevano sancito il connubio tra la “capitale” lissonese e il design internazionale. Con il passare del tempo, quei progetti sono diventati degli importanti documenti storici, grazie ai quali è possibile riflettere sui riferimenti culturali e le “affinità” di un’epoca che si inseriva a pieno titolo nel clima del Postmoderno. Concepiti all’insegna della ricerca e della sperimentazione, i disegni conservati presso gli archivi della Biblioteca di Lissone vengono riproposti al grande pubblico, che da allora non ha più avuto l’occasione di ammirarli in tutta la loro carica dirompente e visionaria. Come in una capsula del tempo, i fruitori del MAC ritroveranno le idee e gli schizzi che presiedono alla realizzazione dei ventun prototipi attualmente dispersi in collezioni private, oggetti “transfert” che comprendono la rigogliosa Library in the Garden di Emilio Ambasz, La scatola armonica di Gae Aulenti ispirata alle piramidi di Menfi, le Trasparenze dello studiolo di Mario Botta, l’armadio-scatola-torre Okuspokus di Pierluigi Cerri, lo spazio condiviso in His and Hers di Peter Cook, l’esperienza contro-razionale di Cite Un Seen II progettata da Peter Eisenman, la Dining Chair e il Dining Table con cui Michael Graves riaffermava il rituale del lavoro preindustriale, il Palus Feni Articus di Simo Heikkilä che attingeva alla tradizione contadina finlandese, la Devil's Chair concepita da John Hejduk come una torretta di guardia per il paesaggio litorale, il divano Berggasse 19 che Hans Hollein aveva ripreso dallo studio di Sigmund Freud. Alla cultura del tatami e del futon si ricollegava il Floor=Furniture di Arata Isozaki, Nodi e cerniere di Luigi Massoni sviluppava invece un sistema di contenitori e cardini mentre il Mobile bar di Alessandro Mendini rispecchiava i precetti del Gruppo Alchimia. Seguono quindi la dimora de El viaje paralelo del libro y de la vida di Rafael Moneo, il guscio-grembo che Adolfo Natalini aveva battezzato con il nome di Torri d'avorio su terre-moti, l’oggetto totemico de Il centro senza centro di Tobia Scarpa e la sedia-finestra Apocalypse/Utopia del collettivo Site. Alla struttura architettonica del Cabinet Tower ideato da Oswald Mathias Ungers si contrap-pone la Città del sogno che Paolo Portoghesi aveva elaborato a guisa di “macchina per dormire”, infine, all’Esercizio formale Nr.3 di-segnato da Ettore Sottsass nel periodo trascorso a Palm Spring fa da contraltare la scrivania A Bureau in William and Mary Style con cui Robert Venturi riproponeva l’estetica dell’arredamento in voga nell’Inghilterra del Settecento. A distanza di trent’anni, Le affi-nità elettive sono ricordate per il loro impegno nel ripensare le forme dell’abitare, fulgido esempio di una attractio electiva duplex da cui prendere esempio ancor oggi.
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