Gianfranco Testagrossa. Sintesi
![© Gianfranco Testagrossa © Gianfranco Testagrossa](http://www.arte.it/foto/600x450/e6/42437-gianfranco-testagrossa-mostra-a-spazio-tadini-14-gennaio-2016-04.jpg)
© Gianfranco Testagrossa
Dal 14 Gennaio 2016 al 29 Gennaio 2016
Milano
Luogo: Spazio Tadini
Indirizzo: via Niccolò Jommelli 24
Orari: da martedì a sabato 15:30-19 e su appuntamento
Curatori: Francesco Tadini, Melina Scalise
E-Mail info: ms@spaziotadini.it
Sito ufficiale: http://www.spaziotadini.it
La nuova mostra di Gianfranco Testagrossa presso la casa museo Spazio Tadini rappresenta una sintesi dei suoi oltre 40 anni di lavoro.
Fondatore del movimento Neo Primitivismo e scrittore dello stesso manifesto, muove le sue prime pennellate ispirandosi all’arte primitiva, ai graffiti, in particolare, costruendo un nuovo archetipo che sintetizza il percorso dell’arte dalla preistoria fino al segno contemporaneo.
Un segno inconfondibile, quello di Testagrossa, che ripropone i temi della classicità riconoscendoli come essenziali del racconto esistenziale, come il rapporto maschile/ femminile, la maternità, l’origine del mondo, i cavalieri e i guerrieri, gli animali simbolici e mitologici e si muove nell’esplorazione di queste dinamiche ancestrali fino alla ricerca di una comunione con l’universo e la materia di cui è composto.
Il lavoro di Testagrossa spazia così dalla pittura alla scultura, dagli affreschi ai disegni.
Il titolo della mostra Sintesi ripercorre, attraverso alcune opere più rappresentative, le tappe più significative di questa ricerca. Testagrossa ha alle spalle un lungo percorso d’arte ed è uno degli artisti storici della Martesana.
Il suo studio, da 42 anni, occupa la mansarda di una vecchia casa a ridosso del Naviglio dall’essenza molto bohemien. “Dipingo e disegno tutti i giorni dell’anno – dice Gianfranco Testagrossa – non potrei vivere senza l’arte che per me è tutto”.
Scrisse di lui uno dei maggiori storici e critici d’arte Roberto Sanesi: “…..ciò che caratterizza questa pittura non è, come invece sembrerebbe, più un’insistenza plastica apparentemente più consona ad un’evoluzione di tipo mistico pastoriale, ma piuttosto il segno, la graffiatura, l’incisione, con un immediato rimando dall’affresco all’arte rupestre.
Da cui, ancora una volta, la diffusa sensazione di un intenso desiderio di recupero: del tempo, o forse, meglio, di un modo di essere nel tempo, secondo gesti solenni, silenziosi. E tuttavia non per questo sereni.
Questo “ritorno”, per il quale il pittore si avvale (facendoli suoi) di modi stilistici di lontana provenienza e che comunque non mi stupirei si fossero stati filtrati da artisti che a loro volta li fecero propri, e per il clima austero e, sacrale magico, si potrebbero avanzare con cautela i nomi, fra loro, non poi così contraddittori, di Marino Marini, o del Licini delle Amalasunte. Questo “ritorno” non è privo di perplessità.
E non a caso le figure assumono in genere atteggiamenti d’attesa e di stupore, e ci appaiono infatti, in qualche luogo, quasi riassorbite nella materia, o frammentarie, così come a tratti e non meno significativamente se questo “ritorno” lo intendiamo un momento emblematico del “continuum” del ciclo naturale, ci appaiono sovrapposte, incrociate, fatte fra loro simili per incessanti metamorfosi, restituite all’energia che le genera, e che il pittore si sforza di trattenere.
Così che quanto resta da contemplare non è tanto la traccia incerta di un tempo irrecuperabile, quanto la riaffermazione di una presenza”.
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