258 e non sentirli. I libri di Gianni Berengo Gardin
Dal 17 Gennaio 2017 al 10 Febbraio 2017
Milano
Luogo: Kasa dei Libri
Indirizzo: Largo De Benedetti 4
Orari: da lunedì a venerdì 15-19
Curatori: Roberto Mutti
Telefono per informazioni: +39 02.66989018
E-Mail info: mostre@lakasadeilibri.it
Sito ufficiale: http://https://www.facebook.com/KasaLibri
Classe 1930, Gianni Berengo Gardin è ad oggi uno dei fotografi più riconosciuti a livello internazionale, l’unico rappresentate dell’arte dell’immagine citato dal celebre storico dell’arte Ernst Gombrich in The Image and The Eye (Oxford 1982). Nel corso della sua carriera Berengo Gardin ha pubblicato ben 258 libri: 258 racconti in immagini capaci di parlare dell’Italia di ieri e quella di oggi, con le sue abitudini, le sue realtà produttive, le sue luci e le sue ombre. Attraverso i suoi fotolibri entriamo in rapporto con le comunità contadine dell’Italia centrale, ci perdiamo tra le calli di Venezia, rimaniamo colpiti dalla crudeltà delle foto scattate in manicomio.
Per rendere omaggio a questa sterminata produzione editoriale, martedì 17 gennaio alle 18 alla Kasa dei Libri di Andrea Kerbaker viene inaugurata la mostra 258 e non sentirli a cura di Roberto Mutti. L’esposizione propone al pubblico un percorso attraverso circa 50 fotolibri di Gianni Berengo Gardin, che, divisa per sezioni (Venezia, il paesaggio, le committenze, l’attenzione ai diversi, le monografie, il rapporto con Zavattini, quello con gli artisti) si sviluppa in senso cronologico dagli anni ’60 fino a oggi, e che desidera dare un’idea, se pur minima, della febbrile attività che ancora oggi contraddistingue il fotografo. Ad accompagnare i libri, una selezione di 10 fotografie, rappresentative di tutta la produzione, che hanno per soggetto la lotta operaia, le più contemporanee navi da crociera che attraversano il Canal Grande, la vita contadina alla metà del secolo...
Berengo Gardin ha capito prima di molti altri che pubblicare un libro in immagini significa aprire un dialogo con un pubblico molto più vasto rispetto al limitato numero dei frequentatori di mostre; desiderio che nasce in lui da una precisa volontà: “Ho capito che a me, in fondo non interessa diventare un artista, ma piuttosto un giornalista’’ dichiara lui stesso.Per questa ragione nelle sue mani la macchina fotografica diventa lo strumento per raccontare la storia da una precisa angolazione, come la penna per lo scrittore.
L’intenzione di Berengo Gardin è di fissare un punto di vista, un’opinione; perché il fotografo non è documentarista della realtà, ma testimone, e attraverso l’obiettivo rende il pubblico partecipe della propria interpretazione.
I fotolibri, in mostra fino al 10 febbraio, partono da una delle prime pubblicazioni: Venise des saisons (1965) - con testi di Giorgio Bassani e Mario Soldati - in cui Berengo Gardin esprime tutto il suo amore, immutato tutt'oggi, per Venezia, di cui fotografa scorci e persone “attraverso la sottile pioggia, come attraverso un fumo…”, come scrive Mario Soldati in uno dei testi che accompagnano le immagini; si passa poi al 1969 quando Berengo lavora a quattro mani con Franco Basaglia per guidare il nostro sguardo all’interno dei manicomi e sull’uomo “etichettato in modo irreversibile – che – non potrà più cancellare il segno che lo ha definito come qualcosa al di là dell’umano…”.
Attraverso gli anni e i tanti libri pubblicati, si arriva al 1991 con il prezioso portfolio realizzato da Berengo in memoria di Cesare Zavattini, ricco di ritratti e di scorci privati; è il 1993 quando il fotografo ritrae prima i laboratori della Procter & Gamble Italia, e contemporaneamente ma agli antipodi, lo studio di Giorgio Morandi, fissando nelle fotografie “lo spirito del luogo, l’atmosfera, quell’impalpabile ricchezza del pensiero che vivifica tutte le cose di Morandi”. E via così, anno dopo anno, luogo dopo luogo: Milano, di nuovo Venezia, il Polesine, la Sardegna, guardando agli italiani e alle Italiane, come recita significativa un suo libro del 2006. Il legame con l’Italia è forte ed evidente: il fotografo realizza uno studio visivo degli abitanti, delle architetture, dei paesaggi, della vita sociale e culturale. Infatti Berengo Gardin si definisce un fotografo che vede e sente: sceglie il soggetto che diventa suo, adopera la macchina fotografica che meglio gli conviene appropriandosi così dell’immagine. Attraverso il proprio lavoro, ha costruito una cronaca documentaria e artistica, creativa e poetica, di oltre mezzo secolo, ancora valida per la memoria degli italiani di oggi. In una intervista di Luciano Zuccaccia del 2008 dichiara: “Io faccio il fotografo e scrivere non è il mio mestiere. Quando scoprii la macchina fotografica capii che con questa, schiacciando con un dito potevo raccontare agli altri quello che avevo in testa, negli occhi, nel cuore’’. Nelle sue testimonianze emerge che “è stato il leggere” ciò che ha maggiormente influenzato la sua fotografia, anche se dichiara che “la scrittura, la parola non sono il mio territorio. Tuttavia sono un uomo che da anni tenta di scrivere con la macchina fotografica”. Da grande artista, ha saputo conferire all’immagine dell’Italia, e non solo, una dimensione universale e i suoi libri hanno realizzato, pagina dopo pagina, questo monumento, aperto al pubblico in occasione della mostra alla Kasa dei Libri.
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