Sergio Scabar. Oscura camera (1969-2018)
Dal 27 Giugno 2019 al 13 Ottobre 2019
Gorizia
Luogo: Palazzo Attems Petzenstein
Indirizzo: piazza E. de Amicis 2
Orari: da martedì a domenica 10:00-18:00 | giovedì 10:00-20:00 | lunedì chiuso
Curatori: Guido Cecere, Alessandro Quinzi
Enti promotori:
- Ente Regionale per il Patrimonio Culturale Musei provinciali di Gorizia
Costo del biglietto: Intero 6 €, Ridotto 3 € (18-25 anni, gruppi di almeno 10 persone, nuclei familiari con minorenni). Gratuito ogni prima domenica del mese
Telefono per informazioni: +39 0481 385335
Dal 28 giugno al 13 ottobre 2019 i Musei provinciali di Gorizia presentano a Palazzo Attems Petzenstein la mostra Oscura camera (1969-2018) di Sergio Scabar (Ronchi dei Legionari, 1946), organizzata da Erpac (Ente regionale per il patrimonio culturale del Friuli Venezia Giulia) e a cura di Guido Cecere e Alessandro Quinzi.
La mostra è la prima antologica in Italia dedicata a Sergio Scabar, artista che ha fatto dello scatto un vero strumento di riflessione e di indagine. Autodidatta, Scabar è divenuto noto per l’originalità de Il teatro delle cose del 1999, lavoro che ha segnato la sua svolta stilistica votata a una ricerca poetica incentrata sull’essenzialità degli oggetti e delle loro forme. Il percorso espositivo è composto da quasi 300 fotografie e si sviluppa seguendo l’andamento cronologico del lavoro di Scabar, distinguibile in due fasi: una prima en plein air, del genere del Reportage, e una successiva più sperimentale e riflessiva, che dagli anni Novanta in poi ha definito la sua cifra artistica. Nel Reportage, è la particolare sensibilità del suo sguardo a creare sistemi seriali di immagini dove l’inquadratura rimane fissa e sono gli oggetti e le persone a scorrere davanti all’obiettivo. Ne sono un importante esempio le 50 fotografie, contrassegnate da una forte impronta testimoniale, di Interno di un interno di un ospedale psichiatrico, che Scabar ha scattato nel 1976 all’interno dell’ospedale psichiatrico di Gorizia e alle quali è dedicata un’intera sala in mostra.
La serie dedicata agli “oggetti quotidiani” del 1986 può invece considerarsi un’anticipazione del cambio di modalità operativa di Scabar: se fino a quel momento infatti l’artista si muove con riprese in esterno, prediligendo ampi spazi e la luce naturale – come nella serie dedicata a Trieste e ai manifesti pubblicitari – successivamente sono i dettagli “macro” ad attirare la sua attenzione. La sua produzione artistica si fa sempre più concettuale, arrivando a concentrarsi sul valore del “taglio” nella fotografia, inteso sia come inquadratura nel momento della ripresa sia come ritaglio materiale, a posteriori, della stampa fotografica. Scabar si concentra soprattutto sull’aspetto materico dei soggetti, indagati sia in bianco nero che a colori, con una serie di Still Life su cui agisce quella che lui chiama filosofia del “silenzio di luce” per significare la condizione di tenue illuminazione delle sue opere. Dalla fine degli anni Novanta, la Natura Morta diventa l’asse portante della sua produzione. Proprio con Il teatro delle cose Scabar mette a punto, dopo anni di sperimentazioni, una particolare tecnica di ripresa e stampa “alchemica” che gli consente di ottenere, sempre in esemplari unici, dei risultati molto particolari in termini di tonalità opache scure, nell’area cromatica fra il testa di moro e il nero, che sono diventati il suo inconfondibile segno distintivo. Questa tematica si avvale di una ricerca di formati al di fuori degli standard, come dimostrano le cornici stesse delle fotografie, manufatti artigianali realizzati sempre dallo stesso Scabar a compendio, supporto, propaggine dell’immagine raffigurata. Gli oggetti che l’artista dispone con meticolosità di fronte alla fotocamera possono essere singoli, in coppia, oppure composti in gruppo. Appartengono all’utensileria da cucina, al mondo delle arti e mestieri, agli strumenti del fotografo d’altri tempi, alla grande famiglia della stampa e dei libri antichi e una serie alquanto recente, del 2017, è dedicata tutta a vegetali e ortaggi. Le bottiglie e gli oggetti in vetro, per la loro particolare reattività alla luce, anche se fioca, sono fra i suoi soggetti preferiti, ma in generale sono le forme e i contorni a imporsi per semplice e lineare eleganza. Il variegato campionario di invenzioni ideate dal fotografo invita a una riflessione sulla caducità delle cose. L’uso analitico della macchina, che combina immagini del tutto moderne e legate alla quotidianità a un sentire quasi sacrale, crea un equilibrio che attribuisce forza e continuità alla sua opera.
Sergio Scabar è nato a Ronchi dei Legionari (Gorizia) nel 1946, dove vive e lavora. Comincia ad interessarsi alla fotografia nel 1964. Dal 1966 al 1974 partecipa saltuariamente a concorsi nazionali ed internazionali utilizzando la fotografia soprattutto con finalità di racconto e reportage. Successivamente, negli anni '80, il suo lavoro prende una svolta sostanziale, la figura umana esce dai suoi lavori ed il suo interesse si concentra sulla natura, sublimando l'aspetto materiale e concettuale. Con il lavoro "Il Teatro delle cose" nel 1996, inizia una stampa alchemica ai sali d'argento "unico esemplare". Il metodo di lavoro artigianale emerge maggiormente rispetto alle opere precedenti. Nel 2003 riceve dal CRAF il premio "Friuli Venezia Giulia Fotografia". Nel 2005 ha una personale dal titolo “Tempo Fermo” al Castello di Grumello (Bergamo) a cura di Philippe Daverio. Nel 2008 pubblica “Silenzio di Luce” per Punto Marte Editore e nel 2010 “Cidinors” edito da Associazione culturale Colonos. Nel 2015 partecipa alla collettiva “Obiecta” presso la Giacomo Guidi Gallery (Roma) e nel 2016 partecipa a “Silenzi” presso la Galleria Milano (Milano) curate da Angela Madesani. Nel 2017 ha una personale alla Galerie L&c Tirelli a Vevey (Svizzera). È presente nella collezione d’arte contemporanea di San Vito al Tagliamento, “Punto Fermo” istituita in occasione della rassegna “Palinsesti” (2011), secondo un progetto di Angelo Bertani, Alessandro del Puppo e Denis Viva. Le sue opere sono anche nella collezione della Pinacoteca dei Musei Provinciali - Palazzo Attems Petzenstein, della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, del CRAF – Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia di Spilimbergo (Pordenone) – nella collezione della Pilonova Galerija di Aidussina (Slovenia) e dell’Associazione cultural Colonos (Villacaccia di Lestizza, Udine). Ha esposto per numerose gallerie private e per diverse istituzioni in Italia e all’estero. Musei provinciali di Gorizia Palazzo Attems Petzenstein – Pinacoteca Palazzo Attems Petzenstein, il più maestoso edificio settecentesco goriziano sopravvissuto alle distruzioni della prima guerra mondiale. È stato eretto su commissione del conte Sigismondo Attems Petzenstein (1708-1758), luogotenente della Contea di Gorizia allora parte dell’impero asburgico retto dall’imperatrice Maria Teresa. Sigismondo era inoltre fratello maggiore di Carlo Michele (1711-1774) che nel 1752 venne nominato primo Arcivescovo di Gorizia. Il palazzo è stato ultimato nel 1745, quando nel Salone del piano nobile si tenne la prima riunione dell’Accademia dei Filomeleti, dedicata all’erudito romano Scipione Maffei e alla quale rimanda anche la tela soffittuale con gli Dei dell’Olimpo, opera di Antonio Paroli (1688-1768), artista di formazione veneziana. Tuttavia la facies attuale dell’edificio si deve a un secondo intervento, ultimato entro il 1751 e firmato dall’architetto Saverio Gianni (1712/18-dopo il 1780). Al piano nobile, sono stati riportati alla luce anche due ambienti affrescati nel 1783 da Francesco Chiarottini (1748-1796) e ispirati ai motivi rovinistici piranesiani, mentre nel giardino ha trovato ricovero la Fontana dell’Ercole con l’idra di Lerna realizzata nel 1775 su disegno di Nicolò Pacassi (1716-1790), architetto di corte di Maria Teresa d’Asburgo. Il palazzo è sede dal 1900 dei Musei Provinciali di Gorizia, fondati nel 1861, ed è destinato ad ospitare la Pinacoteca e mostre temporanee d’arte.
Inaugurazione mostra giovedì 27 giugno ore 19:00
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