Donne donne donne
Stampa fotografica su negativo 93 x 72 cm
Dal 26 Novembre 2011 al 18 Marzo 2012
Camogli | Genova
Luogo: Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti
Indirizzo: via Castagneto 52
Orari: da giovedì a domenica 15.30 - 19.30
Curatori: Francesca Pasini
Costo del biglietto: Ingresso libero
Telefono per informazioni: +39 0185 772137
E-Mail info: info@fondazioneremotti.it
Sito ufficiale: http://www.fondazioneremotti.it
DONNE DONNE DONNE è il titolo della nuova mostra alla Fondazione Pier Luigi e Natalina Remotti di Camogli (Ge), che raccoglie opere di una trentina di artiste della Collezione. Per questa occasione la direttrice Francesca Pasini ha scelto di mettere in dialogo il linguaggio dell’arte visiva e quello del teatro con la rappresentazione de LE SERVE di Jean Genet, con la regia di Emanuela Rolla, che è anche una delle interpreti insieme a Margherita Remotti e Gabriella Fossati.
Alle ore 18,30 si apre con lo spettacolo teatrale, che debutta in questa sede, e alla fine si accendono le luci e si inaugura la mostra.
In quel momento si illumineranno le lampadine brillantissime della scritta NOT FOR YOU, realizzata da Monica Bonvicini nel 2006. Una scultura che è stata presentata in altre versioni in molti musei internazionali, tra i quali nel 2007 il Museion di Bolzano, ma in questa versione viene esposta per la prima volta. La scelta delle opere dalla collezione Remotti abbina il tema del corpo a interpretazioni dei luoghi che raccontano lo sguardo delle donne e la loro guadagnata presenza nella storia dell’arte contemporanea. Si percepisce un discorso forte sull’identità femminile, particolarmente attuale oggi, in cui il corpo viene utilizzato come status symbol del potere politico, economico, mediatico.
Le donne artiste lo avevano previsto, capito e raccontato in tantissime forme di cui si intende dare qui testimonianza: si passa così dalla grande protagonista della body art Gina Pane, Cicatrices de l’action (le corps pressenti, Psychè) (1974-75), a Marina Abramovic Lips of Thomas, anche questa una foto proveniente dalla performance del 1975-1997, in cui l’artista ha inciso sul proprio ventre una stella a cinque punte. Mentre Nan Goldin ritrae una donna in posa erotica e sfacciata che affronta di petto lo spettro e il sogno della prostituzione, Vanessa Beecroft è presente con un’immagine del 1997 tratta da una delle sue prime performance, quando, per creare la mobile fisionomia delle sue sculture viventi, sceglieva come modelle amiche o ragazze che conosceva appena. Shirin Neshat, con una delle sue Donne di Allah (1996), si fotografa tutta velata mentre tiene per mano il suo bambino nudo, su cui ha tracciato decori tipici dell’iconografia islamica. Elizabeth Aro, in un video del 1998 molto ironico, mostra una ragazza nuda che immagina come indossare il proprio vestito da sposa. Mentre la giovanissima e notissima Nathalie Djurberg con la video animazione The Secret Handshake (2006), ci porta dentro un dissacrante incontro sessuale tra un uomo adulto e una giovanetta. Marjetica Potrc rappresenta, in un disegno colorato, La Grande Città di Medellin (2007), come un albero dalle molte radici la cui chioma è formata da una donna nuda che danza.
Immagini e problemi dell’incontro sessuale che oggi sono alla ribalta della cronaca quotidiana e che queste artiste hanno fatto irrompere nell’arte non per moralizzare o giudicare, ma per segnalare la complessità della vita, che ha sempre alla sua origine la dimensione sessuata.
Sono visioni molto differenti dall’amore pacificato del romanticismo, o dalle icone della storia in cui la donna era sempre una trasfigurazione allegorica. È stato un profondo cambiamento che ha allargato la cultura e i sentimenti e che, come un fiume carsico, continua a produrre figure che raccontano le case, le città, gli oggetti, la vita.
In mostra vi saranno anche Marzia Migliora, Paola Pivi, Sylvie Fleury, Katharina Fritsch, Florence Henri, Candida Höfer, Hannah Starkey, Laurie Simmons, Christine Erhard, Janieta Eyre, Chantal Joffe, Dacia Manto, Tracey Emin, Annette Messager, Anna Gaskell, Raffaella Nappo, Paola Mattioli, Ann Lislegaard, Moira Ricci, Silvia Levenson, Liliana Porter, Traslochi Emotivi.
Kimsooja avvolgerà le pareti del pianterreno con la sequenza di grandi foto del Teatro La Fenice di Venezia, dove nel 2006 aveva presentato il video To breathe. Invisible Mirror/ Invisible Needle, che era accompagnato dal suono del suo respiro in un ritmo sempre più sincopato, mentre sullo schermo frangifuoco del teatro scorrevano le immagini dello spettro dei colori.
Not for you di Monica Bonvicini e To breathe di Kimsooja interagiranno con la scenografia di Le Serve, la prima con il monito di indipendenza che illumina metaforicamente il testo stesso di Genet, la seconda con l’evocazione di un teatro reale.
LE SERVE di Jean Genet.
Regia di Emanuela Rolla, con Emanuela Rolla (Claire), Margherita Remotti (Solange), Gabriella Fossati (Madame), produzione Performer-Espressione Applicata. Prima rappresentazione.
Le serve è considerato uno dei capolavori di Jean Genet, una perfetta macchina teatrale in cui il gioco del teatro nel teatro è svelato per mettere a nudo la menzogna della scena. L’odio verso la padrona non è più il pretesto del loro malessere. Esaltate, visionarie, paranoiche, le serve sono incastrate in un mondo dove, vittime di loro stesse, si contorcono, si combattono: un mondo dove l’unica via d’uscita è la morte.
Claire e Solange vivono un rapporto di amore e odio con la propria padrona, e quando quest’ultima è assente, loro, forse già vecchie nell’animo, arcigne, si ritrovano ad allestire un privato e ossessivo teatrino, una doppia vita in cui, come bimbe perverse, giocano “a fare Madame”. A turno vestono i suoi abiti, la imitano, e alla fine del rito la uccidono, ma le due sorelle non riescono mai a completare il rito, perchè il tempo a disposizione finisce sempre prima. Finzione e realtà si sovrappongono nelle loro menti schizofreniche e il tentativo di omicidio si concretizza in una tazza di tisana avvelenata che Madame, nella sua svagata disattenzione, non beve. Sarà invece Claire, sempre più sprofondata nella doppiezza della sua vita, a bere la bevanda, offertale dalla sorella carnefice.
Les bonnes (1947), tradizionalmente tradotto in italiano con “Le serve”, anche se una traduzione più precisa sarebbe “Le domestiche”, è ispirato al caso delle sorelle Papin, due domestiche a servizio che negli anni ‘30 uccisero la padrona e sua figlia.
Lo spettacolo è incentrato su tre personaggi femminili dalla precisa connotazione ed estrazione sociale e Genet fa delle considerazioni acute e lucidissime sulla donna e sull’amore. Il rito di Solange e Claire, con cui si apre lo spettacolo, spiazza lo spettatore, portato a credere, almeno in un primo momento, che Claire sia Madame. Ma tranne questo coup de théâtre nel resto dello spettacolo il metateatro si stempera nei più tradizionali, ma non per questo meno inquietanti, cenni alle fantasie di entrambe o a scene accadute precedentemente (i tentativi di strangolamento di Madame, le fantasie sul lattaio, le prove di scrittura per le lettere minatorie, le avide letture di cronaca nera...).
Les bonnes più che uno spettacolo che ragiona sul farsi proprio e del teatro in genere, gioca con la rappresentazione, la esplicita, la mette in mostra anelando all’autenticità proprio tramite la sua posa. Alcuni oggetti di scena, presenti concretamente nel testo originale (la sveglia che segna il tempo del rito, prima che madame rientri, il telefono con cui monsieur avverte della propria scarcerazione), compaiono sulla scena, amplificando il senso simbolico del teatro (dove i gesti e gli oggetti vengono “mimati” e non sono mai veri). L’ingresso in scena di Madame viene sostituito da proiezioni video della stessa, Madame in questa messa in scena è anziana, donna di classe ma di età notevolmente avanzata, questa scelta registica sottolinea il concetto che la condizione di serva è una condizione prima di tutto interiore.
Alle ore 18,30 si apre con lo spettacolo teatrale, che debutta in questa sede, e alla fine si accendono le luci e si inaugura la mostra.
In quel momento si illumineranno le lampadine brillantissime della scritta NOT FOR YOU, realizzata da Monica Bonvicini nel 2006. Una scultura che è stata presentata in altre versioni in molti musei internazionali, tra i quali nel 2007 il Museion di Bolzano, ma in questa versione viene esposta per la prima volta. La scelta delle opere dalla collezione Remotti abbina il tema del corpo a interpretazioni dei luoghi che raccontano lo sguardo delle donne e la loro guadagnata presenza nella storia dell’arte contemporanea. Si percepisce un discorso forte sull’identità femminile, particolarmente attuale oggi, in cui il corpo viene utilizzato come status symbol del potere politico, economico, mediatico.
Le donne artiste lo avevano previsto, capito e raccontato in tantissime forme di cui si intende dare qui testimonianza: si passa così dalla grande protagonista della body art Gina Pane, Cicatrices de l’action (le corps pressenti, Psychè) (1974-75), a Marina Abramovic Lips of Thomas, anche questa una foto proveniente dalla performance del 1975-1997, in cui l’artista ha inciso sul proprio ventre una stella a cinque punte. Mentre Nan Goldin ritrae una donna in posa erotica e sfacciata che affronta di petto lo spettro e il sogno della prostituzione, Vanessa Beecroft è presente con un’immagine del 1997 tratta da una delle sue prime performance, quando, per creare la mobile fisionomia delle sue sculture viventi, sceglieva come modelle amiche o ragazze che conosceva appena. Shirin Neshat, con una delle sue Donne di Allah (1996), si fotografa tutta velata mentre tiene per mano il suo bambino nudo, su cui ha tracciato decori tipici dell’iconografia islamica. Elizabeth Aro, in un video del 1998 molto ironico, mostra una ragazza nuda che immagina come indossare il proprio vestito da sposa. Mentre la giovanissima e notissima Nathalie Djurberg con la video animazione The Secret Handshake (2006), ci porta dentro un dissacrante incontro sessuale tra un uomo adulto e una giovanetta. Marjetica Potrc rappresenta, in un disegno colorato, La Grande Città di Medellin (2007), come un albero dalle molte radici la cui chioma è formata da una donna nuda che danza.
Immagini e problemi dell’incontro sessuale che oggi sono alla ribalta della cronaca quotidiana e che queste artiste hanno fatto irrompere nell’arte non per moralizzare o giudicare, ma per segnalare la complessità della vita, che ha sempre alla sua origine la dimensione sessuata.
Sono visioni molto differenti dall’amore pacificato del romanticismo, o dalle icone della storia in cui la donna era sempre una trasfigurazione allegorica. È stato un profondo cambiamento che ha allargato la cultura e i sentimenti e che, come un fiume carsico, continua a produrre figure che raccontano le case, le città, gli oggetti, la vita.
In mostra vi saranno anche Marzia Migliora, Paola Pivi, Sylvie Fleury, Katharina Fritsch, Florence Henri, Candida Höfer, Hannah Starkey, Laurie Simmons, Christine Erhard, Janieta Eyre, Chantal Joffe, Dacia Manto, Tracey Emin, Annette Messager, Anna Gaskell, Raffaella Nappo, Paola Mattioli, Ann Lislegaard, Moira Ricci, Silvia Levenson, Liliana Porter, Traslochi Emotivi.
Kimsooja avvolgerà le pareti del pianterreno con la sequenza di grandi foto del Teatro La Fenice di Venezia, dove nel 2006 aveva presentato il video To breathe. Invisible Mirror/ Invisible Needle, che era accompagnato dal suono del suo respiro in un ritmo sempre più sincopato, mentre sullo schermo frangifuoco del teatro scorrevano le immagini dello spettro dei colori.
Not for you di Monica Bonvicini e To breathe di Kimsooja interagiranno con la scenografia di Le Serve, la prima con il monito di indipendenza che illumina metaforicamente il testo stesso di Genet, la seconda con l’evocazione di un teatro reale.
LE SERVE di Jean Genet.
Regia di Emanuela Rolla, con Emanuela Rolla (Claire), Margherita Remotti (Solange), Gabriella Fossati (Madame), produzione Performer-Espressione Applicata. Prima rappresentazione.
Le serve è considerato uno dei capolavori di Jean Genet, una perfetta macchina teatrale in cui il gioco del teatro nel teatro è svelato per mettere a nudo la menzogna della scena. L’odio verso la padrona non è più il pretesto del loro malessere. Esaltate, visionarie, paranoiche, le serve sono incastrate in un mondo dove, vittime di loro stesse, si contorcono, si combattono: un mondo dove l’unica via d’uscita è la morte.
Claire e Solange vivono un rapporto di amore e odio con la propria padrona, e quando quest’ultima è assente, loro, forse già vecchie nell’animo, arcigne, si ritrovano ad allestire un privato e ossessivo teatrino, una doppia vita in cui, come bimbe perverse, giocano “a fare Madame”. A turno vestono i suoi abiti, la imitano, e alla fine del rito la uccidono, ma le due sorelle non riescono mai a completare il rito, perchè il tempo a disposizione finisce sempre prima. Finzione e realtà si sovrappongono nelle loro menti schizofreniche e il tentativo di omicidio si concretizza in una tazza di tisana avvelenata che Madame, nella sua svagata disattenzione, non beve. Sarà invece Claire, sempre più sprofondata nella doppiezza della sua vita, a bere la bevanda, offertale dalla sorella carnefice.
Les bonnes (1947), tradizionalmente tradotto in italiano con “Le serve”, anche se una traduzione più precisa sarebbe “Le domestiche”, è ispirato al caso delle sorelle Papin, due domestiche a servizio che negli anni ‘30 uccisero la padrona e sua figlia.
Lo spettacolo è incentrato su tre personaggi femminili dalla precisa connotazione ed estrazione sociale e Genet fa delle considerazioni acute e lucidissime sulla donna e sull’amore. Il rito di Solange e Claire, con cui si apre lo spettacolo, spiazza lo spettatore, portato a credere, almeno in un primo momento, che Claire sia Madame. Ma tranne questo coup de théâtre nel resto dello spettacolo il metateatro si stempera nei più tradizionali, ma non per questo meno inquietanti, cenni alle fantasie di entrambe o a scene accadute precedentemente (i tentativi di strangolamento di Madame, le fantasie sul lattaio, le prove di scrittura per le lettere minatorie, le avide letture di cronaca nera...).
Les bonnes più che uno spettacolo che ragiona sul farsi proprio e del teatro in genere, gioca con la rappresentazione, la esplicita, la mette in mostra anelando all’autenticità proprio tramite la sua posa. Alcuni oggetti di scena, presenti concretamente nel testo originale (la sveglia che segna il tempo del rito, prima che madame rientri, il telefono con cui monsieur avverte della propria scarcerazione), compaiono sulla scena, amplificando il senso simbolico del teatro (dove i gesti e gli oggetti vengono “mimati” e non sono mai veri). L’ingresso in scena di Madame viene sostituito da proiezioni video della stessa, Madame in questa messa in scena è anziana, donna di classe ma di età notevolmente avanzata, questa scelta registica sottolinea il concetto che la condizione di serva è una condizione prima di tutto interiore.
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