Matthew Brannon/ Nicola Martini
Dal 20 Aprile 2013 al 08 Giugno 2013
Firenze
Luogo: Museo Marino Marini
Indirizzo: piazza San Pancrazio
Orari: 10-17; chiuso martedì, domenica e festivi
Curatori: Alberto Salvadori
Costo del biglietto: intero € 4, ridotto € 2
Telefono per informazioni: +39 055 219432
E-Mail info: info@museomarinomarini.it
Sito ufficiale: http://www.museomarinomarini.it
Il Museo Marino Marini prosegue il programma espositivo di Early one Morning, a cura del direttore artistico Alberto Salvadori. Il 19 aprile si inaugura Department store at night (Five impossible Films,1) progetto inedito prodotto dal Museo, di Matthew Brannon (St. Maries, Idaho, 1971), affermatissimo artista statunitense con mostre nei più importanti musei internazionali, che coniuga un'elaborata e sofisticata produzione di grafica a installazioni volte a realizzare complessi e articolati progetti narrativi. In contemporanea si inaugura anche Nervo vago del fiorentino Nicola Martini (1984), tra i migliori giovani presenti nel panorama italiano.
Early one morning, che riprende il titolo di una famosa opera di Anthony Caro del 1962, analizza e indaga modalità differenti di lavoro, dalla ricognizione storica e riattivazione di sculture grazie all’interazione con il pubblico, alla ricerca praticata da giovani generazioni di artisti italiani e internazionali, fino all'uso del video come strumento di indagine e di relazione tra persone, oggetti e architettura.
Matthew Brannon. Department store at night
(Five impossible Films, 1)
Negli ultimi dieci anni di lavoro Matthew Brannon ha creato opere nelle quali la tensione tra testo e immagine è sempre stata presente come vero e proprio elemento di costruzione del lavoro, anche se mai questo rapporto è stato pensato come elemento narrativo tra le due parti.
Brannon recentemente ha spostato la sua attenzione verso la scrittura nei termini in cui i libri da lui scritti, in forma di racconto lungo, assumono una loro autonomia rispetto alle sculture e alle stampe, da sempre al centro del suo lavoro. Allontanando così l’immagine dal testo, Brannon va verso una nuova modalità di avvicinamento, di vicinanza tra i due, facendo in modo che le opere siano come degli amplificatori del testo che li accompagna. Lo spettatore\lettore assume una posizione attiva nella decifrazione della storia, diviene lui stesso elemento di costruzione dell’intero racconto, completando l’esperienza della lettura con quella della visita alla mostra.
Al Museo Marino Marini Matthew Brannon ha costruito un Department store at night dove sculture, stampe, fabric floor e un libro raccontano il cruento e misterioso episodio notturno alla base di un giallo da risolvere.
L’elemento di fiction attinge da suggestioni che l’artista ha avuto durante i sopralluoghi al museo - lo spazio della cripta, oggi luogo deputato a progetti espositivi, luogo di millenaria storia, depositario di fatti e avvenimenti a noi sconosciuti – e dalla città di Firenze, nella quale il department store è oggi l’elemento caratterizzante l’aspetto del centro cittadino, dove ogni luogo è destinato al commercio, qualunque sia la sua natura, e dove una vivace vita diurna si alterna ad una tenue, quasi spenta, vita notturna, animata da fatti di ordinaria cronaca di provincia, nella quale tutto può apparire eccezionale.
Una compagnia teatrale occupa abusivamente di notte il Department store e durante la lettura di un importante testo del ‘900, Il disagio della civiltà, di Freud, avviene il fatto di cronaca alla base della storia, del noir che sempre appassiona il pubblico. Nel testo Freud affronta il delicato rapporto tra individuo e civiltà, lo scontro tra ricerca e desiderio della personale libertà istintiva e la civiltà che necessariamente richiede l’esatto contrario, sopendo gli istinti attraverso leggi e limitazioni. Tale incontro\scontro, secondo Freud, tende a infondere sentimenti d’insoddisfazione e, nell’evoluzione di un pensiero oramai quasi secolare, si affianca così all’idea di civiltà l’appagamento del consumo come elemento di mitigamento e controllo dell’istintività.
Il lavoro sui medium della rappresentazione effettuato da Brannon è definibile come una costruzione vettoriale fenomenologica, precisamente legata all’attività di connessione e organizzazione di elementi, grazie alla quale un soggetto entra in relazione con un mondo, quello del museo e della città Firenze, come significato.
Il lavoro dell’artista americano incrocia così il concetto della definizione kantiana dell’opera, ergon, cioè stare dentro l’opera, con quella derridiana del parergon, cioè stare fuori dall’opera; ovvero, stare dentro la cornice pittorica, dentro lo spazio della rappresentazione del quadro, all’interno di regole date, dentro le leggi del genere, quindi all’interno di un’autonomia estetica di pensiero e di contenuto per poi far uscire il contenuto dell’opera verso l’esperienza di un momento vissuto, sia esso fiction (quello costruito dall’artista nella storia) sia esso reale (quello costruito dallo spettatore incrociando la lettura del libro con la visita alla mostra) evocanti momenti e storie personali come quella della formazione visiva, che per la generazione dell’artista, avveniva ancora con l’esperienza diretta, come ad esempio la frequentazione di sale cinematografiche o altri luoghi ritenuti personalmente importanti.
La mostra è composta, oltre che dal libro, da tre nuclei di opere, pensati e realizzati come veri e propri set teatrali e cinematografici.
La grande scultura Unlearn apre l’esposizione: una vetrina di profumi, vicino alla quale viene trovato il corpo della ragazza morta da cui ha origine la storia; tutto è simulazione, non ci sono bottiglie di profumo, c’è però il ricordo di un periodo della vita dell’artista durante il quale, volendo diventare medico, iniziò a frequentare anche un obitorio, e gli odori di allora sono rimasti presenti nella sua memoria. Qui è l’evocazione tramite l’oggetto che produce il primo momento di incontro tra testo e immagine.
Segue una grande installazione, dove sculture e tappeti vanno a creare un'unica opera che definisce l’ambiente del grande magazzino, luogo appunto dove si svolge la storia. Le sculture hanno una parte in vetro sulla quale vi sono delle scritte realizzate a mano, evocanti i grandi magazzini degli anni ’50. Le parole hanno un significato legato al contrasto tra scelte sociali e scelte individuali e rimandano sia alla produzione industriale sia alla mercificazione del luogo, in questo caso Firenze.
Infine la terza sezione della mostra, una stampa e un manifesto di un cinema-teatro contenente una serie di locandine di grandi e importanti film che hanno formato molti di noi alla definizione di narrazione, alla capacità di seguire e costruire storie che venissero sia dalla realtà sia dalla finzione. Un vero e proprio omaggio a quei teatri d'essai che ancora sopravvivono in USA – in alcuni casi anche da noi in Italia - e dove si è formata la cultura cinematografica dell'artista.
Una mostra pensata come le pagine di un libro, attraversate dal pubblico in visita al Museo dove il testo genera le immagini che non sono propriamente didascaliche al testo, due lavori che corrono in parallelo e riferendosi l'un l'altro.
Nicola Martini. Nervo vago
Il nervo vago fuoriesce dalla medulla oblungata, passando dal forame giugulare, passando dal torace alla cavità gastrointestinale; decimo delle dodici paia di nervi intracranici, è responsabile della frequenza cardiaca passando dalla peristalsi gastrointestinale, dalla sudorazione dei muscoli sfruttati dal parlato e dalla apertura della laringe durante l'inspirazione. Riceve inoltre sensazioni dall'orecchio esterno, e parte delle meningi. La sua materia, di cui la matrice è unitaria, si specifica a seconda delle regioni che interessa.
Il progetto di Nicola Martini per il Museo Marino Marini entra direttamente nel sistema nervoso del museo, va a inserirsi nell’architettura entrando nelle nervature, negli spazi di connessione tra esterno e interno, tra materie differenti, tra penetrazione e compenetrazione di luce e buio.
Martini, come sempre nella sua pratica, innesca frizioni nella natura degli elementi che costituiscono la sua scultura, stabilisce un rapporto diretto con la materia sia essa quella delle opere da lui realizzate sia essa quella degli elementi strutturali e costruttivi, in questo caso l'architettura del museo.
Il nartece, delimitato dal grande triforio di Leon Battista Alberti, é il primo luogo dove il lavoro di Nicola Martini incontra, indaga e modifica il guscio, di matrice tardo brutalista, che accoglie le persone al Museo Marini di Firenze e ci introduce allo spazio interno, dove la collezione dello scultore pistoiese è conservata.
Martini ha assunto una posizione parallela a quella di Marino Marini dialogando alla pari con lo spazio a lui dedicato; immediatamente annuncia, grazie ai lavori presenti in esterno, il tratto peculiare della sua pratica: una ricerca costante sulla materia, sulla sua natura e¬ sulla sua qualità di adattarsi alle modifiche, ai cambiamenti e alle tensioni.
La materia diviene oggetto di indagine, strumento esperienziale, un’idea che permette così condivisione e rapporto diretto con la natura, lo spazio, le persone.
Proprio il rapporto diretto con la materia permette a Nicola Martini di esplorare luoghi sconosciuti, interstizi anonimi, che investiti di un ruolo, grazie al suo lavoro, connotano in maniera nuova la condizione statica dell'architettura del museo.
Martini poi entra all'interno dell'edificio e nel sacello della cripta interviene negando lo spazio, escludendo l’accesso a una stanza destinata a progetti degli artisti invitati, ridisegnandone la funzione con una scultura realizzata in una cera speciale.
La ricerca, la manipolazione e la sperimentazione dei materiali producono una scultura dove le assonanze formali con ciò che storicamente l’ha preceduta perdono di significato e assume un ruolo primario l’originale manifestazione del mai visto prima, dovuto alla volontà di andare a cercare l’invisibile, ciò che non si manifesta se non attraverso un lungo e imprevedibile processo di costruzione di una nuova condizione della materia che genera poi la forma.
Nicola Martini ha realizzato per la sua personale al Museo Marino Marini cinque nuove sculture.
Early one morning, che riprende il titolo di una famosa opera di Anthony Caro del 1962, analizza e indaga modalità differenti di lavoro, dalla ricognizione storica e riattivazione di sculture grazie all’interazione con il pubblico, alla ricerca praticata da giovani generazioni di artisti italiani e internazionali, fino all'uso del video come strumento di indagine e di relazione tra persone, oggetti e architettura.
Matthew Brannon. Department store at night
(Five impossible Films, 1)
Negli ultimi dieci anni di lavoro Matthew Brannon ha creato opere nelle quali la tensione tra testo e immagine è sempre stata presente come vero e proprio elemento di costruzione del lavoro, anche se mai questo rapporto è stato pensato come elemento narrativo tra le due parti.
Brannon recentemente ha spostato la sua attenzione verso la scrittura nei termini in cui i libri da lui scritti, in forma di racconto lungo, assumono una loro autonomia rispetto alle sculture e alle stampe, da sempre al centro del suo lavoro. Allontanando così l’immagine dal testo, Brannon va verso una nuova modalità di avvicinamento, di vicinanza tra i due, facendo in modo che le opere siano come degli amplificatori del testo che li accompagna. Lo spettatore\lettore assume una posizione attiva nella decifrazione della storia, diviene lui stesso elemento di costruzione dell’intero racconto, completando l’esperienza della lettura con quella della visita alla mostra.
Al Museo Marino Marini Matthew Brannon ha costruito un Department store at night dove sculture, stampe, fabric floor e un libro raccontano il cruento e misterioso episodio notturno alla base di un giallo da risolvere.
L’elemento di fiction attinge da suggestioni che l’artista ha avuto durante i sopralluoghi al museo - lo spazio della cripta, oggi luogo deputato a progetti espositivi, luogo di millenaria storia, depositario di fatti e avvenimenti a noi sconosciuti – e dalla città di Firenze, nella quale il department store è oggi l’elemento caratterizzante l’aspetto del centro cittadino, dove ogni luogo è destinato al commercio, qualunque sia la sua natura, e dove una vivace vita diurna si alterna ad una tenue, quasi spenta, vita notturna, animata da fatti di ordinaria cronaca di provincia, nella quale tutto può apparire eccezionale.
Una compagnia teatrale occupa abusivamente di notte il Department store e durante la lettura di un importante testo del ‘900, Il disagio della civiltà, di Freud, avviene il fatto di cronaca alla base della storia, del noir che sempre appassiona il pubblico. Nel testo Freud affronta il delicato rapporto tra individuo e civiltà, lo scontro tra ricerca e desiderio della personale libertà istintiva e la civiltà che necessariamente richiede l’esatto contrario, sopendo gli istinti attraverso leggi e limitazioni. Tale incontro\scontro, secondo Freud, tende a infondere sentimenti d’insoddisfazione e, nell’evoluzione di un pensiero oramai quasi secolare, si affianca così all’idea di civiltà l’appagamento del consumo come elemento di mitigamento e controllo dell’istintività.
Il lavoro sui medium della rappresentazione effettuato da Brannon è definibile come una costruzione vettoriale fenomenologica, precisamente legata all’attività di connessione e organizzazione di elementi, grazie alla quale un soggetto entra in relazione con un mondo, quello del museo e della città Firenze, come significato.
Il lavoro dell’artista americano incrocia così il concetto della definizione kantiana dell’opera, ergon, cioè stare dentro l’opera, con quella derridiana del parergon, cioè stare fuori dall’opera; ovvero, stare dentro la cornice pittorica, dentro lo spazio della rappresentazione del quadro, all’interno di regole date, dentro le leggi del genere, quindi all’interno di un’autonomia estetica di pensiero e di contenuto per poi far uscire il contenuto dell’opera verso l’esperienza di un momento vissuto, sia esso fiction (quello costruito dall’artista nella storia) sia esso reale (quello costruito dallo spettatore incrociando la lettura del libro con la visita alla mostra) evocanti momenti e storie personali come quella della formazione visiva, che per la generazione dell’artista, avveniva ancora con l’esperienza diretta, come ad esempio la frequentazione di sale cinematografiche o altri luoghi ritenuti personalmente importanti.
La mostra è composta, oltre che dal libro, da tre nuclei di opere, pensati e realizzati come veri e propri set teatrali e cinematografici.
La grande scultura Unlearn apre l’esposizione: una vetrina di profumi, vicino alla quale viene trovato il corpo della ragazza morta da cui ha origine la storia; tutto è simulazione, non ci sono bottiglie di profumo, c’è però il ricordo di un periodo della vita dell’artista durante il quale, volendo diventare medico, iniziò a frequentare anche un obitorio, e gli odori di allora sono rimasti presenti nella sua memoria. Qui è l’evocazione tramite l’oggetto che produce il primo momento di incontro tra testo e immagine.
Segue una grande installazione, dove sculture e tappeti vanno a creare un'unica opera che definisce l’ambiente del grande magazzino, luogo appunto dove si svolge la storia. Le sculture hanno una parte in vetro sulla quale vi sono delle scritte realizzate a mano, evocanti i grandi magazzini degli anni ’50. Le parole hanno un significato legato al contrasto tra scelte sociali e scelte individuali e rimandano sia alla produzione industriale sia alla mercificazione del luogo, in questo caso Firenze.
Infine la terza sezione della mostra, una stampa e un manifesto di un cinema-teatro contenente una serie di locandine di grandi e importanti film che hanno formato molti di noi alla definizione di narrazione, alla capacità di seguire e costruire storie che venissero sia dalla realtà sia dalla finzione. Un vero e proprio omaggio a quei teatri d'essai che ancora sopravvivono in USA – in alcuni casi anche da noi in Italia - e dove si è formata la cultura cinematografica dell'artista.
Una mostra pensata come le pagine di un libro, attraversate dal pubblico in visita al Museo dove il testo genera le immagini che non sono propriamente didascaliche al testo, due lavori che corrono in parallelo e riferendosi l'un l'altro.
Nicola Martini. Nervo vago
Il nervo vago fuoriesce dalla medulla oblungata, passando dal forame giugulare, passando dal torace alla cavità gastrointestinale; decimo delle dodici paia di nervi intracranici, è responsabile della frequenza cardiaca passando dalla peristalsi gastrointestinale, dalla sudorazione dei muscoli sfruttati dal parlato e dalla apertura della laringe durante l'inspirazione. Riceve inoltre sensazioni dall'orecchio esterno, e parte delle meningi. La sua materia, di cui la matrice è unitaria, si specifica a seconda delle regioni che interessa.
Il progetto di Nicola Martini per il Museo Marino Marini entra direttamente nel sistema nervoso del museo, va a inserirsi nell’architettura entrando nelle nervature, negli spazi di connessione tra esterno e interno, tra materie differenti, tra penetrazione e compenetrazione di luce e buio.
Martini, come sempre nella sua pratica, innesca frizioni nella natura degli elementi che costituiscono la sua scultura, stabilisce un rapporto diretto con la materia sia essa quella delle opere da lui realizzate sia essa quella degli elementi strutturali e costruttivi, in questo caso l'architettura del museo.
Il nartece, delimitato dal grande triforio di Leon Battista Alberti, é il primo luogo dove il lavoro di Nicola Martini incontra, indaga e modifica il guscio, di matrice tardo brutalista, che accoglie le persone al Museo Marini di Firenze e ci introduce allo spazio interno, dove la collezione dello scultore pistoiese è conservata.
Martini ha assunto una posizione parallela a quella di Marino Marini dialogando alla pari con lo spazio a lui dedicato; immediatamente annuncia, grazie ai lavori presenti in esterno, il tratto peculiare della sua pratica: una ricerca costante sulla materia, sulla sua natura e¬ sulla sua qualità di adattarsi alle modifiche, ai cambiamenti e alle tensioni.
La materia diviene oggetto di indagine, strumento esperienziale, un’idea che permette così condivisione e rapporto diretto con la natura, lo spazio, le persone.
Proprio il rapporto diretto con la materia permette a Nicola Martini di esplorare luoghi sconosciuti, interstizi anonimi, che investiti di un ruolo, grazie al suo lavoro, connotano in maniera nuova la condizione statica dell'architettura del museo.
Martini poi entra all'interno dell'edificio e nel sacello della cripta interviene negando lo spazio, escludendo l’accesso a una stanza destinata a progetti degli artisti invitati, ridisegnandone la funzione con una scultura realizzata in una cera speciale.
La ricerca, la manipolazione e la sperimentazione dei materiali producono una scultura dove le assonanze formali con ciò che storicamente l’ha preceduta perdono di significato e assume un ruolo primario l’originale manifestazione del mai visto prima, dovuto alla volontà di andare a cercare l’invisibile, ciò che non si manifesta se non attraverso un lungo e imprevedibile processo di costruzione di una nuova condizione della materia che genera poi la forma.
Nicola Martini ha realizzato per la sua personale al Museo Marino Marini cinque nuove sculture.
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