Finché non saremo libere
Dal 11 Novembre 2023 al 28 Gennaio 2024
Brescia
Luogo: Museo di Santa Giulia
Indirizzo: Via dei Musei 81
Orari: Da martedì a domenica dalle 10 alle 18 (ultimo ingresso 17.15) Chiuso il lunedì
Costo del biglietto: € 7
Telefono per informazioni: +39 030 297 7833
Sito ufficiale: http://www.bresciamusei.com/
Il Comune di Brescia e la Fondazione Brescia Musei con Alleanza Cultura, in collaborazione con l’Associazione Genesi e il Festival della Pace, presentano oggi la mostra Finché non saremo libere a cura di Ilaria Bernardi, che dall’11 novembre si articolerà all’interno delle sale del Museo di Santa Giulia, a Brescia: un'esposizione dedicata al tema drammaticamente attuale della condizione femminile nel mondo, con un particolare focus sull’Iran. Finché non saremo libere declina al femminile il titolo del libro Finché non saremo liberi. IRAN la mia lotta per i diritti umani di Shirin Ebadi, avvocatessa e pacifista iraniana esule dal 2009, prima donna musulmana Premio Nobel per la pace (2003) per i suoi sforzi per la democrazia e i diritti umani, in particolare delle donne, dei bambini e dei rifugiati. Un'esposizione con un significato ancora più importante dopo la proclamazione del Premio Nobel per la Pace 2023, che il prossimo dicembre verrà conferito a Narges Mohammadi – attivista iraniana, vice-presidente del Centro per la difesa dei Diritti Umani, imprigionata dalle autorità iraniane nel maggio 2016 e ancora in carcere – "per la sua battaglia contro l'oppressione delle donne in Iran e per promuovere diritti umani e libertà per tutti" e l'assegnazione del Premio Sacharov 2023 per la libertà di pensiero a Jina Mahsa Amini e al movimento di protesta iraniano "Donne Vita Libertà" annunciato lo scorso 19 ottobre a Strasburgo dalla presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola.
La mostra Finché non saremo libere prosegue ed espande un filone di ricerca e approfondimento promosso dal 2019 da Fondazione Brescia Musei, che ha scelto di indagare contesti geo-politici di stringente attualità attraverso la prospettiva e la produzione di artisti contemporanei. Capitoli precedenti di questo filone sono state le mostre dedicate al rapporto tra arte e diritti che hanno visto protagonisti l’artista e attivista turca Zehra Doğan (Avremo anche giorni migliori. Opere dalle carceri turche, 2019), che proprio grazie a questa sua esposizione personale fu inserita da The Art Newspaper tra le 100 persone più influenti nel mondo dell’arte contemporanea; l’artista e attivista cinese Badiucao (La Cina non è vicina, 2021) – protagonista nel 2022, grazie al successo della mostra bresciana, di una travelling exhibition al Dox Center for Contemporary Art di Praga, MADe IN CHINA - e l’artista e attivista russa Victoria Lomasko (The Last Soviet Artist, 2022).
È davvero una grande emozione per il quarto anno consecutivo consacrare i nostri importanti spazi del Museo di Santa Giulia, da sempre ospitale nei confronti dei progetti scientifico culturali di rottura, questa importantissima mostra dedicata a tutte le donne iraniane che combattono per i loro diritti. Il progetto costruito insieme all’associazione Genesi ci vede impegnati su uno dei temi di massima attualità nell’agenda sociale politica culturale globale di questi mesi di cui il recente Nobel e il recente Sacharov sono l’evidente prova benché il progetto fosse partito un apio di anni fa secondo un’intuizione vincente: identificare palinsesti artistico narrativi da contesti geopolitici in cui i diritti sono violati e affondare su di essi con delle esposizioni dedicate all’arte contemporanea. Anche quest’anno il pubblico non rimarrà deluso per la qualità della proposta costruita e i tantissimi rivoli di riflessione che essa genera, vero obiettivo di una completa Istituzione culturale legata all’antico, ma arroccata all’attualità. Francesca Bazoli, Presidente Fondazione Brescia Musei
La mostra Finché non saremo libere prosegue ed espande anche la ricerca sull’educazione ai diritti umani promossa dal 2021 dall’Associazione Genesi con Progetto Genesi, a cura di Ilaria Bernardi, nel quale questa mostra si inserisce.
Sono particolarmente grata alla Fondazione Brescia Musei per aver condiviso con l’Associazione Genesi la grande sfida di concepire una mostra che, per l’attualità della tematica trattata, per l’originale impostazione e per le importanti artiste presenti, svolgerà senz’altro un ruolo di prim’ordine nella diffusione in Italia dei principi che informano la lotta delle donne per i loro diritti e in particolare di quelle iraniane. Letizia Moratti, Presidente Associazione Genesi
Anche quest’anno la mostra che Fondazione Brescia Musei dedica al rapporto tra arte contemporanea e diritti umani rappresenta un momento particolarmente significativo del palinsesto del Festival della Pace – per tutto il periodo della manifestazione cittadina Finché saremo libere sarà ad accesso gratuito per tutti i visitatori – che per il sesto anno viene organizzato a Brescia, e che soprattutto nell’edizione 2023 non solo pone l’attenzione su come la pace e i diritti umani costituiscano un binomio indissolubile, ma si concentra proprio sui diritti (negati) delle donne, facendo luce su come la guerra abbia un impatto violento su di esse e come, proprio le donne, abbiano un ruolo positivo nella risoluzione dei conflitti.
Finché non saremo libere rappresenta una tappa importante del percorso che il Festival della Pace ha intrapreso, a partire dal 2019, con le mostre dedicate a Zehra Doğan, Badiucao e Victoria Lomasko. L’esposizione, infatti, grazie alla presenza di opere di artiste provenienti da differenti luoghi del globo – e in particolare delle artiste iraniane Sonia Balassanian, Farideh Lashai, Shirin Neshat, Soudeh Davoud e Zoya Shokoohi – ci offre ancora una volta l’occasione per riflettere sulla condizione femminile nel mondo, mostrando situazioni in cui i diritti umani vengono calpestati.
È per me estremamente importante che l’Amministrazione comunale, in particolare in questo periodo così problematico e delicato sul piano internazionale, ribadisca il proprio impegno nel sostenere la lotta contro ogni discriminazione. L’arte, a questo proposito, si rivela davvero uno strumento straordinario che ci aiuta a tracciare la rotta verso una società migliore. Laura Castelletti, Sindaca di Brescia
Costruire la pace significa impegnarsi a fondo per contrastare discriminazioni e violazioni dei diritti: per questo la mostra Finché non saremo libere occupa un posto davvero importante all’interno del palinsesto del Festival della Pace di quest’anno. Le opere e le installazioni esposte, attraverso linguaggi e stili differenti, offrono una quantità notevole di spunti di riflessione e di occasioni di approfondimento riguardo alla condizione femminile nel mondo. Una grande opportunità non soltanto per conoscere e per riflettere, a vari livelli, sulla realtà che caratterizza diversi luoghi del pianeta, ma anche un’occasione per impegnarci a costruire un mondo diverso, a partire dalla nostra realtà quotidiana. Del resto, è proprio questo l’obiettivo che il Festival organizzato a Brescia persegue, con coraggio e determinazione, da sei anni a questa parte. Roberto Rossini, Presidente del Consiglio comunale di Brescia
LA MOSTRA
Finché non saremo libere proietta Fondazione Brescia Musei verso un nuovo trattamento per le esposizioni del ciclo “arte e diritti” rispetto a quanto proposto nell'ultimo triennio. Non più una monografica "verticale" dedicata ad artisti dissidenti ma una collettiva inedita con portfolio originali per l'Italia, di altissimo spessore, di artiste mai esposte nel nostro paese. Un progetto di alto impianto curatoriale, con un importante supporto editoriale nella forma del catalogo e delle tantissime iniziative collaterali, utili ad approfondire un tema che partendo dalle sale espositive riverbera nella nostra quotidianità attraverso performance artistiche e dibattiti. La mia gratitudine all’artista Zoya Shokoohi per aver accolto il nostro invito, confermando la fervida tradizione delle residenze artistiche di Brescia Musei. Stefano Karadjov, Direttore Fondazione Brescia Musei
Ad aprire il percorso espositivo di Finché non saremo libere sarà la video installazione Becoming (2015) dell’iraniano Morteza Ahmadvand, che con questa opera riflette sulla possibile convivenza tra culture e sulla necessità di abolire distinzioni e gerarchie tra popoli e individui. Tre video proiettati su altrettanti schermi, a ciascuno dei quali corrisponde uno dei simboli delle tre principali religioni abramitiche: la croce cristiana, una stella di David e un cubo raffigurante la Kaaba islamica, qui idealmente uniti in una sfera che rimanda alla Terra, proposta come spazio in cui non ci sono differenze ma spazio uguale per tutti e tutte. Becoming, come l’intera mostra a Brescia, promuove la convivenza tra esseri umani e il raggiungimento di un’unità pacifica nel tumulto socio-politico e culturale attuale. L’opera dell’unico artista uomo esposto in mostra cede immediatamente il passo a una esposizione interamente dedicata ad artiste donne, divisa in tre sezioni.
La prima sezione presenta un importante nucleo di opere di artiste donne provenienti da varie aree geografiche del pianeta. Queste opere sono prestiti dalla collezione d’arte contemporanea dell’Associazione Genesi e approfondiscono nell’insieme sei complesse e spesso drammatiche questioni culturali, ambientali, sociali e politiche dei nostri tempi.
Il primo tema, affrontato dalle opere di Leila Alaoui – artista franco-marocchina precocemente scomparsa per le gravi ferite riportate durante gli attacchi terroristici a Ouagadougou mentre lavorava per una commissione di Amnesty International –, di Hangama Amiri – artista originaria del Pakistan -, Zhanna Kadyrova – artista ucraina –, Iva Lulashi – artista di origini albanesi – è il diritto alla memoria e all’identità di ogni popolo e come le tradizioni e la storia di ogni comunità siano da considerarsi memoria collettiva da preservare, proteggere, custodire, tramandare.
La seconda questione di attualità, affrontata da Mequitta Ahuja – pittrice figurativa con radici afro-americane e indiane, dalla brasiliana Sonia Gomes e da Otobong Nkanga – artista nigeriana che vive e lavora in Europa –, è l’identità multiculturale e l’importanza del dialogo, dell’interscambio e del rispetto reciproco tra culture.
La violenza del Potere, i soprusi perpetrati e a volte anche tollerati in alcune aree e Paesi del mondo, le guerre, i genocidi, lo sfruttamento sono i temi del terzo sviluppo tematico, sottesi nei lavori di Leila Alaoui, dell’artista sino-americana Hung Liu, che ha vissuto da giovane e in prima persona gli orrori della Rivoluzione culturale di Mao, dell’indiana Shilpa Gupta e di Toyin Ojih Odutola, artista americana di origini nigeriane.
La questione ambientale, l’autodistruzione da parte dell’essere umano del nostro pianeta è testimoniata nell’opera dell’artista franco-americana Anne de Carbuccia, mentre l’artista nigeriana Marcellina Akpojotor, Zehra Doğan – artista e giornalista curda con cittadinanza turca, protagonista della prima edizione del ciclo di esposizioni di Fondazione Brescia Musei dedicate all’arte e ai diritti umani, nota per essere stata arrestata e condannata per aver pubblicato sui social media un suo dipinto in cui raffigura la distruzione di Nusaybin dopo gli scontri tra le forze di sicurezza e gli insorti curdi –, Zanele Muholi – fotografa sudafricana che con la sua arte indaga instancabilmente temi come razzismo, eurocentrismo, femminismo e politiche sessuali – e Billie Zangewa – artista nata in Malawi e poi trasferitasi in Sudafrica – ci parlano più specificatamente della condizione femminile all’interno di contesti, privati o pubblici, in cui la supremazia maschile è ancora molto radicata. La riflessione sulla questione di genere termina con le opere di due affermate artiste iraniane, in qualche modo collegate tra loro. Si tratta di Soudeh Davoud e Shirin Neshat, proposte da Finché non saremo libere come tramite per la seconda e la terza sezione della mostra.
La seconda sezione di mostra presenta due omaggi dedicati a due artiste storiche iraniane che, seppur molto note a livello internazionale, non sono mai state protagoniste di mostre personali in Italia: Sonia Balassanian e Farideh Lashai, entrambe nate negli anni Quaranta, e dunque formatesi prima della Rivoluzione Islamica del 1979.
Sonia Balassanian, nata nel 1942 ad Arak, oggi vive e lavora tra New York e l’Armenia. Ha iniziato come pittrice astratta, ma la sua ricerca ha avuto una svolta dopo il 1979 quando, in Iran, diventa attivista, concentrando il suo lavoro sulle urgenze sociali e politiche legate alle atrocità di quella drammatica situazione, tra cui i diritti umani e l’emancipazione femminile. Le sue opere, esposte in prestigiosi spazi espositivi internazionali tra cui il MoMA di New York e il Padiglione Armeno della Biennale di Venezia del 2007, sottendono spesso una catena infinita di sofferenza, resistenza, trauma. In mostra a Brescia sono presenti tre cicli di opere su carta degli anni Ottanta e un’installazione degli anni Duemila. Nata a Rasht nel 1944, Farideh Lashai ha tenuto mostre personali in importanti musei nel mondo, come il British Museum a Londra, il Prado Museum a Madrid, la Sharjah Art Foundation a Sharjah. Le sue opere sono state esposte in rassegne internazionali, come l’8th Biennale of Sydney, e ad oggi molte fanno parte di prestigiose collezioni d’arte contemporanea tra cui quelle del Centre Georges Pompidou a Parigi e della Sharjah Art Foundation. Come Balassanian, è stata un’attivista: nei primi anni Settanta fu imprigionata a causa della sua politica di sinistra e del suo coinvolgimento nel movimento studentesco negli anni precedenti la rivoluzione islamica. Scomparsa a Teheran nel 2013, per tutta la sua attività ha riflettuto sulla storia e le condizioni socio-politiche dell’Iran. Esposto a Brescia è il suo più importante ciclo di opere: Rabbit in Wonderland, ispirato in parte ad Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e composto da sette opere. Il percorso espositivo si conclude con due coinvolgenti interventi site-specific – Verbum e Respiro –realizzati dalla giovane artista iraniana, Zoya Shokoohi nel corso di una residenza a Brescia avviata dalla Fondazione Brescia Musei come parte della mostra stessa e come ideale apertura verso le future generazioni.
Finché non saremo libere non desidera soltanto approfondire la drammatica condizione femminile in Iran, ma porre anche l’accento sull’importanza delle ricerche di alcune artiste iraniane, selezionandole in base alle loro qualità che hanno permesso loro di imporsi all’interno del sistema artistico internazionale e di oltrepassare la drammatica situazione in cui verte il loro Paese. La mostra promuove così un messaggio di speranza universale e di empowerment per tutte le artiste donne, non solo iraniane.
L’arte ha il compito di partecipare alle vicende dell’umanità, riflettendovi e spesso anticipandone gli sviluppi. L’umanità oggi è a un punto di non ritorno, in quanto sono purtroppo continue le violazioni dei diritti umani. La mostra Finché non saremo libere sceglie di affrontare uno dei drammi più inaccettabili del nostro tempo: la violenza e la mancanza di libertà subite dalle donne, in particolare in Iran. Il percorso espositivo associa opere di artiste iraniane con opere di artiste provenienti da altri paesi del mondo e di differenti generazioni per rivendicare in primo luogo la libertà di espressione femminile come diritto inalienabile. Ilaria Bernardi, curatrice
L’ampio spettro di testimonianze proposte dall’esposizione trova piena sintonia con la sede, il Museo di Santa Giulia di Brescia, e con gli obiettivi di inclusione della Fondazione Brescia Musei, che con il ciclo di esposizioni dedicate al tema arte e diritti umani si è consolidata a livello nazionale e internazionale, allo stesso tempo lanciando grandi artisti che sino all’ospitalità nelle sale del museo bresciano non avevano ottenuto attenzione da parte di istituzioni note per l’impianto curatoriale e scientifico delle proprie proposte.
La mostra Finché non saremo libere prosegue ed espande un filone di ricerca e approfondimento promosso dal 2019 da Fondazione Brescia Musei, che ha scelto di indagare contesti geo-politici di stringente attualità attraverso la prospettiva e la produzione di artisti contemporanei. Capitoli precedenti di questo filone sono state le mostre dedicate al rapporto tra arte e diritti che hanno visto protagonisti l’artista e attivista turca Zehra Doğan (Avremo anche giorni migliori. Opere dalle carceri turche, 2019), che proprio grazie a questa sua esposizione personale fu inserita da The Art Newspaper tra le 100 persone più influenti nel mondo dell’arte contemporanea; l’artista e attivista cinese Badiucao (La Cina non è vicina, 2021) – protagonista nel 2022, grazie al successo della mostra bresciana, di una travelling exhibition al Dox Center for Contemporary Art di Praga, MADe IN CHINA - e l’artista e attivista russa Victoria Lomasko (The Last Soviet Artist, 2022).
È davvero una grande emozione per il quarto anno consecutivo consacrare i nostri importanti spazi del Museo di Santa Giulia, da sempre ospitale nei confronti dei progetti scientifico culturali di rottura, questa importantissima mostra dedicata a tutte le donne iraniane che combattono per i loro diritti. Il progetto costruito insieme all’associazione Genesi ci vede impegnati su uno dei temi di massima attualità nell’agenda sociale politica culturale globale di questi mesi di cui il recente Nobel e il recente Sacharov sono l’evidente prova benché il progetto fosse partito un apio di anni fa secondo un’intuizione vincente: identificare palinsesti artistico narrativi da contesti geopolitici in cui i diritti sono violati e affondare su di essi con delle esposizioni dedicate all’arte contemporanea. Anche quest’anno il pubblico non rimarrà deluso per la qualità della proposta costruita e i tantissimi rivoli di riflessione che essa genera, vero obiettivo di una completa Istituzione culturale legata all’antico, ma arroccata all’attualità. Francesca Bazoli, Presidente Fondazione Brescia Musei
La mostra Finché non saremo libere prosegue ed espande anche la ricerca sull’educazione ai diritti umani promossa dal 2021 dall’Associazione Genesi con Progetto Genesi, a cura di Ilaria Bernardi, nel quale questa mostra si inserisce.
Sono particolarmente grata alla Fondazione Brescia Musei per aver condiviso con l’Associazione Genesi la grande sfida di concepire una mostra che, per l’attualità della tematica trattata, per l’originale impostazione e per le importanti artiste presenti, svolgerà senz’altro un ruolo di prim’ordine nella diffusione in Italia dei principi che informano la lotta delle donne per i loro diritti e in particolare di quelle iraniane. Letizia Moratti, Presidente Associazione Genesi
Anche quest’anno la mostra che Fondazione Brescia Musei dedica al rapporto tra arte contemporanea e diritti umani rappresenta un momento particolarmente significativo del palinsesto del Festival della Pace – per tutto il periodo della manifestazione cittadina Finché saremo libere sarà ad accesso gratuito per tutti i visitatori – che per il sesto anno viene organizzato a Brescia, e che soprattutto nell’edizione 2023 non solo pone l’attenzione su come la pace e i diritti umani costituiscano un binomio indissolubile, ma si concentra proprio sui diritti (negati) delle donne, facendo luce su come la guerra abbia un impatto violento su di esse e come, proprio le donne, abbiano un ruolo positivo nella risoluzione dei conflitti.
Finché non saremo libere rappresenta una tappa importante del percorso che il Festival della Pace ha intrapreso, a partire dal 2019, con le mostre dedicate a Zehra Doğan, Badiucao e Victoria Lomasko. L’esposizione, infatti, grazie alla presenza di opere di artiste provenienti da differenti luoghi del globo – e in particolare delle artiste iraniane Sonia Balassanian, Farideh Lashai, Shirin Neshat, Soudeh Davoud e Zoya Shokoohi – ci offre ancora una volta l’occasione per riflettere sulla condizione femminile nel mondo, mostrando situazioni in cui i diritti umani vengono calpestati.
È per me estremamente importante che l’Amministrazione comunale, in particolare in questo periodo così problematico e delicato sul piano internazionale, ribadisca il proprio impegno nel sostenere la lotta contro ogni discriminazione. L’arte, a questo proposito, si rivela davvero uno strumento straordinario che ci aiuta a tracciare la rotta verso una società migliore. Laura Castelletti, Sindaca di Brescia
Costruire la pace significa impegnarsi a fondo per contrastare discriminazioni e violazioni dei diritti: per questo la mostra Finché non saremo libere occupa un posto davvero importante all’interno del palinsesto del Festival della Pace di quest’anno. Le opere e le installazioni esposte, attraverso linguaggi e stili differenti, offrono una quantità notevole di spunti di riflessione e di occasioni di approfondimento riguardo alla condizione femminile nel mondo. Una grande opportunità non soltanto per conoscere e per riflettere, a vari livelli, sulla realtà che caratterizza diversi luoghi del pianeta, ma anche un’occasione per impegnarci a costruire un mondo diverso, a partire dalla nostra realtà quotidiana. Del resto, è proprio questo l’obiettivo che il Festival organizzato a Brescia persegue, con coraggio e determinazione, da sei anni a questa parte. Roberto Rossini, Presidente del Consiglio comunale di Brescia
LA MOSTRA
Finché non saremo libere proietta Fondazione Brescia Musei verso un nuovo trattamento per le esposizioni del ciclo “arte e diritti” rispetto a quanto proposto nell'ultimo triennio. Non più una monografica "verticale" dedicata ad artisti dissidenti ma una collettiva inedita con portfolio originali per l'Italia, di altissimo spessore, di artiste mai esposte nel nostro paese. Un progetto di alto impianto curatoriale, con un importante supporto editoriale nella forma del catalogo e delle tantissime iniziative collaterali, utili ad approfondire un tema che partendo dalle sale espositive riverbera nella nostra quotidianità attraverso performance artistiche e dibattiti. La mia gratitudine all’artista Zoya Shokoohi per aver accolto il nostro invito, confermando la fervida tradizione delle residenze artistiche di Brescia Musei. Stefano Karadjov, Direttore Fondazione Brescia Musei
Ad aprire il percorso espositivo di Finché non saremo libere sarà la video installazione Becoming (2015) dell’iraniano Morteza Ahmadvand, che con questa opera riflette sulla possibile convivenza tra culture e sulla necessità di abolire distinzioni e gerarchie tra popoli e individui. Tre video proiettati su altrettanti schermi, a ciascuno dei quali corrisponde uno dei simboli delle tre principali religioni abramitiche: la croce cristiana, una stella di David e un cubo raffigurante la Kaaba islamica, qui idealmente uniti in una sfera che rimanda alla Terra, proposta come spazio in cui non ci sono differenze ma spazio uguale per tutti e tutte. Becoming, come l’intera mostra a Brescia, promuove la convivenza tra esseri umani e il raggiungimento di un’unità pacifica nel tumulto socio-politico e culturale attuale. L’opera dell’unico artista uomo esposto in mostra cede immediatamente il passo a una esposizione interamente dedicata ad artiste donne, divisa in tre sezioni.
La prima sezione presenta un importante nucleo di opere di artiste donne provenienti da varie aree geografiche del pianeta. Queste opere sono prestiti dalla collezione d’arte contemporanea dell’Associazione Genesi e approfondiscono nell’insieme sei complesse e spesso drammatiche questioni culturali, ambientali, sociali e politiche dei nostri tempi.
Il primo tema, affrontato dalle opere di Leila Alaoui – artista franco-marocchina precocemente scomparsa per le gravi ferite riportate durante gli attacchi terroristici a Ouagadougou mentre lavorava per una commissione di Amnesty International –, di Hangama Amiri – artista originaria del Pakistan -, Zhanna Kadyrova – artista ucraina –, Iva Lulashi – artista di origini albanesi – è il diritto alla memoria e all’identità di ogni popolo e come le tradizioni e la storia di ogni comunità siano da considerarsi memoria collettiva da preservare, proteggere, custodire, tramandare.
La seconda questione di attualità, affrontata da Mequitta Ahuja – pittrice figurativa con radici afro-americane e indiane, dalla brasiliana Sonia Gomes e da Otobong Nkanga – artista nigeriana che vive e lavora in Europa –, è l’identità multiculturale e l’importanza del dialogo, dell’interscambio e del rispetto reciproco tra culture.
La violenza del Potere, i soprusi perpetrati e a volte anche tollerati in alcune aree e Paesi del mondo, le guerre, i genocidi, lo sfruttamento sono i temi del terzo sviluppo tematico, sottesi nei lavori di Leila Alaoui, dell’artista sino-americana Hung Liu, che ha vissuto da giovane e in prima persona gli orrori della Rivoluzione culturale di Mao, dell’indiana Shilpa Gupta e di Toyin Ojih Odutola, artista americana di origini nigeriane.
La questione ambientale, l’autodistruzione da parte dell’essere umano del nostro pianeta è testimoniata nell’opera dell’artista franco-americana Anne de Carbuccia, mentre l’artista nigeriana Marcellina Akpojotor, Zehra Doğan – artista e giornalista curda con cittadinanza turca, protagonista della prima edizione del ciclo di esposizioni di Fondazione Brescia Musei dedicate all’arte e ai diritti umani, nota per essere stata arrestata e condannata per aver pubblicato sui social media un suo dipinto in cui raffigura la distruzione di Nusaybin dopo gli scontri tra le forze di sicurezza e gli insorti curdi –, Zanele Muholi – fotografa sudafricana che con la sua arte indaga instancabilmente temi come razzismo, eurocentrismo, femminismo e politiche sessuali – e Billie Zangewa – artista nata in Malawi e poi trasferitasi in Sudafrica – ci parlano più specificatamente della condizione femminile all’interno di contesti, privati o pubblici, in cui la supremazia maschile è ancora molto radicata. La riflessione sulla questione di genere termina con le opere di due affermate artiste iraniane, in qualche modo collegate tra loro. Si tratta di Soudeh Davoud e Shirin Neshat, proposte da Finché non saremo libere come tramite per la seconda e la terza sezione della mostra.
La seconda sezione di mostra presenta due omaggi dedicati a due artiste storiche iraniane che, seppur molto note a livello internazionale, non sono mai state protagoniste di mostre personali in Italia: Sonia Balassanian e Farideh Lashai, entrambe nate negli anni Quaranta, e dunque formatesi prima della Rivoluzione Islamica del 1979.
Sonia Balassanian, nata nel 1942 ad Arak, oggi vive e lavora tra New York e l’Armenia. Ha iniziato come pittrice astratta, ma la sua ricerca ha avuto una svolta dopo il 1979 quando, in Iran, diventa attivista, concentrando il suo lavoro sulle urgenze sociali e politiche legate alle atrocità di quella drammatica situazione, tra cui i diritti umani e l’emancipazione femminile. Le sue opere, esposte in prestigiosi spazi espositivi internazionali tra cui il MoMA di New York e il Padiglione Armeno della Biennale di Venezia del 2007, sottendono spesso una catena infinita di sofferenza, resistenza, trauma. In mostra a Brescia sono presenti tre cicli di opere su carta degli anni Ottanta e un’installazione degli anni Duemila. Nata a Rasht nel 1944, Farideh Lashai ha tenuto mostre personali in importanti musei nel mondo, come il British Museum a Londra, il Prado Museum a Madrid, la Sharjah Art Foundation a Sharjah. Le sue opere sono state esposte in rassegne internazionali, come l’8th Biennale of Sydney, e ad oggi molte fanno parte di prestigiose collezioni d’arte contemporanea tra cui quelle del Centre Georges Pompidou a Parigi e della Sharjah Art Foundation. Come Balassanian, è stata un’attivista: nei primi anni Settanta fu imprigionata a causa della sua politica di sinistra e del suo coinvolgimento nel movimento studentesco negli anni precedenti la rivoluzione islamica. Scomparsa a Teheran nel 2013, per tutta la sua attività ha riflettuto sulla storia e le condizioni socio-politiche dell’Iran. Esposto a Brescia è il suo più importante ciclo di opere: Rabbit in Wonderland, ispirato in parte ad Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll e composto da sette opere. Il percorso espositivo si conclude con due coinvolgenti interventi site-specific – Verbum e Respiro –realizzati dalla giovane artista iraniana, Zoya Shokoohi nel corso di una residenza a Brescia avviata dalla Fondazione Brescia Musei come parte della mostra stessa e come ideale apertura verso le future generazioni.
Finché non saremo libere non desidera soltanto approfondire la drammatica condizione femminile in Iran, ma porre anche l’accento sull’importanza delle ricerche di alcune artiste iraniane, selezionandole in base alle loro qualità che hanno permesso loro di imporsi all’interno del sistema artistico internazionale e di oltrepassare la drammatica situazione in cui verte il loro Paese. La mostra promuove così un messaggio di speranza universale e di empowerment per tutte le artiste donne, non solo iraniane.
L’arte ha il compito di partecipare alle vicende dell’umanità, riflettendovi e spesso anticipandone gli sviluppi. L’umanità oggi è a un punto di non ritorno, in quanto sono purtroppo continue le violazioni dei diritti umani. La mostra Finché non saremo libere sceglie di affrontare uno dei drammi più inaccettabili del nostro tempo: la violenza e la mancanza di libertà subite dalle donne, in particolare in Iran. Il percorso espositivo associa opere di artiste iraniane con opere di artiste provenienti da altri paesi del mondo e di differenti generazioni per rivendicare in primo luogo la libertà di espressione femminile come diritto inalienabile. Ilaria Bernardi, curatrice
L’ampio spettro di testimonianze proposte dall’esposizione trova piena sintonia con la sede, il Museo di Santa Giulia di Brescia, e con gli obiettivi di inclusione della Fondazione Brescia Musei, che con il ciclo di esposizioni dedicate al tema arte e diritti umani si è consolidata a livello nazionale e internazionale, allo stesso tempo lanciando grandi artisti che sino all’ospitalità nelle sale del museo bresciano non avevano ottenuto attenzione da parte di istituzioni note per l’impianto curatoriale e scientifico delle proprie proposte.
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