La donna di Raffaello icona della mostra alle Scuderie del Quirinale
La Fornarina come non l’avete vista mai
Raffaello Sanzio, La Fornarina, 1520 circa, Olio su tavola, 63 x 87 cm | Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica, Roma
Eleonora Zamparutti
28/01/2020
Oggi la Fornarina di Raffaello è finita sotto la lente di ingradimento di un robot che ha eseguito la scansione digitale ad altissima risoluzione del capolavoro. Prima di essere sottoposto all’indagine, il dipinto, smontato dalla sua cornice e collocato su un cavalletto, è stato osservato meticolosamente dallo sguardo chirurgico di un’équipe di restauratori in camice bianco e poi sottoposto all’esame.
“Stiamo utilizzando una macchina innovativa per la quale ci sono voluti cinque anni di sviluppo, che impiega tecnologie fotografiche e fotogrammetriche di altissima precisione” afferma Luca Ponzio, fondatore di Haltadefinizione, azienda della Franco Cosimo Panini Editore, specializzata nell’acquisizione di immagini ad alta risoluzione dei capolavori d’arte . “Attraverso l’acquisizione di una grande mole di dati, siamo in grado di realizzare il modello in 3D dell’opera, restituendo la forma e la profondità delle singole pennellate ed evidenziando eventuali distacchi o crepature”.
Foto: Alberto Novelli
Prima che la Fornarina parta alla volta delle Scuderie del Quirinale per la grande mostra su Raffaello in occasione del V centenario dalla morte dell’artista e poi voli a Londra per un’esposizione in calendario per l’autunno 2020, le Gallerie nazionali Barberini Corsini hanno dato il via a un’indagine volta a conoscere lo stato di conservazione dell’opera e utile per studiare da vicino i dettagli, come mai si era potuto fare in precedenza.
“Oggi avete l’occasione di vedere la Fornarina come non l’avete vista mai” afferma Chiara Mercucci, responsabile del dipartimento di restauro delle Gallerie nazionali Barberini Corsini di Roma. “I colori del ritratto, anche attraverso il migliore dei vetri, non saranno mai percepibili a occhio nudo come li potete vedere adesso. Nei prossimi giorni faremo delle indagini, lavoreremo su fotografie ad altissima risoluzione e con una risoluzione in 3D. Cominceremo una campagna di indagine in XRF mapping su tutta la superficie dell’opera che ci consentirà di individuare i pigmenti di origine minerale. Incrociando tutti i dati in nostro possesso, potremo farci un’idea più chiara di come Raffaello abbia dipinto il quadro.”
Le prime scoperte sul dipinto risalgono agli anni Ottanta quando, sulla base delle radiografie eseguite allora, era emerso dietro le fronde un paesaggio fluviale di stampo leonardesco, con piccole costruzioni in lontananza. Di quel paesaggio oggi non resta più traccia, eccetto un piccolo cespuglio di mirto dietro la testa della Fornarina.
“Raffaello ha cambiato idea in corso d’opera. Attraverso le analisi a infrarossi che permettono di andare leggermente al di sotto di quello che vediamo, si riesce a evidenziare il disegno preparatorio che in questo caso è estremamente libero. Si tratta di un disegno non riportato da uno studio, ma eseguito direttamente sulla tavola. Da grande disegnatore qual era, Raffaello ha cercato l’immagine, e poi su questa immagine ha continuato a lavorare cambiando il fondo, modificando la posizione del braccio, lavorando direttamente a pennello. Il quadro è stato cominciato con la più tradizionale delle tecniche pittoriche in uso all’inizio del ‘500: quindi con una preparazione a gesso e colla, e un’imprimitura da cui si possono vedere le impronte digitali perché si usava stendere il colore con le mani. Non è detto che le impronte siano quelle di Raffaello perché magari il maestro si era fatto preparare la tavola da qualcuno dei suoi allievi in bottega. Ma quando il maestro è arrivato a metterci le mani, la tradizione è rimasta alle spalle ed è partito il genio. Raffaello ha cominciato a disegnare in modo diretto e a cercare l’immagine impostando il paesaggio senza tuttavia risolvere mai il rapporto tra lo sfondo e il primo piano. La soluzione della quinta di fronde di fatto offre un rapporto più ravvicinato con la donna, eliminando ogni distrazione intorno”.
Foto: Alberto Novelli
“La Fornarina è forse uno dei quadri più iconici di Raffaello” afferma Alessandro Cosma, funzionario conservatore e storico dell’arte presso il museo di via delle Quattro Fontane. “Il nome del dipinto è un po’ particolare ed è stato associato all’opera molto tardi, nel corso del Settecento. C’era una donna che Raffaello amava più di tutte le altre, ci narrano alcune delle fonti cinquecentesche. In una postilla alle Vite di Vasari, qualcuno nel ‘500 aveva annotato il nome di Margherita. Risale al 1595 la prima testimonianza relativa all’opera, rinvenuta in una corrispondenza con Rodolfo II di Praga che tentava di acquistare il capolavoro. Evidentemente si trattava di un quadro famoso già all’epoca che si trovava nella collezione Santa Fiora, quindi era già passato di varie mani. Al ‘600 risalgono le prime fonti che lo descrivono come il ritratto della donna amata da Raffaello, Margherita. Nel corso del ‘700 in un’incisione compare il nome di Fornarina. Secondo alcune informazioni, esisteva a Trastevere una certa Margherita che si chiuse in un convento nel 1520 anno in cui morì Raffaello, figlia di Francesco di Siena che faceva il fornaio. Da quel momento nasce un’idea romantica di una storia d’amore legata al dipinto di Raffaello. Nell’800 tutti questi elementi si fondo insieme e l’immagine del dipinto diventa la Fornarina, cioè la figlia del fornaio di Trastevere di cui Raffaello si era innamorato.”
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Foto: Alberto Novelli
Prima che la Fornarina parta alla volta delle Scuderie del Quirinale per la grande mostra su Raffaello in occasione del V centenario dalla morte dell’artista e poi voli a Londra per un’esposizione in calendario per l’autunno 2020, le Gallerie nazionali Barberini Corsini hanno dato il via a un’indagine volta a conoscere lo stato di conservazione dell’opera e utile per studiare da vicino i dettagli, come mai si era potuto fare in precedenza.
“Oggi avete l’occasione di vedere la Fornarina come non l’avete vista mai” afferma Chiara Mercucci, responsabile del dipartimento di restauro delle Gallerie nazionali Barberini Corsini di Roma. “I colori del ritratto, anche attraverso il migliore dei vetri, non saranno mai percepibili a occhio nudo come li potete vedere adesso. Nei prossimi giorni faremo delle indagini, lavoreremo su fotografie ad altissima risoluzione e con una risoluzione in 3D. Cominceremo una campagna di indagine in XRF mapping su tutta la superficie dell’opera che ci consentirà di individuare i pigmenti di origine minerale. Incrociando tutti i dati in nostro possesso, potremo farci un’idea più chiara di come Raffaello abbia dipinto il quadro.”
Le prime scoperte sul dipinto risalgono agli anni Ottanta quando, sulla base delle radiografie eseguite allora, era emerso dietro le fronde un paesaggio fluviale di stampo leonardesco, con piccole costruzioni in lontananza. Di quel paesaggio oggi non resta più traccia, eccetto un piccolo cespuglio di mirto dietro la testa della Fornarina.
“Raffaello ha cambiato idea in corso d’opera. Attraverso le analisi a infrarossi che permettono di andare leggermente al di sotto di quello che vediamo, si riesce a evidenziare il disegno preparatorio che in questo caso è estremamente libero. Si tratta di un disegno non riportato da uno studio, ma eseguito direttamente sulla tavola. Da grande disegnatore qual era, Raffaello ha cercato l’immagine, e poi su questa immagine ha continuato a lavorare cambiando il fondo, modificando la posizione del braccio, lavorando direttamente a pennello. Il quadro è stato cominciato con la più tradizionale delle tecniche pittoriche in uso all’inizio del ‘500: quindi con una preparazione a gesso e colla, e un’imprimitura da cui si possono vedere le impronte digitali perché si usava stendere il colore con le mani. Non è detto che le impronte siano quelle di Raffaello perché magari il maestro si era fatto preparare la tavola da qualcuno dei suoi allievi in bottega. Ma quando il maestro è arrivato a metterci le mani, la tradizione è rimasta alle spalle ed è partito il genio. Raffaello ha cominciato a disegnare in modo diretto e a cercare l’immagine impostando il paesaggio senza tuttavia risolvere mai il rapporto tra lo sfondo e il primo piano. La soluzione della quinta di fronde di fatto offre un rapporto più ravvicinato con la donna, eliminando ogni distrazione intorno”.
Foto: Alberto Novelli
“La Fornarina è forse uno dei quadri più iconici di Raffaello” afferma Alessandro Cosma, funzionario conservatore e storico dell’arte presso il museo di via delle Quattro Fontane. “Il nome del dipinto è un po’ particolare ed è stato associato all’opera molto tardi, nel corso del Settecento. C’era una donna che Raffaello amava più di tutte le altre, ci narrano alcune delle fonti cinquecentesche. In una postilla alle Vite di Vasari, qualcuno nel ‘500 aveva annotato il nome di Margherita. Risale al 1595 la prima testimonianza relativa all’opera, rinvenuta in una corrispondenza con Rodolfo II di Praga che tentava di acquistare il capolavoro. Evidentemente si trattava di un quadro famoso già all’epoca che si trovava nella collezione Santa Fiora, quindi era già passato di varie mani. Al ‘600 risalgono le prime fonti che lo descrivono come il ritratto della donna amata da Raffaello, Margherita. Nel corso del ‘700 in un’incisione compare il nome di Fornarina. Secondo alcune informazioni, esisteva a Trastevere una certa Margherita che si chiuse in un convento nel 1520 anno in cui morì Raffaello, figlia di Francesco di Siena che faceva il fornaio. Da quel momento nasce un’idea romantica di una storia d’amore legata al dipinto di Raffaello. Nell’800 tutti questi elementi si fondo insieme e l’immagine del dipinto diventa la Fornarina, cioè la figlia del fornaio di Trastevere di cui Raffaello si era innamorato.”
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