Allegoria del Vizio e della Virtù

Lorenzo Lotto

National Gallery of Art

 
DESCRIZIONE:
L’Allegoria del vizio e della virtu’ venne realizzata da Lorenzo Lotto come semplice sovracoperta per un altro dipinto nel 1505, probabilmente per espresso desiderio del vescovo Bernardo de’ Rossi, suo primo grande mecenate nel Trevigiano. Col tempo, pero’, i critici hanno finito per considerarla come uno dei maggiori capolavori dell’irrequieto pittore veneto, attivo soprattutto nelle Marche e poi sepolto in abiti religiosi nel santuario della Madonna di Loreto. Negli anni Novanta la tela è stata infatti al centro della grande esposizione dedicata al Lotto dalla National Gallery di Washington, suscitando nuovi dibattiti tra storici ed esperti di ogni parte del mondo. Qual’è il suo vero significato? E perchè è divisa in due sezioni apparentemente inconciliabili tra loro? Secondo l’interpretazione piu’ diffusa, l’Allegoria sarebbe un quadro di lutto, eseguito per commemorare il declino della famiglia del vescovo de’ Rossi, dilaniata all’epoca da feroci lotte intestine. Al centro della scena, spezzata da un tetro albero morto, spicca infatti un piccolo ramo florido segnato dallo stemma della nobile casata trevigiana, posto quasi come ammonimento verso i turbolenti parenti del potente prelato, successivamente responsabili della sua morte per avvelenamento. Ma le atmosfere del messaggio sono troppo bizzarre per riferirsi unicamente ad una questione privata. Come spiegare altrimenti il florido paesaggio di sinistra, abitato da un putto rilassato e sorridente, quasi ignaro del cielo tempestoso sopra di esso? Ecco quindi aprirsi nuove possiblità interpretative, purtroppo non confermate da alcuna documentazione d’archivio. Nonostante Lotto fosse infatti autore di un memorabile epistolario, paragonabile per certi versi a quello del Vasari, buona parte di esso è andata definitivamente perduta nel corso dei secoli. Si puo’ cosi’ procedere solo per tentativi, cercando di individuare con precisione il significato di ciascun elemento scenico: il putto, ad esempio, sembra racchiudere la perfezione delle virtu’ intellettuali, diretta verso la propria realizzazione finale (l’aspro sentiero che sale sulla collina), mentre il satiro ubriaco nell’altra parte del quadro simboleggia invece i disastri dell’intemperanza, annunciati dalla lontana apparizione di una nave prossima al naufragio. L’albero centrale rimanda poi alla profonda ambiguità della vita, che pur sotto una formale aridità conserva una straordinaria ricchezza affettiva (i due piccoli fiori riparati presso il tronco, protetti dal dolce sguardo di un amorino). Presi complessivamente, tutti questi elementi parrebbero suggerire una narrazione di tipo circolare, che non si chiude affatto con la morte del tronco in primo piano, ma promette bensi’ un nuovo inizio grazie all’esercizio corretto delle proprie facoltà morali. Passato, presente e futuro si fondono cosi’ in un inno alla conoscenza intellettuale degno delle migliori dottrine esoteriche greco-romane, soprattutto di quelle relative alla filosofia occulta di Ermete Trimegisto, oggetto di autentica venerazione da parte delle classi colte rinascimentali. Ma si tratta - come già ribadito in precedenza - di una mera ipotesi, non suffragata da elementi concreti. Alcuni studiosi notano infatti la presenza, nella tela, di vari particolari riguardanti il mito classico di Cloe e Dafni, inclusa la somiglianza del satiro con il leggendario dio Pan, amico e protettore dei due sfortunari amanti. E il vecchio dissoluto ricorda molto anche il padre del pastore che piange la loro tragica morta alla fine della vicenda. Comunque sia, l’Allegoria resta opera raffinata ed accattivante, degna rivale della Tempesta giorgionesca per grazia formale e complessità contenutistica. Un esempio perfetto, quindi, di come nel Cinquecento la creazione artistica fosse spesso frutto di molteplici percorsi semantici, stratificati poi in sintesi finali aperte alla libera immaginazione dello spettatore.
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