Tra arte e antropologia, l'interdisciplinarità universale della bellezza è di casa alla Guggenheim
Migrating Objects: viaggio tra l'Africa, l'Oceania e le Americhe con l'arte amata da Peggy Guggenheim

Alla preview di Migrating Objects. Arte dall’Africa, dall'Oceania e dalle Americhe nella Collezione, Peggy Guggenheim a Venezia | Foto © ARTE.it
Laura Bellucci
13/02/2020
Venezia - Con Migrating Objects. Arte dall'Africa, dall'Oceania e dalle Americhe nella Collezione Peggy Guggenheim il museo veneziano rende omaggio alla libertà di spirito della sua celebre fondatrice, presentando al pubblico una selezione inedita di opere provenienti da diversi continenti e culture che la mecenate iniziò a collezionare tra gli anni ’50 e ’60.

Peggy Guggenheim nel salotto di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, primi anni ’60 | Foto: Archivio Cameraphoto Epoche. The Solomon R. Guggenheim Foundation. Gift, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005
Quando Peggy diede il via alla sua raccolta di tesori da paesi lontani il fascino per l'esotismo era giò una moda diffusa in occidente, ma la naturale attitudine a considerare tali manufatti alla stessa stregua dei lavori d'arte moderna europea o nordamericana, sia per affinità formali sia concettuali, non era altrettanto comune. Nonostante ciò, l'operato delle avanguardie occidentali, per ammissione degli stessi artisti, venne in realtà intrinsecamente plasmato dai principi e dai temi mutuati dalle civiltà agli antipodi.
Ed è sulla scia di tale atteggiamento che oggi risulta particolarmente appropriato - come afferma Vivien Greene, che ha curato questa originale esposizione insieme a Christa Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen e Fanny Wonu Veys - "focalizzare una mostra del genere nel momento giusto", in un tempo che fatica a metabolizzare i postumi delle invasioni coloniali così come i mutamenti repentini del presente, continuando a definire "primitivo" tutto ciò che è altro da sé od ostinandosi a livellare ogni differenza di linguaggio e contenuto in nome di un imperturbabile "politicamente corretto".

Cimiero femmina Ci Wara, Probabilmente prima metà del XX secolo, Artista non riconosciuto, Bamana, Regione Ségou, Mali Legno, 86 x 30 x 10 cm | Foto: © ARTE.it
I 35 Oggetti esposti, di alcuni dei quali nulla si conosce riguardo alla provenienza o al significato originari, forse reduci da antichi saccheggi di cui serbano memorie che non potranno mai essere narrate, come misteriosi monoliti alieni, paiono diffondere una sorta di magnetismo, un'attrazione puramente estetica o l'emanzione residua di un'arcana magia.
Maschere tribali, sculture apotropaiche, ornamenti rituali, evocano ignote e innumerevoli peregrinazioni durante le quali sembrano avere acquisito il potere proprio di certi Oggetti Magici, comuni a molti popoli e capaci di svelare passaggi inattesi tra i mondi, e coesistono nell'atmosfera rarefatta delle candide sale del Guggenheim, fino a confondersi con le figure archetipiche di Henry Moore, il Busto d'uomo in maglia a righe di Picasso o L'antipapa di Max Ernst, in quella stessa complessa multidimensionalità che da qualche parte nel mondo porta il nome di Arte.

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Peggy Guggenheim nel salotto di Palazzo Venier dei Leoni, Venezia, primi anni ’60 | Foto: Archivio Cameraphoto Epoche. The Solomon R. Guggenheim Foundation. Gift, Cassa di Risparmio di Venezia, 2005
Quando Peggy diede il via alla sua raccolta di tesori da paesi lontani il fascino per l'esotismo era giò una moda diffusa in occidente, ma la naturale attitudine a considerare tali manufatti alla stessa stregua dei lavori d'arte moderna europea o nordamericana, sia per affinità formali sia concettuali, non era altrettanto comune. Nonostante ciò, l'operato delle avanguardie occidentali, per ammissione degli stessi artisti, venne in realtà intrinsecamente plasmato dai principi e dai temi mutuati dalle civiltà agli antipodi.
Ed è sulla scia di tale atteggiamento che oggi risulta particolarmente appropriato - come afferma Vivien Greene, che ha curato questa originale esposizione insieme a Christa Clarke, R. Tripp Evans, Ellen McBreen e Fanny Wonu Veys - "focalizzare una mostra del genere nel momento giusto", in un tempo che fatica a metabolizzare i postumi delle invasioni coloniali così come i mutamenti repentini del presente, continuando a definire "primitivo" tutto ciò che è altro da sé od ostinandosi a livellare ogni differenza di linguaggio e contenuto in nome di un imperturbabile "politicamente corretto".

Cimiero femmina Ci Wara, Probabilmente prima metà del XX secolo, Artista non riconosciuto, Bamana, Regione Ségou, Mali Legno, 86 x 30 x 10 cm | Foto: © ARTE.it
I 35 Oggetti esposti, di alcuni dei quali nulla si conosce riguardo alla provenienza o al significato originari, forse reduci da antichi saccheggi di cui serbano memorie che non potranno mai essere narrate, come misteriosi monoliti alieni, paiono diffondere una sorta di magnetismo, un'attrazione puramente estetica o l'emanzione residua di un'arcana magia.
Maschere tribali, sculture apotropaiche, ornamenti rituali, evocano ignote e innumerevoli peregrinazioni durante le quali sembrano avere acquisito il potere proprio di certi Oggetti Magici, comuni a molti popoli e capaci di svelare passaggi inattesi tra i mondi, e coesistono nell'atmosfera rarefatta delle candide sale del Guggenheim, fino a confondersi con le figure archetipiche di Henry Moore, il Busto d'uomo in maglia a righe di Picasso o L'antipapa di Max Ernst, in quella stessa complessa multidimensionalità che da qualche parte nel mondo porta il nome di Arte.

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