Un importante ritrovamento archeologico
Una piccola Pompei nel cuore di Roma. Riemergono lo scheletro di un cane e il solaio in legno di un edificio del III secolo d.C.
Una porzione del mosaico rinvenuto a Roma tra i cantieri di scavo della linea C della metropolitana. Courtesy of Soprintendenza speciale di Roma Archeologia Belle Arti e Paesaggio
Samantha De Martin
26/06/2017
Roma - Una porzione di solaio in legno, la gamba di uno sgabello o forse di un tavolino, tracce di mobilio, suppellettili, lo scheletro di un cane di media taglia, accucciato davanti a quella che doveva essere una porta, rimasto intrappolato tra le fiamme e riemerso, nel cuore di Roma, a distanza di quasi 1800 anni.
È uno scenario pompeiano, unico per la Capitale e che lascia senza fiato, quello che riemerge a ridosso delle Mura Aureliane, nei pressi di piazza San Giovanni in Laterano. Un momento di vita quotidiana risalente al III secolo d.C si è cristallizzato per sempre durante un terribile incendio divampato in un edificio, per riemergere, a maggio scorso, tra i cantieri di scavo per la realizzazione della linea C della metropolitana e farsi ammirare oggi, ma solo per pochi e per qualche ora - su invito della Soprintendenza Speciale di Roma Archeologia Belle arti e Paesaggio - in tutta la sua misteriosa bellezza.
Si tratta di due ambienti in opera mista di età traianea con rimaneggiamenti di età adrianea, che, nonostante un incendio divampato all'improvviso, contengono ancora ampie e ben conservate sezioni del solaio ligneo e del mobilio.
Il ritrovamento, presentato oggi alla stampa, è avvenuto grazie alla realizzazione del Pozzo Q15 tra via della Ferratella e via dell'Amba Aradam, uno scavo resosi necessario per mettere in sicurezza le vicine Mura Aureliane. Come in un generoso abbraccio del tempo, tra le paratie perimetrali in pali di cemento, all'interno del pozzo - largo otto metri e profondo quattordici, di cui dieci già scavati - si è conservato nei secoli un prezioso frammento di storia della città.
Dall'alto, ma anche man mano che si scende verso il cantiere, la vista è affascinate e gli occhi frugano tra le meraviglie di questo inedito, silenzioso museo a cielo aperto. I materiali rinvenuti lasciano intravedere le particolari tecniche di costruzione degli edifici romani, svelando i metodi di fabbricazione del mobilio nella media età imperiale.
Sono state, infatti, le condizioni ambientali eccezionali - come d'altronde nel caso di Ercolano e Pompei - a consentire la conservazione del solaio che, mineralizzatosi con l'incendio, è rimasto quasi intatto, rappresentando un unicum per Roma.
A catturare lo sguardo sono soprattutto un prezioso mosaico pavimentale in bianco e nero appartenente al piano superiore dell'edificio e i frammenti di intonaco dipinto delle pareti e del soffitto.
E ancora si possono scorgere i travetti di legno rettangolari cui erano legate le canne che consentivano il fissaggio degli intonaci al solaio e alle pareti, la cosiddetta contignatio descritta da Vitruvio, identificabile con una grossa trave che conserva gli incassi per l'inserzione dei travicelli trasversali e una grossa chiodatura in ferro.
Al piano terra della struttura si scorge un'ampia porzione di parete in opera laterizia con decorazione e affresco risalente all'età severiana, caratterizzata da riquadri nei quali spicca un fiore sopra un candelabro vegetale.
La presenza del cane, i cui resti si possono osservare all'interno dello scavo, prova che l'incendio - forse scatenato da un evento sismico - sia stato improvviso e che l'edificio non sia stato volutamente abbattuto.
L'esistenza di un sistema di riscaldamento, forse termale, di mosaici, affreschi e lastre marmoree di grande pregio, potrebbe far pensare che l'edificio fosse utilizzato come ambiente militare di rappresentanza, probabilmente parte della vicina caserma rinvenuta in via Ipponio. Oppure potrebbe trattarsi di una delle tante lussuose domus aristocratiche che in età imperiale facevano capolino dalle pendici meridionali del Celio.
La continuazione dello scavo potrebbe fornire ulteriori dati per risalire ai motivi del crollo e alla funzione dell'edificio. I lavori proseguiranno, le strutture murarie e i rivestimenti verranno smontati e i resti delocalizzati per essere poi riallestiti, in futuro, in una sede ancora da definire.
Certo, guardarli e sentirli rivivere eccezionamente nel luogo in cui la tragedia si è consumata, forse tra le voci concitate di chi vi risiedeva o nella totale rassegnazione di chi, come quel cane, assisteva impotente all'avanzare delle fiamme, è un'emozione forte, che difficilmente potrà essere trasferita altrove.
Leggi anche:
• A Roma riaffiora un tratto dell'acquedotto repubblicano
È uno scenario pompeiano, unico per la Capitale e che lascia senza fiato, quello che riemerge a ridosso delle Mura Aureliane, nei pressi di piazza San Giovanni in Laterano. Un momento di vita quotidiana risalente al III secolo d.C si è cristallizzato per sempre durante un terribile incendio divampato in un edificio, per riemergere, a maggio scorso, tra i cantieri di scavo per la realizzazione della linea C della metropolitana e farsi ammirare oggi, ma solo per pochi e per qualche ora - su invito della Soprintendenza Speciale di Roma Archeologia Belle arti e Paesaggio - in tutta la sua misteriosa bellezza.
Si tratta di due ambienti in opera mista di età traianea con rimaneggiamenti di età adrianea, che, nonostante un incendio divampato all'improvviso, contengono ancora ampie e ben conservate sezioni del solaio ligneo e del mobilio.
Il ritrovamento, presentato oggi alla stampa, è avvenuto grazie alla realizzazione del Pozzo Q15 tra via della Ferratella e via dell'Amba Aradam, uno scavo resosi necessario per mettere in sicurezza le vicine Mura Aureliane. Come in un generoso abbraccio del tempo, tra le paratie perimetrali in pali di cemento, all'interno del pozzo - largo otto metri e profondo quattordici, di cui dieci già scavati - si è conservato nei secoli un prezioso frammento di storia della città.
Dall'alto, ma anche man mano che si scende verso il cantiere, la vista è affascinate e gli occhi frugano tra le meraviglie di questo inedito, silenzioso museo a cielo aperto. I materiali rinvenuti lasciano intravedere le particolari tecniche di costruzione degli edifici romani, svelando i metodi di fabbricazione del mobilio nella media età imperiale.
Sono state, infatti, le condizioni ambientali eccezionali - come d'altronde nel caso di Ercolano e Pompei - a consentire la conservazione del solaio che, mineralizzatosi con l'incendio, è rimasto quasi intatto, rappresentando un unicum per Roma.
A catturare lo sguardo sono soprattutto un prezioso mosaico pavimentale in bianco e nero appartenente al piano superiore dell'edificio e i frammenti di intonaco dipinto delle pareti e del soffitto.
E ancora si possono scorgere i travetti di legno rettangolari cui erano legate le canne che consentivano il fissaggio degli intonaci al solaio e alle pareti, la cosiddetta contignatio descritta da Vitruvio, identificabile con una grossa trave che conserva gli incassi per l'inserzione dei travicelli trasversali e una grossa chiodatura in ferro.
Al piano terra della struttura si scorge un'ampia porzione di parete in opera laterizia con decorazione e affresco risalente all'età severiana, caratterizzata da riquadri nei quali spicca un fiore sopra un candelabro vegetale.
La presenza del cane, i cui resti si possono osservare all'interno dello scavo, prova che l'incendio - forse scatenato da un evento sismico - sia stato improvviso e che l'edificio non sia stato volutamente abbattuto.
L'esistenza di un sistema di riscaldamento, forse termale, di mosaici, affreschi e lastre marmoree di grande pregio, potrebbe far pensare che l'edificio fosse utilizzato come ambiente militare di rappresentanza, probabilmente parte della vicina caserma rinvenuta in via Ipponio. Oppure potrebbe trattarsi di una delle tante lussuose domus aristocratiche che in età imperiale facevano capolino dalle pendici meridionali del Celio.
La continuazione dello scavo potrebbe fornire ulteriori dati per risalire ai motivi del crollo e alla funzione dell'edificio. I lavori proseguiranno, le strutture murarie e i rivestimenti verranno smontati e i resti delocalizzati per essere poi riallestiti, in futuro, in una sede ancora da definire.
Certo, guardarli e sentirli rivivere eccezionamente nel luogo in cui la tragedia si è consumata, forse tra le voci concitate di chi vi risiedeva o nella totale rassegnazione di chi, come quel cane, assisteva impotente all'avanzare delle fiamme, è un'emozione forte, che difficilmente potrà essere trasferita altrove.
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