Dal 27 giugno al 29 novembre presso la Fondation Pierre Gianadda
Rodin e Giacometti: una strana coppia in mostra a Martigny
Alberto Giacometti, Homme qui marche II, 1960, plâtre, 188,5 x 29,10 x 111,2 cm, Fondation Giacometti, Paris © 2019, ProLitteris, Zurich / Auguste Rodin, l’Homme qui marche, grand modèle, 1907, plâtre, 219 x 160 x 73,5 cm, Musée Rodin, Paris © Photo
Francesca Grego
25/06/2019
Mondo - Uno è considerato il padre della scultura moderna, l’altro la quintessenza del Modernismo in scultura: per la prima volta una mostra mette direttamente a confronto Auguste Rodin e Alberto Giacometti evidenziando, al di là di stili e riferimenti storici differenti, spunti, pratiche e temi comuni.
Dal 27 giugno al 29 novembre, alla Fondazione Pierre Gianadda di Martigny più di 130 opere illustreranno echi, parallelismi e possibili derivazioni che legano il lavoro dei due artisti, spaziando dal marmo al bronzo, dalle piccole alle grandi dimensioni. Un progetto reso possibile dalla collaborazione della fondazione svizzera con il Musée Rodin e la Fondation Giacometti di Parigi, depositari dell’eredità degli scultori da cui arriverà il prezioso corpus espositivo.
Quando Giacometti si trasferisce a Parigi nel 1922, Rodin è scomparso da cinque anni lasciandosi dietro la reputazione di grande innovatore. Giacometti legge i testi che lo riguardano, segue i corsi di Antoine Bourdelle, studente e assistente del maestro, e interroga il fonditore Eugéne Rudier sui metodi usati da Rodin. Nel 1939 assiste con attenzione all’inaugurazione postuma del Monument à Balzac in Boulevard du Montparnasse. Un giorno d’autunno del 1950 si fa fotografare in mezzo al gruppo dei Bourgeois de Calais, in un’immagine scherzosa ed eloquente.
Insomma, che il bizzarro e perfezionista Giacometti ammirasse Rodin non è un mistero. Ma quale influenza ebbe sulla sua opera il maestro francese? In che modo si incontrarono le strade dei due scultori?
A Martigny lo scopriamo in un percorso ricco e ben documentato, un doppio viaggio che attraverso i rispettivi capolavori passa in rassegna i temi comuni in questa inattesa coppia di artisti. Dalle sperimentazioni sul modellato, cruciali nell’opera di entrambi, alla tipologia del gruppo scultoreo, fino alle fonti di ispirazione - “tutta l’arte del passato, di tutti i periodi, di tutte le civiltà, si erge improvvisamente davanti a me, tutto è simultaneo, come se il tempo sostituisse lo spazio”, scrisse Giacometti.
Da tenere d’occhio, le sezioni dedicate alla deformazione dei corpi e all’uso creativo del caso e dell’incidente, intesi come occasioni per aprire nuove vie per la scultura: si vedano qui il celebre Homme au nez cassé di Rodin e le tante figure rotte che Giacometti conservava gelosamente nell’atelier di rue Hyppolite-Maindron.
E infine la fascinazione dell’Homme qui marche, l’Uomo che cammina: stesso titolo e stesso gesto per due opere iconiche, una creata nel 1907, l’altra nel 1960. Una naturalistica, dinamica, ma priva di testa e braccia, l’altra filiforme e allampanata, priva di dettagli anatomici: entrambe a proprio modo essenziali, in cammino verso una nuova idea di scultura.
Dal 27 giugno al 29 novembre, alla Fondazione Pierre Gianadda di Martigny più di 130 opere illustreranno echi, parallelismi e possibili derivazioni che legano il lavoro dei due artisti, spaziando dal marmo al bronzo, dalle piccole alle grandi dimensioni. Un progetto reso possibile dalla collaborazione della fondazione svizzera con il Musée Rodin e la Fondation Giacometti di Parigi, depositari dell’eredità degli scultori da cui arriverà il prezioso corpus espositivo.
Quando Giacometti si trasferisce a Parigi nel 1922, Rodin è scomparso da cinque anni lasciandosi dietro la reputazione di grande innovatore. Giacometti legge i testi che lo riguardano, segue i corsi di Antoine Bourdelle, studente e assistente del maestro, e interroga il fonditore Eugéne Rudier sui metodi usati da Rodin. Nel 1939 assiste con attenzione all’inaugurazione postuma del Monument à Balzac in Boulevard du Montparnasse. Un giorno d’autunno del 1950 si fa fotografare in mezzo al gruppo dei Bourgeois de Calais, in un’immagine scherzosa ed eloquente.
Insomma, che il bizzarro e perfezionista Giacometti ammirasse Rodin non è un mistero. Ma quale influenza ebbe sulla sua opera il maestro francese? In che modo si incontrarono le strade dei due scultori?
A Martigny lo scopriamo in un percorso ricco e ben documentato, un doppio viaggio che attraverso i rispettivi capolavori passa in rassegna i temi comuni in questa inattesa coppia di artisti. Dalle sperimentazioni sul modellato, cruciali nell’opera di entrambi, alla tipologia del gruppo scultoreo, fino alle fonti di ispirazione - “tutta l’arte del passato, di tutti i periodi, di tutte le civiltà, si erge improvvisamente davanti a me, tutto è simultaneo, come se il tempo sostituisse lo spazio”, scrisse Giacometti.
Da tenere d’occhio, le sezioni dedicate alla deformazione dei corpi e all’uso creativo del caso e dell’incidente, intesi come occasioni per aprire nuove vie per la scultura: si vedano qui il celebre Homme au nez cassé di Rodin e le tante figure rotte che Giacometti conservava gelosamente nell’atelier di rue Hyppolite-Maindron.
E infine la fascinazione dell’Homme qui marche, l’Uomo che cammina: stesso titolo e stesso gesto per due opere iconiche, una creata nel 1907, l’altra nel 1960. Una naturalistica, dinamica, ma priva di testa e braccia, l’altra filiforme e allampanata, priva di dettagli anatomici: entrambe a proprio modo essenziali, in cammino verso una nuova idea di scultura.
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