Al Pirelli Hangar Bicocca fino al 14 gennaio 2018
"Take me (I'm yours)": da Cattelan a Boltanski, l'arte da toccare e portar via
Take Me (I’m Yours), veduta della mostra, Pirelli Hangar Bicocca, Milano, 2017. Foto: Agostino Osio Courtesy Pirelli HangarBicocca, Milano.
Samantha De Martin
02/11/2017
Milano - Parola d’ordine toccare, modificare, usare, intervenire sull’opera d’arte per prelevarne addirittura delle parti, lasciando eventualmente in cambio cimeli personali.
D’altronde è il titolo stesso, Take me (I’m yours) a suggerire ai visitatori del Pirelli Hangar Bicocca come comportarsi davanti alle installazioni dei circa 50 artisti internazionali - tra i quali 15 italiani - in mostra a Milano fino al 14 gennaio.
Perché non capita, certo, tutti i giorni al pubblico di un museo di poter usare o indossare le opere esposte, di acquistare o prendere gratuitamente una delle migliaia di copie di ciascun lavoro in mostra, contribuendo a svuotare fisicamente e a trasformare lo spazio espositivo.
Allestita per la prima volta nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra - e a partire dal 2015, in versioni ogni volta diverse, in istituzioni a Parigi, Copenhagen, New York e Buenos Aires - la mostra prende spunto da una serie di conversazioni e riflessioni tra il curatore Hans Ulrich Obrist e il pittore francese (come ama definirsi), Christian Boltanski, sulla necessità di ripensare i modi in cui un’opera d’arte viene esposta. In particolare, l’idea per il progetto è iniziata con Quai de la Gare (1991), un lavoro di Boltanski costituito da montagne di vestiti di seconda mano che il pubblico poteva portare via in una busta con la scritta Dispersion. Un’opera destinata quindi, per sua natura, a disperdersi e a scomparire. E d’altra parte il tema dell’assenza, al pari della morte e della memoria, è una costante delle opere dell’artista.
A Milano, accanto alla Dispersion di Boltanski, nella grande “arena” dei circa mille metri quadri dello Shed, ci si imbatte nelle tracce audio registrate nei quartieri di Beirut da Mohamed Bourouissa - caricate su un sito da lui creato e disponibili al download, che si combinano con testi poetici scritti dall’artista - o ancora anche nelle migliaia di copie del poster che Maurizio Cattelan ha ricevuto in dono da Boetti nel 1990 e che ha ristampato in occasione dell’Alighiero e Boetti Day nel 2011.
Nell'atrio verrete accolti dall'installazione dell'artista giapponese Yoko Ono, Wish Trees, ovvero due alberi di limone sui quali potrete lasciare i biglietti con i vostri desideri.
Ci sono poi le opere di Ian Cheng e Rachel Rose - che affondano le radici nelle scienze naturali e nella fantascienza - e le stampe raffiguranti fotografie vintage di giovani attrici e cantanti, che i visitatori possono ovviamente staccare e portare con sé.
Il progetto Street Museum di Yona Friedman mette invece a disposizione del pubblico uno spazio in cui lasciare gli oggetti che ricoprono per gli ospiti un particolare significato e che diventano, a pieno titolo, opere d’arte che gli altri visitatori possono prelevare, trasformando in questo modo la struttura originale dell’architetto ungherese.
Nel suo omaggio a Boetti, e in particolare alle sue sperimentazioni con la fotocopiatrice, García Torres invita il pubblico a usare questo strumento presente in mostra in modo creativo e non convenzionale, così come avrebbe fatto lo stesso artista.
Gli effetti del tempo, della distanza e della tecnologia sulla comunicazione tra esseri umani sono al centro del lavoro dell’artista David Horvitz, che per Take Me (I’m Yours) ha ideato un’esperienza a due, nel corso della quale viene offerto al visitatore il “dono di un nuovo minuto” - che non si conforma però al sistema standardizzato per la misurazione del tempo - trascorso il quale, ciascuno riceve dal performer una pietra del fiume Po. Un piccolo pegno di questa esperienza che riconnette il tempo umano al tempo geologico.
Francesco Vezzoli interviene invece con un’opera performativa, nella quale un artista di strada esegue i ritratti dei visitatori che diventano, a loro volta, protagonisti di un immaginario di finzione.
Nonostante l’ingresso alla mostra sia sempre gratuito, per avere la possibilità di prendere e collezionare le opere è necessario acquistare la borsa creata dall’artista Christian Boltanski, in vendita presso l’Info Point o al Bookshop al costo di 10 euro e i cui introiti contribuiscono a supportare la produzione delle opere distribuite in mostra.
Leggi anche:
• Take me (I'm yours)
• Lucio Fontana: Ambienti/Environments
D’altronde è il titolo stesso, Take me (I’m yours) a suggerire ai visitatori del Pirelli Hangar Bicocca come comportarsi davanti alle installazioni dei circa 50 artisti internazionali - tra i quali 15 italiani - in mostra a Milano fino al 14 gennaio.
Perché non capita, certo, tutti i giorni al pubblico di un museo di poter usare o indossare le opere esposte, di acquistare o prendere gratuitamente una delle migliaia di copie di ciascun lavoro in mostra, contribuendo a svuotare fisicamente e a trasformare lo spazio espositivo.
Allestita per la prima volta nel 1995 alla Serpentine Gallery di Londra - e a partire dal 2015, in versioni ogni volta diverse, in istituzioni a Parigi, Copenhagen, New York e Buenos Aires - la mostra prende spunto da una serie di conversazioni e riflessioni tra il curatore Hans Ulrich Obrist e il pittore francese (come ama definirsi), Christian Boltanski, sulla necessità di ripensare i modi in cui un’opera d’arte viene esposta. In particolare, l’idea per il progetto è iniziata con Quai de la Gare (1991), un lavoro di Boltanski costituito da montagne di vestiti di seconda mano che il pubblico poteva portare via in una busta con la scritta Dispersion. Un’opera destinata quindi, per sua natura, a disperdersi e a scomparire. E d’altra parte il tema dell’assenza, al pari della morte e della memoria, è una costante delle opere dell’artista.
A Milano, accanto alla Dispersion di Boltanski, nella grande “arena” dei circa mille metri quadri dello Shed, ci si imbatte nelle tracce audio registrate nei quartieri di Beirut da Mohamed Bourouissa - caricate su un sito da lui creato e disponibili al download, che si combinano con testi poetici scritti dall’artista - o ancora anche nelle migliaia di copie del poster che Maurizio Cattelan ha ricevuto in dono da Boetti nel 1990 e che ha ristampato in occasione dell’Alighiero e Boetti Day nel 2011.
Nell'atrio verrete accolti dall'installazione dell'artista giapponese Yoko Ono, Wish Trees, ovvero due alberi di limone sui quali potrete lasciare i biglietti con i vostri desideri.
Ci sono poi le opere di Ian Cheng e Rachel Rose - che affondano le radici nelle scienze naturali e nella fantascienza - e le stampe raffiguranti fotografie vintage di giovani attrici e cantanti, che i visitatori possono ovviamente staccare e portare con sé.
Il progetto Street Museum di Yona Friedman mette invece a disposizione del pubblico uno spazio in cui lasciare gli oggetti che ricoprono per gli ospiti un particolare significato e che diventano, a pieno titolo, opere d’arte che gli altri visitatori possono prelevare, trasformando in questo modo la struttura originale dell’architetto ungherese.
Nel suo omaggio a Boetti, e in particolare alle sue sperimentazioni con la fotocopiatrice, García Torres invita il pubblico a usare questo strumento presente in mostra in modo creativo e non convenzionale, così come avrebbe fatto lo stesso artista.
Gli effetti del tempo, della distanza e della tecnologia sulla comunicazione tra esseri umani sono al centro del lavoro dell’artista David Horvitz, che per Take Me (I’m Yours) ha ideato un’esperienza a due, nel corso della quale viene offerto al visitatore il “dono di un nuovo minuto” - che non si conforma però al sistema standardizzato per la misurazione del tempo - trascorso il quale, ciascuno riceve dal performer una pietra del fiume Po. Un piccolo pegno di questa esperienza che riconnette il tempo umano al tempo geologico.
Francesco Vezzoli interviene invece con un’opera performativa, nella quale un artista di strada esegue i ritratti dei visitatori che diventano, a loro volta, protagonisti di un immaginario di finzione.
Nonostante l’ingresso alla mostra sia sempre gratuito, per avere la possibilità di prendere e collezionare le opere è necessario acquistare la borsa creata dall’artista Christian Boltanski, in vendita presso l’Info Point o al Bookshop al costo di 10 euro e i cui introiti contribuiscono a supportare la produzione delle opere distribuite in mostra.
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