Il progetto di Roberto Cotroneo per Palazzo Reale
Nel Teatro dell'Arte. Quando il pubblico è al centro dell'opera
ROBERTO COTRONEO. NEL TEATRO DELL’ARTE, Milano, Palazzo Reale, 2020 | © Roberto Cotroneo
Francesca Grego
03/04/2020
Può succedere di essere tanto occupati a guardare una mostra da non accorgerci che lo spettacolo, per qualcuno, siamo noi. Non è uno stalker a seguirci, né un innamorato silenzioso. È una macchina fotografica e dietro c’è Roberto Cotroneo. Scrittore, giornalista, fotografo, per cinque anni Cotroneo ha percorso le sale dei musei di Roma e di Milano con un interesse diverso da quello degli altri visitatori. Invece che verso le opere, ha puntato l’obiettivo sul pubblico, per studiarne movimenti, espressioni, posture. Nel teatro dell’arte, nuovi attori salgono sul palcoscenico. E anche ai capolavori più blasonati non resta che stare a guardare.
“Dopo tanti anni, nel 2015 sono tornato alla fotografia con una consapevolezza: i musei sono posti interessantissimi per quanto riguarda la gente che li visita”, racconta Roberto. “Ho cominciato a girare per i musei di Roma, la GNAM, il MAXXI, i Capitolini, il MACRO, L’Ara Pacis… Mi incuriosiva capire come i visitatori interagiscono con le opere. La prima cosa che ho scoperto è che al museo le persone non si rendono conto di essere fotografate. Puoi lavorare con tranquillità, disegnare comodamente le tue geometrie nello spazio”.
Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte, Milano, Palazzo Reale, 2020 | Courtesy © Roberto Cotroneo
Nascono di qui un libro - Genius Loci, edito da Contrasto - e due mostre: alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e al Castello di Otranto nel 2017. Poi la ricerca si sposta a Milano e porta i suoi frutti a Palazzo Reale. Inaugurata lo scorso 6 marzo e sospesa il giorno dopo per l’emergenza Covid-19, Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte attende pazientemente la riapertura perché il pubblico possa finalmente guardare sé stesso che guarda. In attesa di riscoprire la fruizione museale come mise-en-abîme, abbiamo chiesto all’autore qualche anticipazione sui risultati della sua singolare indagine artistico-antropologica. Iniziamo con qualche trucco appreso sul campo.
“Indipendentemente dal loro valore, ci sono musei più fotogenici di altri” spiega Cotroneo. “I musei moderni, come la Gnam, e specialmente quelli fatti dalle archistar come il MAXXI sono i più affascinanti da fotografare, perché hanno un rapporto importante con la luce. A Milano il posto più bello da fotografare non è Brera, dove ho fatto comunque molti scatti, ma è la Fondazione Prada che è piena di vetrate! Negli spazi espositivi le persone si comportano in modi molto curiosi, alcuni si avvicinano alle opere, altri restano a distanza, è interessante osservare anche come stanno fermi davanti a un quadro o a una statua. Sono tante le variabili e le possibilità venute a galla in un’esperienza che si è rivelata interessantissima”.
Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte, Milano, Palazzo Reale, 2020 | Courtesy © Roberto Cotroneo
Che cosa hai scoperto su noi visitatori dal tuo osservatorio privilegiato?
“Mi sono ritrovato a fotografare le donne più degli uomini: sono in media più numerose nei musei, ma anche più armoniche di fronte a un’opera d’arte. I musei sono femminili, come è femminile la lettura. E i giovani visitatori sono una fetta più ampia di quanto saremmo portati a immaginare. Mi ha colpito la curiosità nei confronti del contemporaneo, una cosa completamente diversa rispetto all’ammirazione di fronte ai capolavori della tradizione, che il pubblico già conosce anche quando li vede per la prima volta dal vivo. Le opere contemporanee sono un viaggio, una scoperta vera. E anche per me è più interessante osservare le reazioni. Più è imprevedibile l’opera, più è imprevedibile il pubblico.
In generale l’avvento degli smartphone ha cambiato l’aura del museo e l’esperienza di fruizione. È difficile fotografare persone che non abbiano in mano un telefonino, che stiano leggendo un messaggio o fotografando un’opera. Una volta entravi nel museo e ti immergevi in un rapporto esclusivo con l’arte, senza il fidanzato che ti scrive su app, la mamma che ti ricorda di fare la spesa, la notifica di una news. La distrazione è quasi una costante, ma mi è capitato anche di vedere qualcuno che sembrava essersi dimenticato del mondo esterno”.
Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte, Milano, Palazzo Reale, 2020 | Courtesy © Roberto Cotroneo
Sei un fotografo, ma anche uno scrittore. Come si riflette questo in Genius Loci, il libro in cui hai raccolto gli scatti del tuo percorso romano?
“Tendenzialmente gli scrittori lavorano con i testi e i fotografi si occupano di immagini. Di solito, inoltre, i testi spiegano la fotografia, che se è ben fatta non ha nessun bisogno di spiegazioni. Io credo che la parola e la fotografia siano complementari. Per Genius Loci ho scritto dei testi letterari che si sommano alle foto in un rapporto alla pari. Entrambi stanno in piedi da soli, ma insieme producono un’opera nuova che ha un suo valore aggiunto”.
Abbiamo speranze di incontrarti di nuovo al museo, in una nuova tappa in giro per l’Italia?
“Appena possibile vorrei iniziare un nuovo progetto fotografico, probabilmente sul silenzio e sul sacro, un tema che mi piace molto. Trovo che il silenzio in fotografia sia un campo molto interessante da esplorare. E in futuro lavorare sul ritratto, o sulla fotografia di interni, che è un’altra mia passione. Un giorno persino sul nudo, un tema difficilissimo: pensare di inventarlo in una forma nuova mi fa tremare i polsi. ”
“Dopo tanti anni, nel 2015 sono tornato alla fotografia con una consapevolezza: i musei sono posti interessantissimi per quanto riguarda la gente che li visita”, racconta Roberto. “Ho cominciato a girare per i musei di Roma, la GNAM, il MAXXI, i Capitolini, il MACRO, L’Ara Pacis… Mi incuriosiva capire come i visitatori interagiscono con le opere. La prima cosa che ho scoperto è che al museo le persone non si rendono conto di essere fotografate. Puoi lavorare con tranquillità, disegnare comodamente le tue geometrie nello spazio”.
Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte, Milano, Palazzo Reale, 2020 | Courtesy © Roberto Cotroneo
Nascono di qui un libro - Genius Loci, edito da Contrasto - e due mostre: alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e al Castello di Otranto nel 2017. Poi la ricerca si sposta a Milano e porta i suoi frutti a Palazzo Reale. Inaugurata lo scorso 6 marzo e sospesa il giorno dopo per l’emergenza Covid-19, Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte attende pazientemente la riapertura perché il pubblico possa finalmente guardare sé stesso che guarda. In attesa di riscoprire la fruizione museale come mise-en-abîme, abbiamo chiesto all’autore qualche anticipazione sui risultati della sua singolare indagine artistico-antropologica. Iniziamo con qualche trucco appreso sul campo.
“Indipendentemente dal loro valore, ci sono musei più fotogenici di altri” spiega Cotroneo. “I musei moderni, come la Gnam, e specialmente quelli fatti dalle archistar come il MAXXI sono i più affascinanti da fotografare, perché hanno un rapporto importante con la luce. A Milano il posto più bello da fotografare non è Brera, dove ho fatto comunque molti scatti, ma è la Fondazione Prada che è piena di vetrate! Negli spazi espositivi le persone si comportano in modi molto curiosi, alcuni si avvicinano alle opere, altri restano a distanza, è interessante osservare anche come stanno fermi davanti a un quadro o a una statua. Sono tante le variabili e le possibilità venute a galla in un’esperienza che si è rivelata interessantissima”.
Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte, Milano, Palazzo Reale, 2020 | Courtesy © Roberto Cotroneo
Che cosa hai scoperto su noi visitatori dal tuo osservatorio privilegiato?
“Mi sono ritrovato a fotografare le donne più degli uomini: sono in media più numerose nei musei, ma anche più armoniche di fronte a un’opera d’arte. I musei sono femminili, come è femminile la lettura. E i giovani visitatori sono una fetta più ampia di quanto saremmo portati a immaginare. Mi ha colpito la curiosità nei confronti del contemporaneo, una cosa completamente diversa rispetto all’ammirazione di fronte ai capolavori della tradizione, che il pubblico già conosce anche quando li vede per la prima volta dal vivo. Le opere contemporanee sono un viaggio, una scoperta vera. E anche per me è più interessante osservare le reazioni. Più è imprevedibile l’opera, più è imprevedibile il pubblico.
In generale l’avvento degli smartphone ha cambiato l’aura del museo e l’esperienza di fruizione. È difficile fotografare persone che non abbiano in mano un telefonino, che stiano leggendo un messaggio o fotografando un’opera. Una volta entravi nel museo e ti immergevi in un rapporto esclusivo con l’arte, senza il fidanzato che ti scrive su app, la mamma che ti ricorda di fare la spesa, la notifica di una news. La distrazione è quasi una costante, ma mi è capitato anche di vedere qualcuno che sembrava essersi dimenticato del mondo esterno”.
Roberto Cotroneo. Nel teatro dell’arte, Milano, Palazzo Reale, 2020 | Courtesy © Roberto Cotroneo
Sei un fotografo, ma anche uno scrittore. Come si riflette questo in Genius Loci, il libro in cui hai raccolto gli scatti del tuo percorso romano?
“Tendenzialmente gli scrittori lavorano con i testi e i fotografi si occupano di immagini. Di solito, inoltre, i testi spiegano la fotografia, che se è ben fatta non ha nessun bisogno di spiegazioni. Io credo che la parola e la fotografia siano complementari. Per Genius Loci ho scritto dei testi letterari che si sommano alle foto in un rapporto alla pari. Entrambi stanno in piedi da soli, ma insieme producono un’opera nuova che ha un suo valore aggiunto”.
Abbiamo speranze di incontrarti di nuovo al museo, in una nuova tappa in giro per l’Italia?
“Appena possibile vorrei iniziare un nuovo progetto fotografico, probabilmente sul silenzio e sul sacro, un tema che mi piace molto. Trovo che il silenzio in fotografia sia un campo molto interessante da esplorare. E in futuro lavorare sul ritratto, o sulla fotografia di interni, che è un’altra mia passione. Un giorno persino sul nudo, un tema difficilissimo: pensare di inventarlo in una forma nuova mi fa tremare i polsi. ”
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