Il mito di Diana e Atteone
Parmigianino
05/09/2001
La storia degli affreschi di Fontanellato incentrata sulla storia di Diana e Atteone, inizia sulla parete nord con due cacciatori che inseguono una ninfa. La seconda parete, seguendo il senso orario, mostra Atteone che casualmente s’imbatte in Diana che sta facendo il bagno. La dea per punirlo di tale affronto gli getta dell’acqua sul viso dando vita alla metamorfosi, che il pittore rappresenta in fieri (solo il volto di Atteone è trasformato). La terza parete racconta il resto della storia con Atteone, ormai completamente cervo, che viene sbranato dai suoi stessi cani.
Tutto appare molto “normale” ad una prima occhiata, ma osservando meglio si capiscono molte anomalie.
In primo luogo negli affreschi Atteone non è un cacciatore ma una cacciatrice: la figura che viene trasformata in cervo ha gli abiti e la struttura fisica della ninfa che fugge nella prima parete e non di uno dei cacciatori che la inseguono. Da questo clamoroso rovesciamento consegue il resto dell’interpretazione.
Nella terza parete il cervo sbranato è azzannato al collo da un cane in primo piano che sul collare mostra in bella evidenza una conchiglia bivalve, oggetto che veniva dato a tutti i Sanvitale come portafortuna, e che infatti compare anche nel celeberrimo ritratto di Galeazzo (Napoli, Capodimonte) realizzato da Parmigianino proprio negli stessi anni degli affreschi.
Nella giovane ninfa tramutata in cervo va evidentemente riconosciuta Paola Gonzaga, punita per una colpa non commessa, e distrutta dal dolore per la morte del figlio. E’ stata notata l’impassibilità del cervo sbranato, senza quella drammaticità che connota il testo ovidiano e che rimanderebbe all’accettazione del dolore da parte di Paola. Inoltre perfettamente al di sopra della scena con Atteone sbranato dai cani, tra i festoni che decorano la volta, un piccolo bambino viene abbracciato da una fanciulla. Il piccolo va identificato con il neonato Sanvitale: un filo di granati al collo e un ramo di ciliegie tra le mani, simboli tradizionalmente legati alla morte di Cristo, ci confermano la sua morte prematura ed ingiusta.
I simboli funebri tornano infine nella quarta parete, in cui compare il ritratto di Paola in veste di Ecate: il cantaro tra le mani e una spiga spezzata in mano rimandano inconfondibilmente a questi concetti.
Ultimo riflessione sulle iscrizioni: un “respice finem” (guarda la fine) si legge alla sommità della volta dove è sistemato un piccolo specchio, mentre tutto attorno alle pareti, nello stesso senso di lettura degli affreschi viene ricordato che Atteone è stato punito senza avere una colpa ben precisa, ma per un evento fortuito che ha scatenato l’ira della dea Diana: “Ad Dianam / Dic dea si miserum sors huc Acteona duxit a te cur canibus / traditur esca suis /non nisi mortales aliquo / pro crimine penas ferre licet: talis nec decet ira / deas” (A Diana. Dì, o dea, perché, se la sorte che ha condotto qui il misero Atteone, egli è dato da te in pasto ai suoi cani? Non per altro che per una colpa è lecito che i mortali subiscano una pena: un’ira che non si addice alle dee).
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