A Basilea la retrospettiva fino al 29 aprile
Georg Baselitz: la Fondation Beyeler festeggia i suoi 80 anni
Fondation Beyeler, Georg Baselitz. Photo: Matthias Willi
Eleonora Zamparutti
23/01/2018
La forte vitalità impressa da Georg Baselitz nei suoi dipinti e sculture antiborghesi di grande formato sfonda le pareti della Fondation Beyeler di Basilea e apre uno squarcio sulla carriera di un artista che ha intrattenuto un dialogo incessante con la storia a più livelli: quella personale; quella politica del suo paese, la Germania; e con la storia dell’arte. “Mi hanno detto che sono un reazionario” ha affermato Georg Baselitz. “A differenza degli altri che volevano correre in avanti, desideravo montare su un treno che andasse all’indietro. Ho scelto di salire sull’ultimo vagone e di guardare ciò che mi lasciavo alle spalle”.
All’artista tedesco, che oggi compie 80 anni, e alla sua folgorante carriera, cominciata verso la fine degli anni Cinquanta a Berlino Ovest, sono dedicate due importanti esposizioni nella città elvetica. La retrospettiva “Georg Baselitz” alla Fondazione Beyeler – fino al 29 aprile 2018 – presenta una selezione di oltre 90 dipinti e una dozzina di statue che raccontano in forma cronologica i passaggi della ricerca condotta da un artista oppositorio, che ha scelto la pittura figurativa ed espressiva proponendola come contromodello estetico e ideologico all’arte del realismo socialista e all’arte concettuale, che andavano per la maggiore nel dopoguerra.
Georg Baselitz, Finger Painting - Eagle, 1972 Oil on canvas, 250 x 180 cm, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Pinakothek der Moderne, Wittelsbacher Ausgleichsfonds, München © Georg Baselitz, 2018
Photo: © Bayer&Mitko - ARTOTHEK
“Ero giovane ai tempi della scuola e non volevo fare nulla di ragionevole. Avevo del talento per la pittura, ma non lo accettavo” racconta Georg Baselitz a proposito dei suoi esordi. “Il mio era un modo di essere contro tutto e contro tutti. E’ stato un cammino eccezionale, unico, particolare. Oggi mi è difficile guardare lavori che ho realizzato lungo un arco di sessant’anni. Sono la testimonianza di quello che sono stato, ma ho difficoltà a riconoscermi in essi. La più grande cazzata l’ho fatta nel 1963: dipingevo immagini cattive che poi nel corso degli anni si sono ammorbidite e sono diventate più buone”.
“Georg Baseliz ha impresso un significato forte nelle sue opere” Martin Schwander, curator at large della Fondation Beyeler. “Lo si evince fin dalla prima sala dove sono esposti i lavori ispirati al “Manifesto Pandemonico”, redatto nel 1961 insieme all’artista Eugen Schönebeck. Sono opere dove sono stampati i ricordi dell’artista”.
Il riferimento è a “P.D. Füsse”, un immenso dipinto di dodici immagini di piedi mutilati o amputati, in posture differenti, su fondo nero, un effetto drastico, crudele che trasmette la transitorietà della carne e allo stesso tempo lancia un duro attacco alla società del dopoguerra e al mondo dell’arte. E a “Die grosse Nacht im Eimer”, una figura maschile che si masturba, opera esposta nel 1963 alla galleria Werner & Katz di Berlino e che valse al suo autore un “successo di scandalo” tanto da essere confiscata dalle autorità perché si riteneva offendesse il senso comune della decenza.
La retrospettiva è ricca, resa possibile grazie a importanti prestiti da parte di musei americani e da collezioni private. “Georg Baselitz è un pioniere dell’arte moderna” afferma Martin Schwander, curator at large della Fondation Beyeler.
Restando a Basilea, poco distante, il Kunstmuseum Basel propone “Lavori su carta” (fino al 29 aprile), una selezione accurata di oltre 120 disegni e lavori su carta a colori conservati presso il Kupferstichkabinett: opere che non hanno nulla a che vedere con lo schizzo preparatorio per la pittura, ma che sono testimonianza di un’attività autentica, parallela alla pittura.
E’ dunque un ritorno quello di Georg Baselitz nella città elvetica dopo la prima esposizione che tenne nel 1969 al Kunstmuseum.
D’altra parte è sempre stato forte il legame tra l’artista e Basilea, pensandoci bene a cominciare dal nome: a 23 anni Hans-Georg Bruno Kern decise di abbandonare il proprio cognome – a suo dire sinonimo di dominazione paterna – in favore di Baselitz, pseudonimo tratto dalla sua città natale Deutschbaselitz, in Sassonia. Di Basilea tra l’altro è anche lo studio di architettura, Herzog& de Meuron, che ha progettato la sua abitazione in Germania.
E’ dagli anni 90 che mancava una retrospettiva in Svizzera su Georg Baselitz: le esposizioni attualmente in corso testimoniano la produzione di un artista che ha sfidato le convenzioni estetiche e morali del suo tempo, uomo di avanguardia, bollato agli esordi come “bizzarreria tedesca”, un eretico per la sua ostinata ostilità verso i vari gruppi di avanguardia, un outsider che ha preso a modello Antonin Artaud e le sue tendenze legate alla tradizione espressiva, il naturalismo delle tele di Ferdinand von Rayski, si è nutrito dell’opera di Edvard Munch, delle stampe giapponesi, delle sculture africane, della serie Women di Willem de Kooning.
Sala dopo sala si passano in rassegna le numerose serie realizzate nell’arco di sei decenni: i famosi “Eroi” prodotti tra il 1965 e il ’66, vent’anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Si tratta di modelli per un nuovo tipo umano: senzatetto e sradicati, il loro aspetto lacero riduce gli ideali illusori e gonfiati del Terzo Reich e della Repubblica Democratica Tedesca. Poi le tele della serie “Frattura” che raffigurano uomini solitari e anonimi, frammentati, accompagnati da un bestiario di vacche e cani aggressivi. Le parti del corpo e della testa appaiono inghiottite in un turbinio grottesco nell’aria. Ancora una volta è il ritratto di un mondo caotico, privo di orientamento spaziale e di prospettiva, dove il motivo dipinto è destrutturato. Poi con “Wald auf dem Kopf” Baselitz introduce la composizione dove il motivo è figurato a testa in giù, simbolicamente in contatto con la parte bassa in direzione dell’inferno: la ricerca di una terza via tra l’astrazione e il figurativo. Poi le opere realizzate attraverso l’uso della fotografia, scattata con una Polaroid: un modo metaforico per andare oltre la banalizzazione del reale. E ancora la produzione degli anni ’80 in dialogo con l’arte statunitense, e poi la serie “Remix”.
Non manca certo il gusto per la provocazione e il piacere di farsi beffe degli altri nei lavori di Georg Baselitz. La scultura “Modell für eine Skulptur” (1979) esposta alla Biennale di Venezia nel 1980, generò uno scandalo di proporzioni inaudite per via della posizione della figura che i media di allora interpretarono come il saluto nazista e che invece per l’autore era un riferimento alla postura di certe statue africane scolpite in un blocco di legno.
Nei suoi quadri ricorrono i ritratti della moglie Elke, compagna al suo fianco da una vita, degli amici e gli autoritratti. “Per realizzare un dipinto abbiamo delle immagini in mente come modello che poi rigettiamo come vecchi giochi. Con l’avanzare dell’età è tutto diventato più lento. Un tempo ero sempre insoddisfatto”. Tra gli ultimi lavori della serie “Avignon” presentata alla Biennale di Venezia nel 2015, campeggiano degli autoritratti monumentali a testa in giù: il corpo dell’artista è nudo e porta i segni dell’età. E’ diviso a metà da una linea netta che corre in verticale lungo tela. E’ un omaggio alla produzione di Picasso degli ultimi anni.
All’artista tedesco, che oggi compie 80 anni, e alla sua folgorante carriera, cominciata verso la fine degli anni Cinquanta a Berlino Ovest, sono dedicate due importanti esposizioni nella città elvetica. La retrospettiva “Georg Baselitz” alla Fondazione Beyeler – fino al 29 aprile 2018 – presenta una selezione di oltre 90 dipinti e una dozzina di statue che raccontano in forma cronologica i passaggi della ricerca condotta da un artista oppositorio, che ha scelto la pittura figurativa ed espressiva proponendola come contromodello estetico e ideologico all’arte del realismo socialista e all’arte concettuale, che andavano per la maggiore nel dopoguerra.
Georg Baselitz, Finger Painting - Eagle, 1972 Oil on canvas, 250 x 180 cm, Bayerische Staatsgemäldesammlungen, Pinakothek der Moderne, Wittelsbacher Ausgleichsfonds, München © Georg Baselitz, 2018
Photo: © Bayer&Mitko - ARTOTHEK
“Ero giovane ai tempi della scuola e non volevo fare nulla di ragionevole. Avevo del talento per la pittura, ma non lo accettavo” racconta Georg Baselitz a proposito dei suoi esordi. “Il mio era un modo di essere contro tutto e contro tutti. E’ stato un cammino eccezionale, unico, particolare. Oggi mi è difficile guardare lavori che ho realizzato lungo un arco di sessant’anni. Sono la testimonianza di quello che sono stato, ma ho difficoltà a riconoscermi in essi. La più grande cazzata l’ho fatta nel 1963: dipingevo immagini cattive che poi nel corso degli anni si sono ammorbidite e sono diventate più buone”.
“Georg Baseliz ha impresso un significato forte nelle sue opere” Martin Schwander, curator at large della Fondation Beyeler. “Lo si evince fin dalla prima sala dove sono esposti i lavori ispirati al “Manifesto Pandemonico”, redatto nel 1961 insieme all’artista Eugen Schönebeck. Sono opere dove sono stampati i ricordi dell’artista”.
Il riferimento è a “P.D. Füsse”, un immenso dipinto di dodici immagini di piedi mutilati o amputati, in posture differenti, su fondo nero, un effetto drastico, crudele che trasmette la transitorietà della carne e allo stesso tempo lancia un duro attacco alla società del dopoguerra e al mondo dell’arte. E a “Die grosse Nacht im Eimer”, una figura maschile che si masturba, opera esposta nel 1963 alla galleria Werner & Katz di Berlino e che valse al suo autore un “successo di scandalo” tanto da essere confiscata dalle autorità perché si riteneva offendesse il senso comune della decenza.
La retrospettiva è ricca, resa possibile grazie a importanti prestiti da parte di musei americani e da collezioni private. “Georg Baselitz è un pioniere dell’arte moderna” afferma Martin Schwander, curator at large della Fondation Beyeler.
Restando a Basilea, poco distante, il Kunstmuseum Basel propone “Lavori su carta” (fino al 29 aprile), una selezione accurata di oltre 120 disegni e lavori su carta a colori conservati presso il Kupferstichkabinett: opere che non hanno nulla a che vedere con lo schizzo preparatorio per la pittura, ma che sono testimonianza di un’attività autentica, parallela alla pittura.
E’ dunque un ritorno quello di Georg Baselitz nella città elvetica dopo la prima esposizione che tenne nel 1969 al Kunstmuseum.
D’altra parte è sempre stato forte il legame tra l’artista e Basilea, pensandoci bene a cominciare dal nome: a 23 anni Hans-Georg Bruno Kern decise di abbandonare il proprio cognome – a suo dire sinonimo di dominazione paterna – in favore di Baselitz, pseudonimo tratto dalla sua città natale Deutschbaselitz, in Sassonia. Di Basilea tra l’altro è anche lo studio di architettura, Herzog& de Meuron, che ha progettato la sua abitazione in Germania.
E’ dagli anni 90 che mancava una retrospettiva in Svizzera su Georg Baselitz: le esposizioni attualmente in corso testimoniano la produzione di un artista che ha sfidato le convenzioni estetiche e morali del suo tempo, uomo di avanguardia, bollato agli esordi come “bizzarreria tedesca”, un eretico per la sua ostinata ostilità verso i vari gruppi di avanguardia, un outsider che ha preso a modello Antonin Artaud e le sue tendenze legate alla tradizione espressiva, il naturalismo delle tele di Ferdinand von Rayski, si è nutrito dell’opera di Edvard Munch, delle stampe giapponesi, delle sculture africane, della serie Women di Willem de Kooning.
Sala dopo sala si passano in rassegna le numerose serie realizzate nell’arco di sei decenni: i famosi “Eroi” prodotti tra il 1965 e il ’66, vent’anni dopo la fine della Seconda Guerra mondiale. Si tratta di modelli per un nuovo tipo umano: senzatetto e sradicati, il loro aspetto lacero riduce gli ideali illusori e gonfiati del Terzo Reich e della Repubblica Democratica Tedesca. Poi le tele della serie “Frattura” che raffigurano uomini solitari e anonimi, frammentati, accompagnati da un bestiario di vacche e cani aggressivi. Le parti del corpo e della testa appaiono inghiottite in un turbinio grottesco nell’aria. Ancora una volta è il ritratto di un mondo caotico, privo di orientamento spaziale e di prospettiva, dove il motivo dipinto è destrutturato. Poi con “Wald auf dem Kopf” Baselitz introduce la composizione dove il motivo è figurato a testa in giù, simbolicamente in contatto con la parte bassa in direzione dell’inferno: la ricerca di una terza via tra l’astrazione e il figurativo. Poi le opere realizzate attraverso l’uso della fotografia, scattata con una Polaroid: un modo metaforico per andare oltre la banalizzazione del reale. E ancora la produzione degli anni ’80 in dialogo con l’arte statunitense, e poi la serie “Remix”.
Non manca certo il gusto per la provocazione e il piacere di farsi beffe degli altri nei lavori di Georg Baselitz. La scultura “Modell für eine Skulptur” (1979) esposta alla Biennale di Venezia nel 1980, generò uno scandalo di proporzioni inaudite per via della posizione della figura che i media di allora interpretarono come il saluto nazista e che invece per l’autore era un riferimento alla postura di certe statue africane scolpite in un blocco di legno.
Nei suoi quadri ricorrono i ritratti della moglie Elke, compagna al suo fianco da una vita, degli amici e gli autoritratti. “Per realizzare un dipinto abbiamo delle immagini in mente come modello che poi rigettiamo come vecchi giochi. Con l’avanzare dell’età è tutto diventato più lento. Un tempo ero sempre insoddisfatto”. Tra gli ultimi lavori della serie “Avignon” presentata alla Biennale di Venezia nel 2015, campeggiano degli autoritratti monumentali a testa in giù: il corpo dell’artista è nudo e porta i segni dell’età. E’ diviso a metà da una linea netta che corre in verticale lungo tela. E’ un omaggio alla produzione di Picasso degli ultimi anni.
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