Al cinema dal 25 maggio
DALILAND - La nostra recensione
DALÍLAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Samantha De Martin
21/05/2023
Ipocondriaco, ossessionato dalla morte, disgustato dagli spinaci e attratto solo del cibo dalla forma ben definita, ma soprattutto devoto alla sua unica musa: Gala, chiamata anche Galina, Olivette, nel cui cuore ha riconosciuto un tempo la sua stessa follia, eleggendo questa donna, non proprio accomodante, a compagna insostituibile di una vita intera.
Un Salvador Dalí come probabilmente non lo abbiamo mai visto emerge dal biopic DALILAND, al cinema dal 25 maggio, distribuito da Plaion Pictures. Diretto dalla regista canadese Mary Harron (American Psycho) e con il camaleontico Premio Oscar Ben Kingsley nei panni dell’eccentrico artista, affiancato da Barbara Sukowa nel ruolo di Gala, dispotica moglie di Dalí, sua musa e ossessione, il biopic sfida le convenzioni.
Non aspettatevi di vedere correre sul grande schermo la solita sfilza di opere realizzate del genio con relativi commenti. DALILAND ci insegna che l’opera è la vita del genio stesso, mentre la genesi dei suoi lavori viene tessuta dalla produzione attraverso l’universo di Dalí, i personaggi che gli gravitano intorno, le trasgressioni, le feste, le situazioni, anche grottesche, che lo hanno investito, travolto, talvolta deluso, ma certamente ispirato, simili a scintille provenienti da una fantasia sfrenata mista al vero.
Puntando l’obiettivo sul crepuscolo della carriera del pittore di Figueres, la regista Mary Harron delinea l’elettrizzante ritratto di una delle figure più iconiche del XX secolo, dall’esistenza sospesa tra genio e sregolatezza. È (o potrebbe essere stato) tante cose l’istrione dagli eccentrici baffi: uomo di spettacolo, scrittore, fumettista, talmente abitudinario da vivere per anni nella medesima camera dell’Hotel St Regis di New York, la numero 1610, adibita a studio. Il ritratto cinematografico del maestro surrealista, ma soprattutto dell’uomo Salvador, passa attraverso gli occhi “nuovi” di James Linton (Christopher Briney), il giovane stagista di una galleria, scelto dal pittore in persona affinché gli faccia da assistente personale mentre ultima le tele da esporre nella mostra del 1974 a New York. Mentre cerca una soluzione a una parete senza dipinti, in vista di una mostra pronta a inaugurare, James ci invita a entrare nel baraccone, talvolta divertente, talvolta contraddittorio e ipocrita, di cui Dalí è protagonista e vittima al tempo stesso. James, un ragazzo all’inizio della carriera, ricco di speranze per il futuro, al contrario di un Salvador Dalí sempre più fragile e consumato, ha così la possibilità di osservare da vicinissimo, nella sua quotidianità, uno dei più grandi artisti di sempre, figura iconica del Novecento.
DALILAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Alla proposta del maestro il ragazzo pensa di coronare il sogno della sua vita, ma presto scopre che non è tutto oro quello che luccica. Lo stile di vita sgargiante e glamour, i party sontuosi nascondono un grande vuoto che consuma l’ormai anziano pittore, divorato dalla paura di invecchiare e da un rapporto ormai logoro con Gala, circondata da giovani amanti e ossessionata dal denaro. Il film ci dice molto (ed è anche questo uno dei suoi punti di forza) anche del rapporto tra il pittore e la sua donna, Gala, nata Elena Dmitrievna D’jakonova, modella, artista e mercante d'arte russa, moglie del poeta Paul Eluard. Un rapporto governato da uno strano equilibrio nonostante i tradimenti di lei, l’imprevedibile follia di lui e la tracimante personalità di entrambi. Possessiva, austera, manipolatrice, Gala non sembra una musa, almeno nell’aspetto. Eppure “È con il suo sangue che creo la mia arte” dice con fierezza il pittore. Per lei Dalí acquista nel ‘68 un castello a Púbol, dove lui può entrare solo su invito scritto e dove Gala viene sepolta dopo la morte, nel 1982.
Una scena del film "Dalìland", diretto da Mary Harron. Da sinistra: Andrea Pejic (Amanda Lear), Ben Kinglsley (Salvador Dalì), Barbara Sukowa (Gala Dalì) I Courtesy Plaion Pictures
Nel film seguiamo il pittore de La persistenza della memoria impegnato, insieme a Gala, in una vorticosa ed eccentrica vita mondana, tra bellezze ambigue come Amanda Lear (la sua nuova musa) e musicisti trasgressivi come Alice Cooper e Jeff Fenholt, protagonista del musical Jesus Christ Superstar. Dalí, il più grande di tutti, si sente “in cima a un pinnacolo rispetto ai pittori contemporanei”, ma il paragone con Vermeer o Velázquez lo fa “cadere in un baratro”.
Il biopic ci guida nella mente dell’artista per il quale “La pittura non ha valore finché non scompare per tramutarsi in un’illusione della realtà”. La storia di Dalí, il genio che da bambino dirigeva la Tramontana e che da adulto continua a danzare nel vento in preda a paure ed eccessi di riso, convince, e in alcuni punti sorprende.
Presentato al Toronto International Film Festival 2022 e fuori concorso al 40° Torino Film Festival, il biopic DALILAND di Mary Harron sarà nei cinema italiani dal 25 maggio, distribuito da Plaion Pictures.
DALILAND - Poster
Leggi anche:
• Dalí - Il ritratto di un genio
Un Salvador Dalí come probabilmente non lo abbiamo mai visto emerge dal biopic DALILAND, al cinema dal 25 maggio, distribuito da Plaion Pictures. Diretto dalla regista canadese Mary Harron (American Psycho) e con il camaleontico Premio Oscar Ben Kingsley nei panni dell’eccentrico artista, affiancato da Barbara Sukowa nel ruolo di Gala, dispotica moglie di Dalí, sua musa e ossessione, il biopic sfida le convenzioni.
Non aspettatevi di vedere correre sul grande schermo la solita sfilza di opere realizzate del genio con relativi commenti. DALILAND ci insegna che l’opera è la vita del genio stesso, mentre la genesi dei suoi lavori viene tessuta dalla produzione attraverso l’universo di Dalí, i personaggi che gli gravitano intorno, le trasgressioni, le feste, le situazioni, anche grottesche, che lo hanno investito, travolto, talvolta deluso, ma certamente ispirato, simili a scintille provenienti da una fantasia sfrenata mista al vero.
Puntando l’obiettivo sul crepuscolo della carriera del pittore di Figueres, la regista Mary Harron delinea l’elettrizzante ritratto di una delle figure più iconiche del XX secolo, dall’esistenza sospesa tra genio e sregolatezza. È (o potrebbe essere stato) tante cose l’istrione dagli eccentrici baffi: uomo di spettacolo, scrittore, fumettista, talmente abitudinario da vivere per anni nella medesima camera dell’Hotel St Regis di New York, la numero 1610, adibita a studio. Il ritratto cinematografico del maestro surrealista, ma soprattutto dell’uomo Salvador, passa attraverso gli occhi “nuovi” di James Linton (Christopher Briney), il giovane stagista di una galleria, scelto dal pittore in persona affinché gli faccia da assistente personale mentre ultima le tele da esporre nella mostra del 1974 a New York. Mentre cerca una soluzione a una parete senza dipinti, in vista di una mostra pronta a inaugurare, James ci invita a entrare nel baraccone, talvolta divertente, talvolta contraddittorio e ipocrita, di cui Dalí è protagonista e vittima al tempo stesso. James, un ragazzo all’inizio della carriera, ricco di speranze per il futuro, al contrario di un Salvador Dalí sempre più fragile e consumato, ha così la possibilità di osservare da vicinissimo, nella sua quotidianità, uno dei più grandi artisti di sempre, figura iconica del Novecento.
DALILAND, diretto da Mary Harron e con il Premio Oscar® Ben Kingsley
Alla proposta del maestro il ragazzo pensa di coronare il sogno della sua vita, ma presto scopre che non è tutto oro quello che luccica. Lo stile di vita sgargiante e glamour, i party sontuosi nascondono un grande vuoto che consuma l’ormai anziano pittore, divorato dalla paura di invecchiare e da un rapporto ormai logoro con Gala, circondata da giovani amanti e ossessionata dal denaro. Il film ci dice molto (ed è anche questo uno dei suoi punti di forza) anche del rapporto tra il pittore e la sua donna, Gala, nata Elena Dmitrievna D’jakonova, modella, artista e mercante d'arte russa, moglie del poeta Paul Eluard. Un rapporto governato da uno strano equilibrio nonostante i tradimenti di lei, l’imprevedibile follia di lui e la tracimante personalità di entrambi. Possessiva, austera, manipolatrice, Gala non sembra una musa, almeno nell’aspetto. Eppure “È con il suo sangue che creo la mia arte” dice con fierezza il pittore. Per lei Dalí acquista nel ‘68 un castello a Púbol, dove lui può entrare solo su invito scritto e dove Gala viene sepolta dopo la morte, nel 1982.
Una scena del film "Dalìland", diretto da Mary Harron. Da sinistra: Andrea Pejic (Amanda Lear), Ben Kinglsley (Salvador Dalì), Barbara Sukowa (Gala Dalì) I Courtesy Plaion Pictures
Nel film seguiamo il pittore de La persistenza della memoria impegnato, insieme a Gala, in una vorticosa ed eccentrica vita mondana, tra bellezze ambigue come Amanda Lear (la sua nuova musa) e musicisti trasgressivi come Alice Cooper e Jeff Fenholt, protagonista del musical Jesus Christ Superstar. Dalí, il più grande di tutti, si sente “in cima a un pinnacolo rispetto ai pittori contemporanei”, ma il paragone con Vermeer o Velázquez lo fa “cadere in un baratro”.
Il biopic ci guida nella mente dell’artista per il quale “La pittura non ha valore finché non scompare per tramutarsi in un’illusione della realtà”. La storia di Dalí, il genio che da bambino dirigeva la Tramontana e che da adulto continua a danzare nel vento in preda a paure ed eccessi di riso, convince, e in alcuni punti sorprende.
Presentato al Toronto International Film Festival 2022 e fuori concorso al 40° Torino Film Festival, il biopic DALILAND di Mary Harron sarà nei cinema italiani dal 25 maggio, distribuito da Plaion Pictures.
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