Atlante del Cyberspazio

Courtesy of© Asymptote Architecture | Guggenheim Virtual Museum
 

31/01/2002

Le mappe sono strumenti di conoscenza. Da millenni l’uomo ha provato a tracciare i segni per sintetizzare graficamente gli immensi spazi della sfera terrestre: mari, monti, territori, città e paesi potevano essere così osservati dall’alto, nello spazio ridotto di una pergamena tenuta tra le mani. Con la rivoluzione digitale tuttora in corso, ci siamo ormai abituati ad un tipo di spazio diverso, confinante con lo spazio fisico attraverso i quattro lati del monitor del computer, ma che di lì sembra estendersi verso distanze inimmaginabili, verso un’infinita serie di collegamenti e diramazioni. Si tratta del cyberspazio, un luogo virtuale dove molti di noi trascorrono una parte (grande o piccola) della propria vita. Eppure, anche se con dimestichezza, ci muoviamo in una porzione minuscola del Web, rimanendo all’oscuro di come sia fatto in realtà il cyberspazio, di quali siano i confini, le dimensioni, le strutture. Argomento affascinante, che ha ispirato film come Matrix, la letteratura di William Gibson o di Neal Stephenson, e le opere di quegli artisti che hanno provato a scrutare oltre la finestra del browser, oltre la sue superficie visibile. Martin Dodge e Rob Kitchin nell’”Atlas Of Cyberspace”, cercano a loro volta di tracciare una fisionomia del cyberspazio, offrendone le coordinate visive, con gli stessi strumenti conoscitivi di sempre, le mappe. Dopo un lungo studio sui diversi tentativi di rappresentare con mappe alcune porzioni di cyberspazio, i due autori le hanno raccolte, analizzandole una ad una in un solo volume, non senza imbattersi nelle difficoltà dovute alla particolare dimensione spazio-temporale del Web. Il cyberspazio, infatti, geometricamente complesso e molto diverso dallo spazio fisico, non può essere rappresentato basandosi sulle tradizionali convenzioni della cartografia occidentale. Le stesse leggi della fisica non sono adatte per la dimensione del Web, che si presenta priva di massa e di peso; "uno spazio relazionale", così è definito dagli autori che, secondo l’architetto Marcos Novak, si presta alla costruzione di un’architettura “liquida”, cioè in continua trasformazione, capace di modificarsi secondo le nostre esigenze: una vera e propria architettura sociale. La concezione di Novack è solo una tra quelle che compongono un capitolo del “Cyberatlas”, dedicato all’impatto del cyberspazio sull’immaginario artistico, dal cinema, alla letteratura, all’arte digitale. Molti artisti hanno cercato di produrre forme alternative di visualizzazione del Web, come risposta al modo convenzionale con cui si esplora il cyberspazio. E’ il caso di Mark Napier con i suoi “anti-browser”, in cui testi e immagini si costruiscono sullo schermo in un modo molto differente dal solito (www.potatoland.org). Oppure dei software che permettono di visualizzare, un po’ come una macchina a raggi x, le strutture nascoste di Internet, come il Web Stalker, formando in tempo reale delle figure geometriche molto accattivanti e quasi ipnotiche http://bak.spc.org/iod/. Ben Fry ha invece realizzato delle sculture tipografiche che utilizzano contenuti di un sito Web http://acg.media.mit.edu/people/fry/tendril/ . Sfogliando le pagine del “Cyberatlas”, a dire il vero, sono molte le mappe che catturano lo sguardo per le loro qualità estetiche, da quelle che cercano di tracciare la complessa rete delle chat e dei newsgroup, o dei percorsi delle mail, a quelle più innovative che danno una visione d’insieme ai grandi siti, a quelle che rappresentano il traffico e la densità di collegamenti. L’Atlas of Cyberspace ci propone alcune ipotesi di rappresentazione di uno spazio che ancora non sappiamo ben comprendere, e forse proprio questo è il motivo principale del suo fascino.

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