UNSEEN. Le foto mai viste di Vivian Maier
Dal 17 Ottobre 2024 al 26 Gennaio 2025
Monza | Milano
Luogo: Belvedere Reggia di Monza
Indirizzo: Viale Brianza 1
Orari: Mercoledì - Giovedì - Venerdì 10:00 – 16:00 Sabato - Domenica - Festivi 10:30 – 18:30 Lunedì e Martedì: Chiuso
Curatori: Anne Morin
Enti promotori:
- Con il patrocinio del Comune di Monza
Costo del biglietto: Intero: €16,50 Ridotto: €14,00 Ridotto Musei Civici: €12,00 Ridotto SPECIALE bambini dai 7 ai 12 anni: €6,00
Sito ufficiale: http://www.vivianmaierunseen.com
Unseen, le foto mai viste di Vivian Maier è il titolo della mostra che la Villa Reale di Monza dedica, dal 17 ottobre 2024 al 26 gennaio 2025, a una delle pioniere e massime esponenti della street photography.
Realizzata da Vertigo Syndrome in collaborazione con diChroma photography, Unseen, le Foto Mai Viste di Vivian Maier è la più importante esposizione mai fatta in Italia su questa straordinaria, riservatissima artista. 220 fotografie, divise in 9 sezioni, che esplorano i temi e i soggetti caratteristici del suo stile: dagli autoritratti alle scene di strada, dalle immagini di bambini alle persone ai margini della società, avventurandosi anche in aspetti sconosciuti o poco noti di una vicenda umana e artistica non convenzionale.
La mostra si compone di un nucleo di fotografie in bianco e nero e a colori, molto rare e fino a pochi anni fa mai viste in pubblico, alle quali si aggiungono filmati in formato Super 8, provini a contatto, audio con la sua voce e vari oggetti che le sono appartenuti, come le macchine fotografiche Rolleiflex e Leica. Parte di questo è materiale inedito di Vivian Maier che la curatrice Anne Morin presenta per la prima volta in questa mostra alla Villa Reale di Monza.
Come tutte le esposizioni realizzate da Vertigo Syndrome la mostra è arricchita da una serie di eventi collaterali che comprendono workshop artistici, conferenze sulla storia della fotografia, laboratori per i bambini e altre varie iniziative strettamente collegate al mondo della fotografia e dell’immagine in generale.
Per completare la conoscenza della fotografa e del suo lavoro, i visitatori della mostra saranno invitati ad accedere a una sala speciale, ideata appositamente da Vertigo Syndrome, dove proveranno la coinvolgente esperienza di Essere Vivian Maier…
CHI È VIVIAN MAIER
Con la scatto silenzioso della sua Rolleiflex Vivian Maier ha immortalato per quasi cinque decenni il mondo che la circondava. Dai banchieri di Midtown ai senzatetto addormentati sulle panchine dei parchi, alle coppie che si abbracciavano o, molto spesso, riprendendo se stessa.
Gli oltre 150.000 negativi scattati nel corso della sua vita coprono una immensa gamma di soggetti. Dai primi anni cinquanta fino agli anni novanta, Vivian Maier si è occupata di documentare meticolosamente ogni aspetto della vita che la circondava, ovunque andasse. Eppure il suo lavoro è rimasto sconosciuto a chiunque, conservato chiuso dentro centinaia di scatole, quasi fino alla sua morte, e scoperto casualmente nel 2007 da John Maloof, uno scrittore di Chicago che ha ritrovato i negativi in un box pieno di cianfrusaglie, acquistato all’asta e un tempo appartenuto all’artista.
Maloof si è dedicato poi alla promozione della sua eredità e ha co-diretto un documentario candidato all'Oscar, “Finding Vivian Maier” (2014) che ha dato alla fotografa fama mondiale.
Capace di unire l’approccio umanista europeo (in Francia, paese d’origine della madre, Vivian Maier trascorse l’infanzia) al richiamo moderno della street photography americana, Vivian Maier costruì, dall’inizio degli anni ’50 alla fine degli anni ’80, un corpus di opere che la rendono oggi, a tutti gli effetti, una delle più grandi fotografe del XX secolo, al pari di artisti come Robert Frank, Diane Arbus, Robert Doisneau o Henri Cartier-Bresson.
RACCONTA LA CURATRICE ANNE MORIN
“È nel cuore della società americana, a New York dal 1951 e poi a Chicago dal 1956, che Vivian, osserva meticolosamente il tessuto urbano che riflette i grandi cambiamenti sociali e politici della sua storia. È il tempo del sogno americano e della modernità sovraesposta, il cui dietro le quinte costituisce l’essenza stessa del lavoro di Vivian Maier”.
La storia misteriosa di Vivian Maier è una parte importante del fascino che la sua figura riscuote nel mondo. Le persone restano incantate dalla particolarità e della forza espressiva delle foto, ma
anche dalla storia della tata severa e solitaria che sviluppa in segreto il suo talento fotografico e poi muore senza lasciarne traccia.
“Vivian Maier, il mistero, la scoperta e il lavoro: queste tre parti insieme sono difficili da separare”, spiega Anne Morin, curatrice della mostra.
Unseen. Le foto mai viste di Vivian Maier vuole concentrarsi però sull’opera dell’artista piuttosto che sul suo mistero, evitando di cavalcare la curiosità sulla sua particolare vicenda umana e professionale, ma contribuendo invece ad elevare il nome della Maier al livello dei più famosi street photographer affrontando l'arduo compito di esaminare la sua opera sconfinata e ancora in gran parte sconosciuta.
I TEMI DELLA MOSTRA
VIVIAN SONO IO
La mostra si apre con il nucleo di lavori forse più iconici dell’artista, quelli con cui ricerca se stessa per mezzo della fotografia. Autoritratti ricavati attraverso diverse soluzioni e processi visivi che raccontano della sua capacità creativa e intuitiva, come gli scatti alla propria silhouette proiettata, alla forma della sua ombra, al riflesso in uno specchio o in un vetro. Un vocabolario di situazioni che utilizza per affermare la sua presenza in un determinato momento e in un determinato luogo. Un lavoro particolarmente rilevante nell'era dei social media, con i suoi autoritratti che risuonano con la cultura del selfie contemporanea.
UNO SGUARDO RAVVICINATO E SINCERO SU UN'EPOCA PASSATA
Prima a New York, tra il 1951 e il 1956, poi a Chicago, Vivian Maier ama perdersi passeggiando nei quartieri popolari della città, avventurandosi nel luogo dove per eccellenza va in scena il quotidiano: la strada. Gli attori sono una serie di soggetti inconsapevoli che Maier segue, osserva e immortala in gesti e reazioni spontanee, suscitando possibili narrazioni. Tra queste molte donne, di estrazione umile o benestanti, di cui Maier riusciva a raccontare la bellezza, la profondità e la saggezza dei loro visi solcati dal tempo.
L'AMERICA DEL DOPOGUERRA E LA FACCIATA DEL SOGNO AMERICANO
Nelle sue frequenti passeggiate lungo la città, accompagnata dai bambini di cui si occupa, lo sguardo di Maier si posa su coloro che vivono ai margini del Sogno americano, la grande utopia da cui sono esclusi. Lontani dai classici ritratti con soggetti in posa e agghindati, l'autrice ritrae i
suoi soggetti sorprendendoli, precedendo il momento in cui, accorgendosi di lei, avrebbero perso spontaneità. Concentrandosi spesso su un dettaglio corporeo, sono iconici gli scatti in cui immortala la figura di spalle, un taglio che oggi le si riconosce come distintivo del suo stile.
IL SUPER 8 E LA VIVACE TRAMA UMANA DEGLI SPAZI METROPOLITANI
Negli anni sessanta Vivian Maier affronta più compiutamente il linguaggio cinematografico, filmando frontalmente, senza artifici né montaggio, la realtà che osserva durante le sue peregrinazioni urbane. In un avvicendarsi che diviene stimolo reciproco, Maier alterna la macchina da presa Super 8 e la Rolleiflex, muovendosi e riprendendo inesorabilmente ciò che le si pone davanti e, una volta attratta da un elemento in particolare, immortalandolo in uno scatto.
TUTTI COLORI DELLA STRAORDINARIA VITA ORDINARIA
Se il suo lavoro in bianco e nero è profondamente silenzioso, il colore è per l'autrice il Blues che percorre le strade di Chicago, in particolare quelle dei quartieri operai, che restituisce in un gioco cromatico estremamente ricco. L'utilizzo di una Leica 35 mm, il cui formato rettangolare differisce notevolmente da quello quadrato della Rolleiflex, conferisce un marcato dinamismo alla composizione di queste immagini, esposte pochissime volte in pubblico e tra le più rare della sua produzione.
BAMBINI NEL TEMPO
Istitutrice per quasi quarant'anni, Maier ha spesso documentato la vita dei bambini di cui si è presa cura, scoprendo e rappresentando il modo autentico con cui guardano il mondo. I volti, le espressioni, le mimiche, gli sguardi, le lacrime, i giochi: tutto ciò che costituisce la vita del bambino è passato sotto l’obiettivo della fotografa, che ha saputo restituirne lo spirito più intenso e genuino.
L’ASTRATTO VISTO DA VICINO
L'ultima sezione della mostra raccoglie fotografie di dettagli così piccoli e ravvicinati da perdere il legame con la realtà e sfociare quasi nell'astratto. Sono primi piani di oggetti, dettagli precisi, che Maier guarda così da vicino e con tale intensità da farne talvolta perdere i contorni. Si tratta di scatti poetici e documentaristici che mostrano l'abilità innata di Maier nel comporre rapidamente le sue foto con piccole stranezze e sottili trucchi fotografici.
Vivian Maier nasce a New York il 1° febbraio 1926 da padre austriaco e madre francese. Trascorre gran parte dell'infanzia in Francia, nella fattoria di famiglia a Saint Julien en Champseur, sulle alte alpi, e poi nella vicina città di St. Bonnet, dove frequenta la scuola. Nel 1932 torna con la madre a New York, dove si ricongiunge momentaneamente al padre e al fratello, prima di dividersi definitivamente.
Negli anni '40 Maier vive nel Queens e lavora come impiegata nella fabbrica di bambole Madame Alexander. Con i soldi ricavati dalla vendita della tenuta di St. Julien, acquista la sua prima macchina fotografica e prende confidenza con il mezzo. Nel 1951 si stabilisce a New York dove lavora come bambinaia, guadagnandosi da vivere e finanziando la sua passione per la fotografia.
Durante l'estate del 1952 acquista una macchina fotografica Rolleiflex che porta sempre con sé, nelle sue passeggiate per la città così come nei viaggi con le famiglie per cui lavora, scattando più negativi di quanti ne riesce effettivamente a sviluppare. Nel 1955, affascinata da Hollywood e dalle celebrità, Maier decide di tentare la fortuna a Los Angeles.
In seguito, viaggia molto, fino a stabilirsi a Chicago, dove viene assunta dai Gensburg. Trascorre undici anni lavorando per loro, sfruttando ogni momento per muoversi per la città alla ricerca di nuovi soggetti da fotografare e allestendo una camera oscura nel seminterrato della dimora. Tra gli anni '60 e '80, Maier cambia diversi datori di lavoro e gradualmente passa alla fotografia a colori avvalendosi di una Leica, così come al cinema, attraverso cui sperimenta nuove soluzioni artistiche.
Pur provando a trasformare la sua passione in un lavoro, non ci riuscirà mai. Anzi, tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000, vari problemi economici la costringono a fotografare sempre meno e a dover rinunciare, in assenza di un luogo dove conservarlo, al materiale d'archivio raccolto nel corso di tutta una vita.
Proprio all'interno di uno dei magazzini dove Maier conservava i suoi negativi, lo studente di Chicago John Maloof, alla ricerca di materiale iconografico legato alla città, scopre la misteriosa fotografa e ne approfondisce l'opera, dando poi vita a un archivio di oltre 120 mila scatti.
Nel 2009, prima che il suo lavoro possa arrivare al grande pubblico, Vivian Maier muore a Chicago il 21 aprile all'età di 83 anni.
Realizzata da Vertigo Syndrome in collaborazione con diChroma photography, Unseen, le Foto Mai Viste di Vivian Maier è la più importante esposizione mai fatta in Italia su questa straordinaria, riservatissima artista. 220 fotografie, divise in 9 sezioni, che esplorano i temi e i soggetti caratteristici del suo stile: dagli autoritratti alle scene di strada, dalle immagini di bambini alle persone ai margini della società, avventurandosi anche in aspetti sconosciuti o poco noti di una vicenda umana e artistica non convenzionale.
La mostra si compone di un nucleo di fotografie in bianco e nero e a colori, molto rare e fino a pochi anni fa mai viste in pubblico, alle quali si aggiungono filmati in formato Super 8, provini a contatto, audio con la sua voce e vari oggetti che le sono appartenuti, come le macchine fotografiche Rolleiflex e Leica. Parte di questo è materiale inedito di Vivian Maier che la curatrice Anne Morin presenta per la prima volta in questa mostra alla Villa Reale di Monza.
Come tutte le esposizioni realizzate da Vertigo Syndrome la mostra è arricchita da una serie di eventi collaterali che comprendono workshop artistici, conferenze sulla storia della fotografia, laboratori per i bambini e altre varie iniziative strettamente collegate al mondo della fotografia e dell’immagine in generale.
Per completare la conoscenza della fotografa e del suo lavoro, i visitatori della mostra saranno invitati ad accedere a una sala speciale, ideata appositamente da Vertigo Syndrome, dove proveranno la coinvolgente esperienza di Essere Vivian Maier…
CHI È VIVIAN MAIER
Con la scatto silenzioso della sua Rolleiflex Vivian Maier ha immortalato per quasi cinque decenni il mondo che la circondava. Dai banchieri di Midtown ai senzatetto addormentati sulle panchine dei parchi, alle coppie che si abbracciavano o, molto spesso, riprendendo se stessa.
Gli oltre 150.000 negativi scattati nel corso della sua vita coprono una immensa gamma di soggetti. Dai primi anni cinquanta fino agli anni novanta, Vivian Maier si è occupata di documentare meticolosamente ogni aspetto della vita che la circondava, ovunque andasse. Eppure il suo lavoro è rimasto sconosciuto a chiunque, conservato chiuso dentro centinaia di scatole, quasi fino alla sua morte, e scoperto casualmente nel 2007 da John Maloof, uno scrittore di Chicago che ha ritrovato i negativi in un box pieno di cianfrusaglie, acquistato all’asta e un tempo appartenuto all’artista.
Maloof si è dedicato poi alla promozione della sua eredità e ha co-diretto un documentario candidato all'Oscar, “Finding Vivian Maier” (2014) che ha dato alla fotografa fama mondiale.
Capace di unire l’approccio umanista europeo (in Francia, paese d’origine della madre, Vivian Maier trascorse l’infanzia) al richiamo moderno della street photography americana, Vivian Maier costruì, dall’inizio degli anni ’50 alla fine degli anni ’80, un corpus di opere che la rendono oggi, a tutti gli effetti, una delle più grandi fotografe del XX secolo, al pari di artisti come Robert Frank, Diane Arbus, Robert Doisneau o Henri Cartier-Bresson.
RACCONTA LA CURATRICE ANNE MORIN
“È nel cuore della società americana, a New York dal 1951 e poi a Chicago dal 1956, che Vivian, osserva meticolosamente il tessuto urbano che riflette i grandi cambiamenti sociali e politici della sua storia. È il tempo del sogno americano e della modernità sovraesposta, il cui dietro le quinte costituisce l’essenza stessa del lavoro di Vivian Maier”.
La storia misteriosa di Vivian Maier è una parte importante del fascino che la sua figura riscuote nel mondo. Le persone restano incantate dalla particolarità e della forza espressiva delle foto, ma
anche dalla storia della tata severa e solitaria che sviluppa in segreto il suo talento fotografico e poi muore senza lasciarne traccia.
“Vivian Maier, il mistero, la scoperta e il lavoro: queste tre parti insieme sono difficili da separare”, spiega Anne Morin, curatrice della mostra.
Unseen. Le foto mai viste di Vivian Maier vuole concentrarsi però sull’opera dell’artista piuttosto che sul suo mistero, evitando di cavalcare la curiosità sulla sua particolare vicenda umana e professionale, ma contribuendo invece ad elevare il nome della Maier al livello dei più famosi street photographer affrontando l'arduo compito di esaminare la sua opera sconfinata e ancora in gran parte sconosciuta.
I TEMI DELLA MOSTRA
VIVIAN SONO IO
La mostra si apre con il nucleo di lavori forse più iconici dell’artista, quelli con cui ricerca se stessa per mezzo della fotografia. Autoritratti ricavati attraverso diverse soluzioni e processi visivi che raccontano della sua capacità creativa e intuitiva, come gli scatti alla propria silhouette proiettata, alla forma della sua ombra, al riflesso in uno specchio o in un vetro. Un vocabolario di situazioni che utilizza per affermare la sua presenza in un determinato momento e in un determinato luogo. Un lavoro particolarmente rilevante nell'era dei social media, con i suoi autoritratti che risuonano con la cultura del selfie contemporanea.
UNO SGUARDO RAVVICINATO E SINCERO SU UN'EPOCA PASSATA
Prima a New York, tra il 1951 e il 1956, poi a Chicago, Vivian Maier ama perdersi passeggiando nei quartieri popolari della città, avventurandosi nel luogo dove per eccellenza va in scena il quotidiano: la strada. Gli attori sono una serie di soggetti inconsapevoli che Maier segue, osserva e immortala in gesti e reazioni spontanee, suscitando possibili narrazioni. Tra queste molte donne, di estrazione umile o benestanti, di cui Maier riusciva a raccontare la bellezza, la profondità e la saggezza dei loro visi solcati dal tempo.
L'AMERICA DEL DOPOGUERRA E LA FACCIATA DEL SOGNO AMERICANO
Nelle sue frequenti passeggiate lungo la città, accompagnata dai bambini di cui si occupa, lo sguardo di Maier si posa su coloro che vivono ai margini del Sogno americano, la grande utopia da cui sono esclusi. Lontani dai classici ritratti con soggetti in posa e agghindati, l'autrice ritrae i
suoi soggetti sorprendendoli, precedendo il momento in cui, accorgendosi di lei, avrebbero perso spontaneità. Concentrandosi spesso su un dettaglio corporeo, sono iconici gli scatti in cui immortala la figura di spalle, un taglio che oggi le si riconosce come distintivo del suo stile.
IL SUPER 8 E LA VIVACE TRAMA UMANA DEGLI SPAZI METROPOLITANI
Negli anni sessanta Vivian Maier affronta più compiutamente il linguaggio cinematografico, filmando frontalmente, senza artifici né montaggio, la realtà che osserva durante le sue peregrinazioni urbane. In un avvicendarsi che diviene stimolo reciproco, Maier alterna la macchina da presa Super 8 e la Rolleiflex, muovendosi e riprendendo inesorabilmente ciò che le si pone davanti e, una volta attratta da un elemento in particolare, immortalandolo in uno scatto.
TUTTI COLORI DELLA STRAORDINARIA VITA ORDINARIA
Se il suo lavoro in bianco e nero è profondamente silenzioso, il colore è per l'autrice il Blues che percorre le strade di Chicago, in particolare quelle dei quartieri operai, che restituisce in un gioco cromatico estremamente ricco. L'utilizzo di una Leica 35 mm, il cui formato rettangolare differisce notevolmente da quello quadrato della Rolleiflex, conferisce un marcato dinamismo alla composizione di queste immagini, esposte pochissime volte in pubblico e tra le più rare della sua produzione.
BAMBINI NEL TEMPO
Istitutrice per quasi quarant'anni, Maier ha spesso documentato la vita dei bambini di cui si è presa cura, scoprendo e rappresentando il modo autentico con cui guardano il mondo. I volti, le espressioni, le mimiche, gli sguardi, le lacrime, i giochi: tutto ciò che costituisce la vita del bambino è passato sotto l’obiettivo della fotografa, che ha saputo restituirne lo spirito più intenso e genuino.
L’ASTRATTO VISTO DA VICINO
L'ultima sezione della mostra raccoglie fotografie di dettagli così piccoli e ravvicinati da perdere il legame con la realtà e sfociare quasi nell'astratto. Sono primi piani di oggetti, dettagli precisi, che Maier guarda così da vicino e con tale intensità da farne talvolta perdere i contorni. Si tratta di scatti poetici e documentaristici che mostrano l'abilità innata di Maier nel comporre rapidamente le sue foto con piccole stranezze e sottili trucchi fotografici.
Vivian Maier nasce a New York il 1° febbraio 1926 da padre austriaco e madre francese. Trascorre gran parte dell'infanzia in Francia, nella fattoria di famiglia a Saint Julien en Champseur, sulle alte alpi, e poi nella vicina città di St. Bonnet, dove frequenta la scuola. Nel 1932 torna con la madre a New York, dove si ricongiunge momentaneamente al padre e al fratello, prima di dividersi definitivamente.
Negli anni '40 Maier vive nel Queens e lavora come impiegata nella fabbrica di bambole Madame Alexander. Con i soldi ricavati dalla vendita della tenuta di St. Julien, acquista la sua prima macchina fotografica e prende confidenza con il mezzo. Nel 1951 si stabilisce a New York dove lavora come bambinaia, guadagnandosi da vivere e finanziando la sua passione per la fotografia.
Durante l'estate del 1952 acquista una macchina fotografica Rolleiflex che porta sempre con sé, nelle sue passeggiate per la città così come nei viaggi con le famiglie per cui lavora, scattando più negativi di quanti ne riesce effettivamente a sviluppare. Nel 1955, affascinata da Hollywood e dalle celebrità, Maier decide di tentare la fortuna a Los Angeles.
In seguito, viaggia molto, fino a stabilirsi a Chicago, dove viene assunta dai Gensburg. Trascorre undici anni lavorando per loro, sfruttando ogni momento per muoversi per la città alla ricerca di nuovi soggetti da fotografare e allestendo una camera oscura nel seminterrato della dimora. Tra gli anni '60 e '80, Maier cambia diversi datori di lavoro e gradualmente passa alla fotografia a colori avvalendosi di una Leica, così come al cinema, attraverso cui sperimenta nuove soluzioni artistiche.
Pur provando a trasformare la sua passione in un lavoro, non ci riuscirà mai. Anzi, tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000, vari problemi economici la costringono a fotografare sempre meno e a dover rinunciare, in assenza di un luogo dove conservarlo, al materiale d'archivio raccolto nel corso di tutta una vita.
Proprio all'interno di uno dei magazzini dove Maier conservava i suoi negativi, lo studente di Chicago John Maloof, alla ricerca di materiale iconografico legato alla città, scopre la misteriosa fotografa e ne approfondisce l'opera, dando poi vita a un archivio di oltre 120 mila scatti.
Nel 2009, prima che il suo lavoro possa arrivare al grande pubblico, Vivian Maier muore a Chicago il 21 aprile all'età di 83 anni.
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