#Raffaello3D torna in sala il 18-29-20 aprile.
Raffaello - Il Principe delle Arti - in 3D, la nostra recensione
Raffaello Sanzio e Giulio Romano, Trasfigurazione, 1518-1520, Tempera grassa su tavola, 279 x 410 cm, Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano | © Governatorato SCV - Direzione dei Musei
Samantha De Martin
24/03/2017
Non c'è forse consacrazione più alta per l'arte già di per sé immortale di Raffaello che essere sublimata dal grande schermo attraverso la magia del 3D, di quegli effetti speciali che incantano, ammaliano, incatenano lo spettatore consentendogli di penetrare tra la plasticità delle figure e delle forme, di scrutare la bellezza dei colori, godendo pienamente di quelle emozioni che l'opera d'arte è in grado di scatenare.
Fa un certo effetto assistere, a 500 anni di distanza, al fortunato sposalizio tra i moderni prodigi del cinema e l'arte straordinaria di un genio indiscusso, dell'enfant prodige, divenuto magister a soli 17 anni e assunto, a 37, nel pantheon dell'arte universale.
“Raffaello - Il Principe delle Arti - in 3D” è il quarto film d'arte cinematografico prodotto da Sky in collaborazione con Musei Vaticani e Nexo Digital, con la regia di Luca Viotto, ma anche la prima trasposizione cinematografica mai realizzata sull'artista di Urbino.
Mentre le scene incedono, le rigorose ricostruzioni storiche si intrecciano con le digressioni artistiche curate dalla voce degli storici dell'arte Antonio Paolucci, Vincenzo Farinella e Antonio Natali. Non si tratta di una sofisticata lettura “enciclopedica” - quella che per intenderci stanca lo spettatore non esperto d'arte - bensì di un commento appassionato e vibrante pur nel suo rigore, che cattura l'interesse del pubblico, agganciandolo alla vita del protagonista.
L'interprete di Raffaello è un Flavio Parenti che “perde” i suoi occhi blu per acquisire lo sguardo castano, intenso dell'urbinate, lo stesso immortalato nel celebre Autoritratto conservato agli Uffizi o nella Scuola di Atene dove l'artista dipinge se stesso a fianco dei filosofi e matematici dell'antichità e dove colloca molto probabilmente anche il suo adorato padre che fu anche il suo primo maestro.
Urbino, Firenze e Roma, catturate nel film attraverso straordinarie vedute aeree che scandiscono i passaggi geografici da un luogo all'altro, sono le tre città che fanno da sfondo alla crescita intellettuale e artistica dell'urbinate.
Urbino è il luogo nel quale Raffaello si forma, “impara ad affrontare la vita”, scopre il potere dell'arte come “consolazione, creatività, risorsa”, avendo come compagni di giochi, nella bottega di suo padre Giovanni Santi (interpretato da Enrico Lo Verso) “tele, colori e pennelli”, e come fonte di ispirazione lo studiolo del Duca Federico da Montefeltro. Ma Urbino è anche il luogo in cui l'artista dalla personalità in costante oscillazione tra vizio e virtù riesce a dimostrare - come si evince dallo Sposalizio della Vergine (1504) - che la mano del suo maestro Perugino ha ormai fatto il suo tempo.
Un'inquadratura del grande Nibbio di Leonardo da Vinci, all'interno dello studio dell'artista, e il ritratto della Gioconda “enigmatico, indescrivibile, come ne avevo mai visti prima” dirà Raffaello, aprono il racconto cinematografico dell'esperienza fiorentina durata dal 1504 al 1508 e caratterizzata dalla realizzazione di ritratti e Madonne.
Bella, grandiosa l'immagine gigante della Madonna del cardellino o la descrizione dettagliata attraverso l'obiettivo dei gioielli nel ritratto di Maddalena Strozzi, generoso e saggio il soffermarsi sulla dolcezza dei volti, sulla spontaneità degli sguardi e dei gesti, sulla limpidezza dei paesaggi.
Il film insiste più volte sul forte legame tra numerose opere di Raffaello e l'arte classica. La postura dei personaggi nella Belle Jardinière, in particolare del bambino assimilato all'Apollo del Belvedere, ricorda la scultura ellenistica. Un rimando che troverà pieno compimento nella Loggetta dell'appartamento del cardinal Bibbiena, attraversata da grottesche ed episodi mitologici, e soprattutto nelle straordinarie Logge, sempre all'interno del Palazzo Apostolico a Roma, definite da Baldassarre Castiglione “La cosa più bella che i moderni abbiano fatto fino a oggi”. Anche nel suggestivo “Incendio di Borgo”, nell'omonima stanza all'interno del Palazzo Apostolico in Vaticano, dove i corpi statuari dei personaggi vengono mutuati dalle anatomie michelangiolesche, la scena in primo piano allude al gruppo di Enea che conduce Anchise fuori da Troia in fiamme.
C'è poi la Loggia di Amore e Psiche nella romana Villa Farnesina - dove Raffaello lavorerà per il suo amico banchiere Agostino Chigi - a celebrare la classicità attraverso il mito narrato da Apuleio.
“Se Firenze mi ha plasmato, Roma mi ha consacrato” ricorda Raffaello. Ed infatti è nella Città Eterna che si compie l'apoteosi del giovanissimo urbinate chiamato, appena 26enne, ad accogliere con audacia e ambizione, la sfida più grande che lo vedrà confrontarsi con il genio di Michelangelo.
È soprattutto nella descrizione del periodo romano che gli effetti speciali cinematografici compiono il “grande miracolo” facendo entrare lo spettatore all'interno del Palazzo Apostolico, nelle Stanze che Giulio II fece dipingere a Raffaello e ai suoi allievi. La Scuola di Atene, nella Stanza della Segnatura, stordisce il pubblico trasportato dagli occhialetti 3D in una Roma percorsa dall'inarrestabile ascesa di un ragazzo di provincia. La Liberazione di San Pietro nella Stanza di Eliodoro, con il più bel notturno dell'arte universale e l'alternanza di luci e riflessi, toglie il fiato.
Il grande schermo svela anche il restauro attualmente in corso della Sala di Costantino e la nuova ipotesi che attribuisce a Raffaello l'affresco della Comitas. Sempre con i suoi occhialetti lo spettatore entra per la prima volta in assoluto all'interno della Cappella Sistina come si presentava in quel 26 dicembre 1519, giorno zenitale nella vita di Raffaello, durante il quale l'artista conobbe l'orgoglio di vedere il ciclo di Arazzi raffiguranti le Storie dei Principi della Chiesa Pietro e Paolo, esposti sotto gli occhi del Papa e definiti da Vasari “un miracolo piuttosto che un artificio umano”.
La trasposizione cinematografica non trascura, anzi valorizza, l' “uomo” Raffaello oltre che l'artista, “sensibile” ai diletti carnali, a quella bellezza che è “la linfa che ha reso viva” la sua arte, messa al servizio “di un'unica donna capace di rapire cuore e anima” e di placare il desiderio di bellezza. A vestire i panni della Fornarina è Angela Curri. L'attrice nel film non pronuncia parola. A parlare per lei è lo sguardo intenso di una donna le cui fattezze vengono tramandate ed eternate nella casta immagine della Velata e forse anche nello sguardo sensuale e ammaliante della Fornarina.
Anche le musiche nel film giocano con armonia la loro parte, finalizzata a descrivere i momenti più felici e quelli più drammatici della vita di Raffaello. Come quando accompagnano la descrizione della Trasfigurazione, l'ultimo capolavoro ultimato dall'artista a poche ore dalla morte, o quando insistono sul dettaglio dello sguardo di Cristo trasfigurato, sul volto concitato della folla, su quello posseduto del ragazzo.
Grazie al 3D i raffinati costumi di Maurizio Millenotti - 40 realizzati su misura - acquistano spessore, morbidezza, sensualità, nella fedele riproduzione di colori, stoffe e materiali.
Raffaello muore il 6 aprile del 1520, lo stesso giorno della sua nascita. Una beffarda coincidenza che allude forse alla lineare chiusura di una parentesi perfetta, in una sorta di piano divino destinato a regalare al mondo uno dei più alti interpreti della natura e dell'animo umano.
Forse è per questo che l'ultima inquadratura del film conduce lo sguardo verso l'oculo del Pantheon invaso dalla luce, come a sancire quella “apoteosi” di un genio divenuto stella, che ricorda l'assunzione in cielo di Giulio Cesare cantata anche da Ovidio. Le ultime parole sono di Pietro Bembo (nel film Marco Cocci): “Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d'essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.
Fa un certo effetto assistere, a 500 anni di distanza, al fortunato sposalizio tra i moderni prodigi del cinema e l'arte straordinaria di un genio indiscusso, dell'enfant prodige, divenuto magister a soli 17 anni e assunto, a 37, nel pantheon dell'arte universale.
“Raffaello - Il Principe delle Arti - in 3D” è il quarto film d'arte cinematografico prodotto da Sky in collaborazione con Musei Vaticani e Nexo Digital, con la regia di Luca Viotto, ma anche la prima trasposizione cinematografica mai realizzata sull'artista di Urbino.
Mentre le scene incedono, le rigorose ricostruzioni storiche si intrecciano con le digressioni artistiche curate dalla voce degli storici dell'arte Antonio Paolucci, Vincenzo Farinella e Antonio Natali. Non si tratta di una sofisticata lettura “enciclopedica” - quella che per intenderci stanca lo spettatore non esperto d'arte - bensì di un commento appassionato e vibrante pur nel suo rigore, che cattura l'interesse del pubblico, agganciandolo alla vita del protagonista.
L'interprete di Raffaello è un Flavio Parenti che “perde” i suoi occhi blu per acquisire lo sguardo castano, intenso dell'urbinate, lo stesso immortalato nel celebre Autoritratto conservato agli Uffizi o nella Scuola di Atene dove l'artista dipinge se stesso a fianco dei filosofi e matematici dell'antichità e dove colloca molto probabilmente anche il suo adorato padre che fu anche il suo primo maestro.
Urbino, Firenze e Roma, catturate nel film attraverso straordinarie vedute aeree che scandiscono i passaggi geografici da un luogo all'altro, sono le tre città che fanno da sfondo alla crescita intellettuale e artistica dell'urbinate.
Urbino è il luogo nel quale Raffaello si forma, “impara ad affrontare la vita”, scopre il potere dell'arte come “consolazione, creatività, risorsa”, avendo come compagni di giochi, nella bottega di suo padre Giovanni Santi (interpretato da Enrico Lo Verso) “tele, colori e pennelli”, e come fonte di ispirazione lo studiolo del Duca Federico da Montefeltro. Ma Urbino è anche il luogo in cui l'artista dalla personalità in costante oscillazione tra vizio e virtù riesce a dimostrare - come si evince dallo Sposalizio della Vergine (1504) - che la mano del suo maestro Perugino ha ormai fatto il suo tempo.
Un'inquadratura del grande Nibbio di Leonardo da Vinci, all'interno dello studio dell'artista, e il ritratto della Gioconda “enigmatico, indescrivibile, come ne avevo mai visti prima” dirà Raffaello, aprono il racconto cinematografico dell'esperienza fiorentina durata dal 1504 al 1508 e caratterizzata dalla realizzazione di ritratti e Madonne.
Bella, grandiosa l'immagine gigante della Madonna del cardellino o la descrizione dettagliata attraverso l'obiettivo dei gioielli nel ritratto di Maddalena Strozzi, generoso e saggio il soffermarsi sulla dolcezza dei volti, sulla spontaneità degli sguardi e dei gesti, sulla limpidezza dei paesaggi.
Il film insiste più volte sul forte legame tra numerose opere di Raffaello e l'arte classica. La postura dei personaggi nella Belle Jardinière, in particolare del bambino assimilato all'Apollo del Belvedere, ricorda la scultura ellenistica. Un rimando che troverà pieno compimento nella Loggetta dell'appartamento del cardinal Bibbiena, attraversata da grottesche ed episodi mitologici, e soprattutto nelle straordinarie Logge, sempre all'interno del Palazzo Apostolico a Roma, definite da Baldassarre Castiglione “La cosa più bella che i moderni abbiano fatto fino a oggi”. Anche nel suggestivo “Incendio di Borgo”, nell'omonima stanza all'interno del Palazzo Apostolico in Vaticano, dove i corpi statuari dei personaggi vengono mutuati dalle anatomie michelangiolesche, la scena in primo piano allude al gruppo di Enea che conduce Anchise fuori da Troia in fiamme.
C'è poi la Loggia di Amore e Psiche nella romana Villa Farnesina - dove Raffaello lavorerà per il suo amico banchiere Agostino Chigi - a celebrare la classicità attraverso il mito narrato da Apuleio.
“Se Firenze mi ha plasmato, Roma mi ha consacrato” ricorda Raffaello. Ed infatti è nella Città Eterna che si compie l'apoteosi del giovanissimo urbinate chiamato, appena 26enne, ad accogliere con audacia e ambizione, la sfida più grande che lo vedrà confrontarsi con il genio di Michelangelo.
È soprattutto nella descrizione del periodo romano che gli effetti speciali cinematografici compiono il “grande miracolo” facendo entrare lo spettatore all'interno del Palazzo Apostolico, nelle Stanze che Giulio II fece dipingere a Raffaello e ai suoi allievi. La Scuola di Atene, nella Stanza della Segnatura, stordisce il pubblico trasportato dagli occhialetti 3D in una Roma percorsa dall'inarrestabile ascesa di un ragazzo di provincia. La Liberazione di San Pietro nella Stanza di Eliodoro, con il più bel notturno dell'arte universale e l'alternanza di luci e riflessi, toglie il fiato.
Il grande schermo svela anche il restauro attualmente in corso della Sala di Costantino e la nuova ipotesi che attribuisce a Raffaello l'affresco della Comitas. Sempre con i suoi occhialetti lo spettatore entra per la prima volta in assoluto all'interno della Cappella Sistina come si presentava in quel 26 dicembre 1519, giorno zenitale nella vita di Raffaello, durante il quale l'artista conobbe l'orgoglio di vedere il ciclo di Arazzi raffiguranti le Storie dei Principi della Chiesa Pietro e Paolo, esposti sotto gli occhi del Papa e definiti da Vasari “un miracolo piuttosto che un artificio umano”.
La trasposizione cinematografica non trascura, anzi valorizza, l' “uomo” Raffaello oltre che l'artista, “sensibile” ai diletti carnali, a quella bellezza che è “la linfa che ha reso viva” la sua arte, messa al servizio “di un'unica donna capace di rapire cuore e anima” e di placare il desiderio di bellezza. A vestire i panni della Fornarina è Angela Curri. L'attrice nel film non pronuncia parola. A parlare per lei è lo sguardo intenso di una donna le cui fattezze vengono tramandate ed eternate nella casta immagine della Velata e forse anche nello sguardo sensuale e ammaliante della Fornarina.
Anche le musiche nel film giocano con armonia la loro parte, finalizzata a descrivere i momenti più felici e quelli più drammatici della vita di Raffaello. Come quando accompagnano la descrizione della Trasfigurazione, l'ultimo capolavoro ultimato dall'artista a poche ore dalla morte, o quando insistono sul dettaglio dello sguardo di Cristo trasfigurato, sul volto concitato della folla, su quello posseduto del ragazzo.
Grazie al 3D i raffinati costumi di Maurizio Millenotti - 40 realizzati su misura - acquistano spessore, morbidezza, sensualità, nella fedele riproduzione di colori, stoffe e materiali.
Raffaello muore il 6 aprile del 1520, lo stesso giorno della sua nascita. Una beffarda coincidenza che allude forse alla lineare chiusura di una parentesi perfetta, in una sorta di piano divino destinato a regalare al mondo uno dei più alti interpreti della natura e dell'animo umano.
Forse è per questo che l'ultima inquadratura del film conduce lo sguardo verso l'oculo del Pantheon invaso dalla luce, come a sancire quella “apoteosi” di un genio divenuto stella, che ricorda l'assunzione in cielo di Giulio Cesare cantata anche da Ovidio. Le ultime parole sono di Pietro Bembo (nel film Marco Cocci): “Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d'essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.
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