Dal 20 al 30 luglio al Teatro Argentina di Roma
Nel teatro dell'immaginazione. Da Fabio Cherstich e Luigi Serafini, un rivoluzionario Ubu Re
Fabio Cherstich e Luigi Serafini, Ubu Re. Foto Teatro Argentina
Francesca Grego
21/07/2021
Roma - Il trono è una lavatrice, il regno una distesa di sabbia, le insegne regali nient’altro che una salsiccia. L’Ubu Re di Alfred Jarry torna in scena più surreale e immaginifico che mai in un allestimento che alla carica eversiva delle parole unisce costumi e scenografie degne di una serata Dada. Succede al Teatro Argentina di Roma in uno spettacolo firmato da Fabio Cherstich e Luigi Serafini. Dopo aver inventato l’Operacamion, con cui porta la lirica su set del tutto inusuali, per Ubu il trentasettenne regista friulano ha voluto accanto a sé un “patafisico" doc.
All’onorato collegio fondato da Jarry Serafini è iscritto per davvero, e chi conosce la sua storia sa che non potrebbe essere altrimenti: il famoso Codex Seraphinianus, inesauribile enciclopedia dell’assurdo diventata un cult del secondo millennio, è un esempio lampante di quella “scienza delle soluzioni immaginarie” citata dallo stesso Pére Ubu. Ma questa volta le invenzioni visive e linguistiche si intrecciano sulla scena, rinnovando una pietra miliare del teatro contemporaneo con il suo stesso spirito. La satira del potere e il gusto della provocazione di Jarry trovano nuovi alleati in fantasiosi marchingegni scenici, sculture di tubi Innocenti, costumi che assomigliano a opere contemporanee, innescando dialoghi imprevisti tra arti visive, storia e letteratura.
Fabio Cherstich e Luigi Serafini | Courtesy Teatro di Roma
“La prima cosa che abbiamo fatto è lavorare sul testo”, spiega l’artista, architetto e designer romano: “E la rilettura ci ha portato a una serie di scoperte incredibili, come la presenza di Pulcinella nel testo originale francese di Jarry”. Così a un certo punto dello spettacolo il re indossa la maschera del lazzarone e i personaggi iniziano a parlare in napoletano. È solo il primo dei giochi escogitati dall’imprevedibile duo: il linguaggio si sporca e si scardina tra onomatopee, nonsense, citazioni dal cirillico o da lingue inventate di sana pianta, come quella usata da Serafini per “spiegare” gli enigmatici disegni del Codex. In linea con la lezione della Patafisica, l’immaginazione diventa chiave di lettura e al contempo fuga dalla realtà. “Ho voluto rappresentare l’apparato della monarchia come un grande catafalco di porpora ed ermellino, con in vetta la testina del re incoronato che sproloquia”, racconta Serafini.
Fabio Cherstich e Luigi Serafini, Ubu Re | Courtesy Teatro di Roma
All’Argentina la pièce di Jarry si trasforma anche grazie a un approccio site-specific alla scena: invece che sul palco, gli attori recitano sulla platea coperta di sabbia, eredità dell’installazione "Sun & Sea" allestita nei giorni precedenti. L’apoteosi del ventre e il trionfo del grugno nella Storia universale, i decervellamenti e le parate, la brama di potere e le sue conseguenze tragicomiche, l’arroganza senza freno e le più incontrollabili paure vanno in scena per la prima volta su un grottesco arenile suburbano. “Il cambiamento di ambientazione fa assumere al testo una dimensione ancestrale”, commenta Cherstich: “In più, avendo un cast di soli sette attori sui trenta personaggi previsti, la loro solitudine diventa lo specchio di un’umanità persa”.
Le novità non finiscono qui. Come non era mai accaduto prima, a Roma il genio-guastatore di Jarry si trasforma in personaggio: “Questa volta invadiamo anche lo spazio esterno: la figura di Jarry è in mezzo al pubblico o in bicicletta davanti al Teatro Argentina”, racconta il regista. “E nel finale c'è un’ulteriore sorpresa: sveliamo una parte del teatro che di solito resta nascosta”.
Ubu Re è in scena fino al 30 luglio al Teatro Argentina di Roma, con la regia di Fabio Cherstich, scene e costumi di Luigi Serafini, musiche di Pasquale Catalano e con Massimo Andrei, Gea Martire, Sara Borsarelli, Marco Cavalcoli, Alessandro Bandini, Francesco Russo e Julien Lambert.
Alfred Jarry in bicicletta | Courtesy Teatro di Roma
Leggi anche:
• Luigi Serafini e il Codice della fantasia
• Per terra e per mare. Il Codex di Serafini in mostra in Francia
• Elapis di Luigi Serafini
• Da Serafini a Bernini: viaggio alla Fontana dei Quattro Fiumi
All’onorato collegio fondato da Jarry Serafini è iscritto per davvero, e chi conosce la sua storia sa che non potrebbe essere altrimenti: il famoso Codex Seraphinianus, inesauribile enciclopedia dell’assurdo diventata un cult del secondo millennio, è un esempio lampante di quella “scienza delle soluzioni immaginarie” citata dallo stesso Pére Ubu. Ma questa volta le invenzioni visive e linguistiche si intrecciano sulla scena, rinnovando una pietra miliare del teatro contemporaneo con il suo stesso spirito. La satira del potere e il gusto della provocazione di Jarry trovano nuovi alleati in fantasiosi marchingegni scenici, sculture di tubi Innocenti, costumi che assomigliano a opere contemporanee, innescando dialoghi imprevisti tra arti visive, storia e letteratura.
Fabio Cherstich e Luigi Serafini | Courtesy Teatro di Roma
“La prima cosa che abbiamo fatto è lavorare sul testo”, spiega l’artista, architetto e designer romano: “E la rilettura ci ha portato a una serie di scoperte incredibili, come la presenza di Pulcinella nel testo originale francese di Jarry”. Così a un certo punto dello spettacolo il re indossa la maschera del lazzarone e i personaggi iniziano a parlare in napoletano. È solo il primo dei giochi escogitati dall’imprevedibile duo: il linguaggio si sporca e si scardina tra onomatopee, nonsense, citazioni dal cirillico o da lingue inventate di sana pianta, come quella usata da Serafini per “spiegare” gli enigmatici disegni del Codex. In linea con la lezione della Patafisica, l’immaginazione diventa chiave di lettura e al contempo fuga dalla realtà. “Ho voluto rappresentare l’apparato della monarchia come un grande catafalco di porpora ed ermellino, con in vetta la testina del re incoronato che sproloquia”, racconta Serafini.
Fabio Cherstich e Luigi Serafini, Ubu Re | Courtesy Teatro di Roma
All’Argentina la pièce di Jarry si trasforma anche grazie a un approccio site-specific alla scena: invece che sul palco, gli attori recitano sulla platea coperta di sabbia, eredità dell’installazione "Sun & Sea" allestita nei giorni precedenti. L’apoteosi del ventre e il trionfo del grugno nella Storia universale, i decervellamenti e le parate, la brama di potere e le sue conseguenze tragicomiche, l’arroganza senza freno e le più incontrollabili paure vanno in scena per la prima volta su un grottesco arenile suburbano. “Il cambiamento di ambientazione fa assumere al testo una dimensione ancestrale”, commenta Cherstich: “In più, avendo un cast di soli sette attori sui trenta personaggi previsti, la loro solitudine diventa lo specchio di un’umanità persa”.
Le novità non finiscono qui. Come non era mai accaduto prima, a Roma il genio-guastatore di Jarry si trasforma in personaggio: “Questa volta invadiamo anche lo spazio esterno: la figura di Jarry è in mezzo al pubblico o in bicicletta davanti al Teatro Argentina”, racconta il regista. “E nel finale c'è un’ulteriore sorpresa: sveliamo una parte del teatro che di solito resta nascosta”.
Ubu Re è in scena fino al 30 luglio al Teatro Argentina di Roma, con la regia di Fabio Cherstich, scene e costumi di Luigi Serafini, musiche di Pasquale Catalano e con Massimo Andrei, Gea Martire, Sara Borsarelli, Marco Cavalcoli, Alessandro Bandini, Francesco Russo e Julien Lambert.
Alfred Jarry in bicicletta | Courtesy Teatro di Roma
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