Fino al 10 maggio alla Fundación MAPFRE
Giacometti e Rodin a confronto a Madrid
Alberto Giacometti nel suo studio, Parigi, 1955. Foto: © Isaku Yanaihara, Parigi, Fondation Giacometti
Samantha De Martin
07/02/2020
Mondo - A dividerli è all’incirca una generazione, a unirli, la comune riflessione su concetti universali come l’angoscia, il dolore, la paura, la rappresentazione delle passioni umane, l’amore per l'antichità classica che prendeva forma, nelle rispettive opere, attraverso la libera interpretazione dei modelli del passato.
Giacometti e Rodin - che in vita non si incontrarono mai, essendo quest’ultimo morto da 5 anni quando il pittore svizzero arrivò a Parigi - dialogano adesso alla Fundación MAPFRE di Madrid.
L’occasione è una mostra in corso fino al 10 maggio, nella quale, oltre duecento opere, esplorano somiglianze e differenze tra lo scultore - partito dai temi mitologici tradizionali per modellare le figure umane con fisicità e realismo - e quelle sagome allungate, immobili e fragili che Jean Genet chiamava "i custodi dei morti", espressione della complessità della condizione umana, secondo Giacometti.
A cura di Catherine Chevillot, Catherine Grenier and Hugo Daniel, realizzata in collaborazione con il Museo Rodin di Parigi e la Fondazione Giacometti, l’esposizione di Madrid esalta i due artisti che hanno trovato, nelle loro rispettive epoche, i modi per avvicinarsi alla figura umana, riflesso di una nuova, personale visione saldamente radicata nel loro tempo.
Per Rodin quella del mondo prima della Grande Guerra, per Giacometti gli anni successivi al secondo conflitto mondiale.
Il percorso espositivo si sofferma su differenze e analogie. A cominciare dalla comune attenzione alla realtà. "La bellezza risiede solo dove c'è verità” osservava Rodin.
La modellazione, la materia, il rapporto con il passato, il lavoro in serie e la continua messa in discussione del piedistallo, che diventa la dimensione modellante dell'opera, sono i temi che entrambi hanno affrontato nel corso della loro carriera professionale, e rappresentato nei loro progetti.
Era il 1922 quando Giacometti, assecondando i desideri del padre, arrivava a Parigi per studiare all’Accademia Grande Chaumière dove Antoine Bourdelle, assistente di Rodin, teneva le sue lezioni. Erano passati cinque anni dalla morte del maestro. Poi l’interesse per Rodin, arrivato tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta.
I capolavori che attraversano la mostra, suddivisa in nove sezioni, sono concepiti come una conversazione tra l'opera dei due artisti nello spazio. Il gruppo scultoreo Les Bourgeois de Calais, così come l’Eustache de Saint-Pierre di Rodin dialoga con la Clairière di Giacometti, con il Piccolo busto di Silvio e con quello di Diego. L'inaspettata connessione tra nomi e stili, uno del diciannovesimo secolo, l’altro che definisce l'avanguardia del XX, raggiunge il suo culmine alla fine del tour. Qui si intrecciano le grandi versioni de L’homme qui marche, realizzate dai due artisti. Frammentario, privo testa, braccia, ma dinamico il camminatore di Rodin; sofferente e filiforme, spogliato dai dettagli anatomici quello di Giacometti, in marcia verso l’ignoto.
Leggi anche:
• Alberto Giacometti, tra grafiche e acqueforti, in mostra a Chiasso
Giacometti e Rodin - che in vita non si incontrarono mai, essendo quest’ultimo morto da 5 anni quando il pittore svizzero arrivò a Parigi - dialogano adesso alla Fundación MAPFRE di Madrid.
L’occasione è una mostra in corso fino al 10 maggio, nella quale, oltre duecento opere, esplorano somiglianze e differenze tra lo scultore - partito dai temi mitologici tradizionali per modellare le figure umane con fisicità e realismo - e quelle sagome allungate, immobili e fragili che Jean Genet chiamava "i custodi dei morti", espressione della complessità della condizione umana, secondo Giacometti.
A cura di Catherine Chevillot, Catherine Grenier and Hugo Daniel, realizzata in collaborazione con il Museo Rodin di Parigi e la Fondazione Giacometti, l’esposizione di Madrid esalta i due artisti che hanno trovato, nelle loro rispettive epoche, i modi per avvicinarsi alla figura umana, riflesso di una nuova, personale visione saldamente radicata nel loro tempo.
Per Rodin quella del mondo prima della Grande Guerra, per Giacometti gli anni successivi al secondo conflitto mondiale.
Il percorso espositivo si sofferma su differenze e analogie. A cominciare dalla comune attenzione alla realtà. "La bellezza risiede solo dove c'è verità” osservava Rodin.
La modellazione, la materia, il rapporto con il passato, il lavoro in serie e la continua messa in discussione del piedistallo, che diventa la dimensione modellante dell'opera, sono i temi che entrambi hanno affrontato nel corso della loro carriera professionale, e rappresentato nei loro progetti.
Era il 1922 quando Giacometti, assecondando i desideri del padre, arrivava a Parigi per studiare all’Accademia Grande Chaumière dove Antoine Bourdelle, assistente di Rodin, teneva le sue lezioni. Erano passati cinque anni dalla morte del maestro. Poi l’interesse per Rodin, arrivato tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta.
I capolavori che attraversano la mostra, suddivisa in nove sezioni, sono concepiti come una conversazione tra l'opera dei due artisti nello spazio. Il gruppo scultoreo Les Bourgeois de Calais, così come l’Eustache de Saint-Pierre di Rodin dialoga con la Clairière di Giacometti, con il Piccolo busto di Silvio e con quello di Diego. L'inaspettata connessione tra nomi e stili, uno del diciannovesimo secolo, l’altro che definisce l'avanguardia del XX, raggiunge il suo culmine alla fine del tour. Qui si intrecciano le grandi versioni de L’homme qui marche, realizzate dai due artisti. Frammentario, privo testa, braccia, ma dinamico il camminatore di Rodin; sofferente e filiforme, spogliato dai dettagli anatomici quello di Giacometti, in marcia verso l’ignoto.
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