Il pittore dell'incanto
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magnetismi
07/01/2001
Abbiamo intervistato Medhat Shafik, artista originario dell’Egitto, nato a El-Badari, vicino ad Assiut, l’antica capitale dell’Alto Egitto. Shafik fa parte di una singolare accolita di artisti chiamati Magnetisti, il suo stile unico racconta attraverso il segno astratto mondi favolosi e metastorici.
Nelle sue opere la presenza dell’Egitto, sua terra d’origine è costante, quali le contaminazioni, i punti d’incontro con la cultura italiana ed europea?
L’Egitto, il Mediterraneo la Mesopotamia: questo è l’imprinting del mio vissuto, e l’origine della nostra civiltà, in fondo quando si parla della civiltà egizia si parla di quella greca e così si arriva anche all’occidente. Io sono visceralmente mediterraneo. La mia è un’indagine da archeologo, un volo planare metastorico, amo molto l’idea del viaggio e in questo percorso ellenico, ovale giro in modo infinito.
La sua opera è un racconto che narra di mondi fantastici, visionari. Storie del passato ma con esiti così contemporanei…
Anche se apparentemente il linguaggio visionario va alla ricerca del passato, indaga tempi remoti, e fugge dalla contemporaneità, dal reale; penso che la cosa più importante sia comunque rimanere figli del proprio tempo, con uno sguardo che va oltre l’epidermide della storia, uno sguardo altro, una sensibilità altra. Noi che viviamo in questa epoca di grande sviluppo tecnologico forse stiamo tornando ad una concezione medievale, e cioè all’uomo, alla natura alla contrapposizione tra l’uomo ed il buio, l’uomo e il vuoto.
Per ritornare a questo stato le arti , la letteratura il mondo delle sensibilità dovrebbe recuperare quel senso del magico, la dimensione profetica dell’arte.
Qual è il ruolo, l’apporto della luce nei suoi quadri? Quali le scelte cromatiche?
Sono in Italia dal 1976 e non sono ritornato in Egitto per lungo tempo, una volta ritornato l’impatto con il contesto sociale, con la gente è stato sorprendente. Passeggiando per la strada spesso, chiedevo: “Oggi c’è una festa?”. Avevo perso l’abitudine di vedere i colori sgargianti dei vestiti, la luce abbagliante, il sole che quasi appiattisce, quella luce sfacciata. Penso che il colore venga dalla nostra memoria dei luoghi.
Per me rosso è il rosso, il blu lo vedo blu. Sebbene molti colori a contatto con il buio, con la penombra diventino ricchi di invenzione creativa eppure non trovo quel bagliore. Nel deserto mi è capitato spesso di vedere questa luce, questo giallo che invade tutto, la pietra arenaria mi dà il senso del ritorno ai tempi biblici, ai grandi esodi. Le diaspore storiche di tutti quanti i popoli sono lì, in questa terra del Sinai d’Egitto. Per me il colore è quell’immagine epica, di grandi affollamenti di mercati di suk di odori, di spezie è un miscuglio di allegria di gioia e di pienezza e la luce viene di dentro.
E’ stato assimilato ad una nuova corrente pittorica denominata “Magnetisti”, della quale fanno parte personalità artistiche estremamente particolari e diverse può chiarire il senso di questa appartenenza?
Questa definizione è nata dal critico d’arte Claudio Cerritelli… Magnetismo nel senso delle sensibilità attigue, forse perché fili invisibili e magnetici ci attirano l’uno all’altro proprio perché abbiamo uno sguardo ed una sensibilità particolare. Magnetismo nella possibilità di una dimensione magica, alchemica più emozionale che di forma.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Sto preparando una mostra pubblica che si svolgerà a Spoleto a settembre, negli spazi di un intero palazzo dotato di moltissime stanze. Creerò installazioni, ambienti, alcove tipo mille e una notte, una specie di ventre di balena. A maggio sarò a Francoforte in uno spazio espositivo ricavato da una chiesa.
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