Close: lo stile e le tecniche

Alex Reduction Print di Chuck Close
 

04/03/2002

Sin dagli esordi della sua carriera, alla fine degli anni Sessanta, Chuck Close sembra aver avuto ben pochi dubbi nella scelta dei soggetti e dello stile delle proprie opere: egli dipinge esclusivamente ritratti, di se stesso o di amici e famigliari, sempre con un'impostazione rigidamente frontale e di grandi o grandissime dimensioni. Al di là della grandissima varietà di tecniche in cui si cimenta, inoltre, il procedimento che porta all'esecuzione dell'opera è sempre lo stesso, e parte dalle polaroid scattate al soggetto per arrivare, attraverso l'utilizzo della "quadrettattura", all'immagine ingrandita e suddivisa in centinaia di riquadri. Nonostante la fissità dei processi di realizzazione, tuttavia, lo stile di Close ha conosciuto negli anni cambiamenti e modifiche: se nelle prime opere il reticolato era fittissimo e pressoché invisibile, alla fine degli anni Ottanta, anche in conseguenza della malattia che lo ha lasciato quasi paralizzato, esso si ingrandisce, sicché, visti da vicino, i suoi dipinti diventano "sorprendentemente astratti". Solo con l'aumentare della distanza tra lo spettatore e l'opera, i riquadri, come le tessere di un mosaico, si ricompongono a formare un volto umano. Ed è proprio questa tensione tra bidimensionalità e realtà tridimensionale che costituisce l'elemento più interessante dell'operare di Close, nonché il fulcro della sua ricerca artistica: come spiega egli stesso, "mi affascina il gioco continuo fra artificiale e reale, tra la piattezza della superficie e la plasticità del volto ritratto". Fra le opere esposte due in particolare costituiscono un buon esempio dello stile recente di Close: John (1999) e il grande Autoritratto del 1995. In esse ogni riquadro diviene un mondo a sé, mantiene una propria vita individuale, pur essendo indissolubilmente parte dell'insieme. Alla rigidità concettuale e tematica, Close oppone tuttavia una grande varietà tecnica: dall'olio all' acrilico, dalle più svariate tecniche incisorie (acquetinte, mezzetinte, litografie), alla serigrafia, ad altre ancora di sua invenzione. In mostra troviamo, ad esempio, un arazzo in seta (Phil Tapestry, 1991), ricamato a mano in Cina, un tappeto ricamato in seta su lino (Lucas Rug, 1993) ed una sorta di griglia in ottone in cui il metallo piegato e battuto disegna i contorni del volto della figlia dell'artista (Georgia Grill, 1984). Quasi la metà delle opere in mostra è costituita da autoritratti: Close ritorna infatti frequentemente e quasi ossessivamente sul proprio volto, non per narcisismo, ma perché ogni cambiamento che scopre su di sé richiede necessariamente un mutamento nella tecnica, in modo che la sua propria fisionomia diventa una sorta di "palestra" dello stile, il suo volto è il primo luogo di sperimentazione. Il riprendere più volte lo stesso soggetto è d'altronde un procedimento tipico dell'operare artistico di Close: lo stesso volto e la stessa immagine possono essere utilizzati come punto di partenza per diverse opere, anche a distanza di anni (come nella serie Phil, che comprende quattro ritratti del musicista Philip Glass eseguiti tra il 1981 ed il 1991). L'interesse di Close, infatti, più che nel soggetto rappresentato, sta proprio nel lavoro in sé, nei procedimenti che portano al compimento dell'opera; e d'altronde è proprio in questo laborioso processo che risiede la grande forza dell'opera dell'artista americano: agendo come un filtro fra il soggetto e la sua immagine, ne fa scaturire ritratti incredibilmente freddi e distaccati, privi di abbellimenti, minuziosissimi nei dettagli, nei quali più che l'intento di mostrare la personalità del modello, domina l'amore per la fisionomia in sé e per sé, quasi un senso di stupore per il miracolo che può essere un volto umano.

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